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Backstage di un libro forse ancora in divenire (ancora su Gillo Dorfles)



Con Gillo Dorfles. Vivere il presente osservando il futuro. Annotazioni e divagazioni per un libro in divenire, edito da Mimesis, ho inteso raccogliere tutto quello che avevo scritto sul filosofo e critico triestino in quindici anni di frequentazione del suo lavoro: così poliedrico, fascinoso nella sua ricerca del nuovo, proteso in futuro atteso e spesso ispirato a sostituire un presente che solo un continuum mediatico può ancora sorreggere nella sua snobistica vanità, ormai ad appannaggio esclusivamente “social”. Insomma si sta dicendo di quell’horror pleni che Dorfles denunciava, inascoltato. Ecco: sono articoli che arrivano perlopiù da recensioni di libri e di mostre, stilati in un arco temporale cerchiato in anni compresi tra il 2004 e il 2018, e pubblicati nei quotidiani Il Manifesto e il suo supplemento Alias del sabato e Il Cittadino.
Ovviamente la mia conoscenza di Dorfles risale a molti anni prima; a metà degli anni ’80, avendo allora frequentato e sostenuto un esame di Estetica con un suo allievo o presunto tale (per carità di patria taccio sul soprannome che da studente insieme ad altri gli affibbiò). E poi, circa una decina di anni dopo ebbi la fortuna di intervistarlo per un libro mai fatto, uno di quei sogni rimasti nel cassetto, sugli scritti di Piero Manzoni. Altri successivamente si sono gettati a corpo morto sulla produzione critica ed intellettuale dell’artista della Merda d’artista e nei fatti tutto ciò ha seppellito per sempre il mio lontano progetto, andato componendosi e rimasto per l’appunto incompiuto in un periodo in cui l’opera di Manzoni stava decollando sia nella considerazione del canone artistico italiano sia sul piano strettamente economico, con la risalita incessante della sua quotazione.

Dorfles

Dunque: tempo addietro, nello scartafaccio di quel libro ho ritrovato la trascrizione di quella conversazione e ne ho ricavato un testo, inserito nel libro. La conversazione risale al 1994. Da quel primo appuntamento ci furono altri incontri e qualche altra intervista, fino all’ultima minima conversazione avvenuta durante la XXI Triennale e l’inaugurazione al Museo della Permanente de La logica dell’approssimazione, mostra curata da Dorfles con Aldo Colonetti. Erano perlopiù incontri volanti, in una sala da concerto o in mostre e avvenute a distanza, peraltro, di anni. Da osservatore esterno rammento delle sue presentazioni una memorabile per la pubblicazione de Gli artisti che ho incontrato e un invito ripetuto all’ascolto di nuove musiche con lo stop alle chiacchiere durante le celebrazioni per i suoi cento anni al Teatro Dal Verme.
Insomma, Dorfles era una persona da prendere con le pinze. D’altronde la sua leggendaria longevità glielo permetteva. Ma questo è solo uno degli aspetti della poliedrica figura dello studioso, dell’impenitente scrutatore del presente interamente volto al futuro. Un’incarnazione per alcuni versi dell’”angelo” di Benjamin (forse non è un caso che tra i suoi nomi figuri pure Angelo). Quel suo guardare sempre da un’altra parte rispetto allo svolgersi del tempo è emblematicamente raffigurato in una foto riprodotta nella quarta di copertina di Nuovi riti, nuovi miti, turning point nella carriera critica, avvenuta a metà degli anni ’60. E in quella foto, per la copertina zoomata solo su di lui, recuperata nella sua interezza si vedrebbero componenti del Gruppo 63 rapiti dalla conversazione di Roland Barthes, mentre Dorfles sembra essere attirato da altro guardando nella direzione opposta degli altri, tra cui s’intravede Umberto Eco.

Dorfles
Gillo Dorfles

Ora, tornando al libro, la data ultima (cioè dell’ultimo articolo, il 2018) indirizza direttamente alla morte di Dorfles, a cui è stata aggiunta una coda postuma occasionata dall’uscita di La mia America (libro postumo, ma curato con armonica acribia critica da Luigi Sansone) e dalla mostra Matti dedicata a Basaglia e al quarantennale della Legge che porta il suo nome attraverso la visione trasversale di opere del binomio Dorfles/Testori. Questa mostra, curata da chi scrive e da Davide Dall’Ombra di Casa Testori, avrebbe avuto lo scopo di fungere ad un tempo sia da sintesi sia da cerniera tra lo studio svolto sulla sua figura e caratura intellettuale e un’antologia di suoi scritti che era stata allestita come seconda parte del libro con l’intento di evidenziare zone e ambiti poco frequentati, se non dimenticati o misconosciuti dell’attività critica dorflesiana. Peraltro condotta sempre con tale rigore da evitare qualsiasi speculazione sulla poliedricità del suo pensiero intellettuale, mai teso però a vanificare un discorso estremamente raffinato e coerente che ha abbracciato la multidisciplinarietà tipica dell’intellettuale del secondo novecento, non irregolare e per questo conservandone un’unicità di base.

Pertanto questo capitolo, pur essendo stato tagliato via, può essere ancora letto, squadernando la mole di scritti (a far da guida può essere senza dubbio la “summa” allestita per Bompiani con Etica senza dialettica che allinea senza soluzioni di continuità i suoi libri più importanti ed anche gli ultimi che ad uno scavo completo sono ulteriori antologie di interventi, articoli, saggi, elzeviri, recensioni) come il condotto finale di un discorso che si travasa da un piano trasversale di cosiddetta critica alla critica, quella che era ed è rimasta nelle intenzioni di chi scrive, ad una piattaforma concettuale, quella di Dorfles. Qui a convivere sono le sue affezioni più segrete (la poesia, la fantascienza, la psicoanalisi) e le predilezioni più care (la musica, la filosofia, la pittura), nondimeno il desiderio di tornare, soprattutto in ultimo, sulla sua opera andando per tutti gli anni zero e poco oltre a reintrodurre al lettore alcuni dei suoi titoli più conosciuti, utilizzando anche la tecnica del dialogo o del memoir.

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