Chi era Bobi Bazlen? O meglio chi è Robert Bazlen detto Bobi? Già, perché la figura di Bazlen attraversa il tempo ben oltre la sua secolarità e rappresenta una sorta di religione laica e intellettuale che colpisce come una puntura continua e intima chiunque si avvicini a qualcuno degli oggetti sfiorati, inventati e pensati da Bazlen stesso.
Si potrebbe dire che Bobi Bazlen è figlio del secolo breve, il Novecento. È nato infatti all’alba del 10 giugno del 1902. È figlio di Trieste dunque e della sua cultura mitteleuropea, così come è figlio della media borghesia triestina, ma con doti intellettuali superiori alla media, come scrive Cristina Battocletti nel suo volume Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste (La nave di Teseo). Poi è anche uno dei fondatori di Adelphi, dunque un editore, ma anche un consulente editoriale, un mistico dei libri, amico di poeti e scrittori, e inventore diciamo così di poeti e scrittori. Poi si potrebbe proseguire con visionario, con l’icastico “intellettuale” o anche con il volgarissimo “creativo”. È stato tutto questo? Sì, è stato tutto questo, solo che la somma produce un totale diverso. Bobi Bazlen è stato tutto questo, ma anche qualcosa di diverso, di impalpabile come capita con chi come lui è stato anche uno scrittore che però non ha mai scritto un libro.
Come indagare così la vita di una delle personalità più complesse e intellettualmente curiose e geniali del Novecento? Basta scrivere una biografia? E per eccesso basta raccontare la vita di Bobi Bazlen con un libro? Basta un libro per raccontare colui che fu uno sciamano vero dell’editoria? Cristina Battocletti queste domande se le pone e i suoi dubbi affiorano qua e là tra le pagine del suo lavoro, che va subito detto non è propriamente un saggio e nemmeno una spuria narrazione romanzata. Battocletti fa qualcosa di estremamente formidabile e rischioso, non racconta infatti Bazlen, ma per raccontarlo lo interpreta e per interpretarlo si mette lei stessa direttamente in gioco forzando le dimensioni di un libro che cambia così totalmente forma.
Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste diventa non a caso un poliedro dentro al quale è possibile individuare una storia quasi analitica fatta di date e di testimonianze e al tempo stesso il suo doppio fatto di ombre. Nel mezzo – tra la storia e le ombre – agiscono una serie di rifrazioni fatte dai luoghi e dagli incontri che vivono tra la storia personale di Bazlen e quella del Novecento. Un lavoro estremamente audace che parte dall’incisione attenta di quella lastra sottile che è il microcosmo – un luogo in cui le dimensioni si stratificano confondendo la memoria e la storia, la scrittura e la realtà – per restituire la consistenza sciamanica di una figura e l’universalità del suo tempo così come lui lo interpretò.
Si parte così da Trieste, è obbligatorio. Trieste, luogo di nascita di Bazlen, è fondamentale infatti per definire la matrice di un catalogo che è la storia-mondo di Bobi. Solo che questa matrice vive di una memoria nebbiosa, quindi seppur densa facile a scomparire. Una matrice che garantisce più la sparizione che la definizione. Ed è all’interno di questa ambiguità che Cristina Battocletti con virtuosismo gioca le sue carte migliori, accettando cioè da un lato l’incontenibilità di Bazlen, ma anche il suo essere filosofico, la sua apparenza che è figlia di una sparizione continua che lotta in opposizione a una presenza d’essere invece perenne e solidissima. All’interno di questo spazio Battocletti sembra trovarsi – evidentemente non a caso – notevolmente a suo agio, come già era infatti avvenuto con il suo precedente lavoro, il romanzo La mantella del diavolo (Bompiani).
In questo caso la declinazione tra presenza e assenza avviene attraverso una stratificazione di narrazioni che aprono a una serie di libri successivi, uno in seguito all’altro, che il lettore trova sotto forma di capitoli, ma che in realtà vivono potenzialmente autonomamente di una lingua e di una storia proprie. Un oggetto che si potrebbe dire fragile nella sua composizione, ma che viene legato attraverso una serie di nodi che lasciano respirare l’impasto narrativo come fosse una rete e che danno vita a un libro nel libro, dentro al quale l’autrice mette in gioco la sua biografia ovviamente in stile Bazlen, cioè in ombra.
Dal “capitolo-libro” Ringraziamenti: gli amici di Bobi prende forma un testo parallelo che coinvolge chi ha partecipato alla scrittura del volume (ringraziamenti che sono narrazione) con le leggende che hanno definito e confuso nel tempo il profilo di Bazlen. Quasi un centinaio di pagine in cui gli ingredienti precedenti si ricombinano nuovamente ridefinendo, senza mai essere confusi o inquinati, una storia che ha il suo centro nelle sfumature. E viene spontaneo immaginare che se Cortázar avesse potuto essere un autore di Bazlen, di certo Bazlen avrebbe potuto essere un suo personaggio.
Cristina Battocletti agisce con un doppio movimento che gestisce la complessità restituendo un gioco per certi versi semplice nella sua godibilità. Non riduce Bazlen a un personaggio storico perché non ne tradisce la storia “misteriosa”, ma al tempo stesso vi si affianca mostrando un comune destino fatto di storia comune: quella del Novecento e quella Contemporanea. Un libro che si appropria della magia di Bazlen restituendo una figura formidabile di pensatore e intellettuale, una sorta di contemporaneo distopico che ha a lungo viaggiato nel Novecento.
L’autrice rivela un impasto narrativo capace di raccontare senza tradire, di definire senza tagliare. Un lavoro che è frutto di grande abilità narrativa e competenza nel maneggiare fonti e testimonianze, evitando inutili forzature o estetizzazioni. Non un gioco di prestigio, non una mediazione al ribasso e tanto meno una forma di ossidata confusione tra romanzo e storia, ma un libro vivo che fa del limite una giusta distanza, una rarità preziosa.