Search
Close this search box.

Smarrire il sacro. Lettura e follia di G.K.Chesterton

Appartengo a una schiera di persone molto fortunate. Dichiaro di far parte di una ristretta cerchia di iniziati, benedetti da un inscalfibile privilegio: posso annoverarmi, infatti, tra coloro che fin dall’adolescenza hanno avuto la grazia di incontrare la scrittura di G.K.Chesterton. E come ciascuno degli appartenenti a questa felice casta di lettori, spontaneamente, come in un rito collettivo globale sincronizzato senza bisogno di alcun coordinamento, ricorro regolarmente alle sue meditazioni per tornare in pace con l’universo.
Non c’è affanno quotidiano, avversità della sorte o penosa vicissitudine che non possa essere lenita dal balsamo della sua arguta sapienza, del suo stile elegante eppure meravigliosamente semplice, della sua catena ininterrotta di paradossi illuminanti.

Ora Euridice ha deciso di fare un dono molto prezioso a tutti i fedeli italiani del culto chesternoniano: per la prima volta traduce e pubblica in italiano una selezione di articoli di Chesterton usciti sul Daily News tra il 1901 e il 1911, pubblicati originariamente dalla casa editrice londinese Sheed and Ward in unico volume. Il titolo è perfettamente in linea con lo spirito dell’autore: Lettura e follia.
Come scrive correttamente Matteo Bussola nella prefazione: «Il fatto è che Chesterton ha una qualità che spicca su tutte le altre: è uno scrittore che non si accontenta mai della superficie delle cose, ma vuole morderle al midollo e al cuore, con parole che possono essere a volte limpide, altre volte più criptiche». Questa qualità rende la lettura delle sue opere insieme una sfida e una delizia per chiunque riesca a entrare in sintonia con la sua ironica saggezza.

Chesterton

Poiché negli ultimi anni il Nostro è stato, comprensibilmente, sempre più saccheggiato come arsenale dialettico dalle forze reazionarie, forse non è superfluo sottolineare come si possa gioire dell’intelligenza affilata di Chesterton… pur non essendo per nulla d’accordo con lui.
Da fiero anticlericale, considero Ortodossia, la sua appassionata apologia della fede cattolica, uno dei libri che mi ha cambiato la vita.
Pur non avendo al momento alcun referente politico per assenza di una forza di sinistra che sia sufficientemente radicale per rappresentarmi, sono qui a tessere le lodi del pensatore che si definiva: «L’uomo più conservatore del mondo». Come è possibile? Il motivo è ben più profondo di una mera fascinazione estetica.

Ciò che rende Ortodossia un libro memorabile (e pericoloso, uno davvero rischia di convertirsi al Cattolicesimo!), ciò che rende i racconti di Padre Brown delle gemme spirituali sotto forma di racconti gialli, ciò che intriga de I paradossi del signor Pond e rende un’esperienza gioiosa la lettura di tutti i romanzi e saggi di Chesterton è il solido atto di fede sui cui si fonda la sua Weltanschaaung: la vivissima, granitica certezza che la vita è un’avventura da vivere con traboccante entusiasmo, un inebriante percorso di conoscenza, pronto a svelarci terrori e meraviglie a ogni passo. Una fede primordiale e per questo eternamente valida, esposta tramite i doni di una logica brillante e uno stile sovranamente ironico.

Chesterton

In Lettura e follia possiamo incontrare alcuni brani pienamente significativi di questo sguardo filosofico pieno di maturità spirituale e insieme di letizia infantile, come ad esempio: «Tutta la scienza, anche la scienza divina, è una sublime storia gialla. Solo che non è impostata per rilevare perché un uomo sia morto, ma il segreto più oscuro del perché egli viva». Vi sembra un paradosso bizzarro? Ecco la pronta risposta dell’autore: «non esiste una definizione assoluta della follia, se non quella che ognuno di noi sottoscriverebbe, secondo cui la follia è il comportamento eccentrico di qualcun altro».

Ma chiariamo un punto cruciale: in Chesterton, con un movimento logico uguale e contrario rispetto a Oscar Wilde, i paradossi non sono mai fini a se stessi. Se le arguzie dell’uomo «più brillante del mondo» capovolgono le convenzioni sociali per mostrarne l’intima e grottesca contradditorietà, quelle di Chesterton affondano le radici in una conoscenza spirituale, sono l’esposizione più semplice (appunto, paradossalmente) di verità ineffabili. Chesterton era davvero un genio, come direbbe Flaiano, «con i piedi poggiati saldamente sulle nuvole», dietro le cui apparenti boutade si nasconde un giacimento di meditazione spirituale tale da indurre Papa Pio XI a salutarlo, dopo la morte, come defensor fidei.

Chesterton

Consideriamo la seguente riflessione: «Se nel mondo dovesse fare la sua comparsa un uomo perfettamente sano di mente sarebbe senza dubbio rinchiuso», potrebbe stare in calce a L’Idiota di Dostoevskij, l’altro grande genio letterario cristiano moderno, completamente speculare a Chesterton nello spettro della sensibilità religiosa.
Il discernimento sottile, eppure decisivo, per separare l’abisso dalla redenzione è una delle manifestazioni più cristalline della grazia chesternoniana. Ad esempio, quando definisce la follia come «predilezione per il simbolo rispetto a ciò che esso rappresenta», lo scrittore inglese coglie perfettamente la radice del tragico smarrimento del sacro nella civiltà contemporanea, ormai sostituito da inermi simulacri ingannevoli. E di questo smarrimento tragico, Chesterton ha l’intelligenza di vedere la causa nel fanatismo religioso:

«L’esempio più ovvio è il fanatico religioso, nel quale l’adorazione del Cristianesimo implica proprio la negazione di tutte quelle idee di integrità e misericordia che il Cristianesimo rappresenta. Ma ci sono molti altri esempi. Il denaro per esempio è un simbolo: rappresenta il vino, i cavalli, splendidi abiti e case lussuose, le grandi città del mondo e un tranquillo rifugio vicino al fiume. L’avaro è un folle, perché preferisce il denaro a tutte quelle cose, perché preferisce il simbolo alla realtà. Ma anche i libri sono un simbolo: rappresentano la percezione umana dell’esistenza, e si può quantomeno asserire che l’essere umano che è arrivato a preferire i libri alla vita è un fanatico dello stesso stampo dell’avaro».

Proprio in questo passaggio che dona il titolo all’antalogia di scritti, Chesterton nota con grande lucidità che la «bibliomania è in grado di diventare una sorta di ebbrezza».

Consentitemi, a questo punto, una confessione personale. Quando ho letto il seguente brano: «Le possibilità di squilibrio mentale che porta con sé la letteratura non sono dovute tanto a un amore per i libri, quanto a un’indifferenza per la vita, il sentimento e ogni altra cosa documentata nei libri stessi», non ho potuto che impormi una dolente introspezione riguardo alla mia abitudine di portarmi appresso qualche migliaio di libri ad ogni trasloco, sordo all’ira dei miei coinquilini. Come conferma della magia evocativa della prosa di Chesterton, ho scoperto proseguendo la lettura che l’articolo successivo nella raccolta si chiama proprio Dover traslocare. Ma al di là delle facili suggestioni (gli adepti di un culto vedono miracoli dappertutto), è difficile non accorgersi di come molte delle considerazioni che, en passant, Chesterton lascia cadere con suprema eleganza in questi brevi saggi, risultino di formidabile attualità. Ecco una breve serie di esempi: la perfetta disamina del populismo (ovvero la «democrazia semplicemente squallida e dispettosa che consiste nel dichiarare che ogni trono è solo una sedia. La vera democrazia consiste nel dichiarare che ogni sedia è un trono»); l’intuizione dell’importanza della dimensione onirica, con un approccio antitetico alla psicanalisi freudiana («nei sogni è rivelata l’elementare verità che l’essenza spirituale dietro a una cosa è importante, non la sua forma materiale»); l’analisi dei rischi sia del razionalismo («Le vittime più comuni della malattia mentale sono le persone prosaiche. Sono i razionalisti a impazzire») che delle esplorazioni spericolate dell’inconscio («La distruzione attende non l’uomo che nuota nel mare, ma l’uomo che cerca di scandagliarlo»); l’ipocrisia del finto perbenismo («Il decoro è la moralità delle società immorali»).

Ma, soprattutto, ciò che è maestoso in Chesterton è il senso dello stupore:

«Se chiunque di noi riporta la mente alla propria infanzia, ricorderà che il senso del sovrannaturale era ancorato il più delle volte a qualche oggetto del tutto banale e concreto, a un particolare pianerottolo delle scale, a un determinato albero nel parco, a un modo di tagliare il cartoncino o ai capelli di una bambola giapponese. Il bambino non ha bisogno del nonsense: per lui l’intero universo è privo di senso, nel significato più nobile di quella già nobile espressione. Un albero è qualcosa di sproporzionato e bizzarro, un asino è emozionante quanto un drago. Tutti gli oggetti vengono visti attraverso una enorme lente di ingrandimento: la margherita nel prato è ampia come un albero delle Esperidi, e i ciottoli disseminati in una pozzanghera fungeranno da Isole dei Beati».

Che sia la pioggia di Edimburgo o la poesia divina di un battiporta,  l”«eroica arguzia» di Victor Hugo, «l’ortodossia di Amleto», la calvizie di Pickwick o l’umiltà paradossale di S. Francesco, in tutto ciò che incontra la sua attenzione, Chesterton vede un frammento che rispecchia la bellezza della vita. E ci invita con un entusiasmo ad accettare l’avventura di esplorare la vita in tutta la sua pienezza, tenendo vivo il potere spirituale dello stupore, poiché come egli afferma solennemente: «Diventare un uomo è stupendo ma è terribile smettere di essere un bambino».

categorie
menu