Daniele Scalese non è nuovo nell’ambiente editoriale. Ha pubblicato due romanzi – Le streghe (Virgilio edizioni, 2019) e Non desiderare la roba d’altri (Porto Seguro, 2021) – e diversi racconti su rivista, prima di approdare presso Pidgin nel maggio di quest’anno con Anna sta coi morti.
La vita, la morte e ciò che sta in mezzo
«A Natale chiamarono due volte e un ospedale che insiste è un ospedale che ha cattive notizie. Anna lavorava quel giorno perché si muore ogni giorno e raggiungeva l’obitorio mentre io cercavo il centro di medicina. Ritiravo le analisi e lo scoprivo per strada: Anna, all’undicesima settimana di gravidanza, aveva la leucemia.»
Così, senza preamboli né tentativi di edulcorare gli avvenimenti, inizia questo romanzo: in poche e stringate righe acquisiamo le informazioni principali che condurranno la narrazione fino alla fine del testo. A parlare è Enzo, compagno di Anna, sul quale si impernia il punto di vista della storia. Qualche frase dopo, troviamo già la conclusione di questo primo capitolo, composto da una mezza pagina appena:
«Stai bene?» mi chiese [Alberto, il collega di Anna] all’ingresso della sala mortuaria.
«No. Anna dove sta?»
Anna stava coi morti.
Nel prosieguo del romanzo veniamo a conoscenza della decisione presa da Anna: davanti a una leucemia feroce ma comunque curabile, la ragazza decide di salvaguardare la salute del nascituro evitando qualsiasi tipo di terapia e, dunque, condannandosi a morte. È una decisione non condivisa da Enzo, che preferirebbe vedere salva la vita della donna che ama, la quale continua a deperire giorno per giorno e non è detto sia in grado di arrivare al termine della gravidanza. Enzo ne è consapevole: la scelta di Anna, oltre a essere fatale per lei, probabilmente non garantirà la venuta al mondo del feto che cresce nel suo ventre.
È tale questione etica – con tutte le conseguenze che può comportare – al centro del romanzo di Scalese che, attraverso una soluzione classica come i flashback, alterna presente e passato. Se nel passato possiamo ricostruire la relazione di Enzo e Anna e avere un barlume di comprensione sul perché di una decisione così difficile, nel presente ci accostiamo soprattutto al protagonista che vive in maniera quasi passiva, da spettatore, l’evolvere della malattia e le soluzioni – comunque palliative – che di volta in volta Anna trova per prolungare la propria esistenza e arrivare alla fine di un percorso che ha una durata prestabilita. Quella di Anna è di fatto una gara con la morte a chi fa prima.
È proprio il rapporto fra vita e morte il cuore del romanzo. Una vita e una morte che riecheggiano sin dalla copertina, con quel volto femminile tagliato a metà: a sinistra, i colori sono accesi; a destra, campeggiano un grigio e un nero che sembrano indicare tutt’altro. La vita è il regno della speranza, della possibilità, del movimento, laddove la morte è il luogo della disperazione, dell’impossibilità e della mancanza di movimento, quest’ultima evidenziata a più riprese dai corpi stesi e statici nell’obitorio. Finché c’è vita, Enzo – ma anche altri personaggi – può provare a convincere Anna a cambiare il percorso che ha scelto di intraprendere a favore di un altro che magari può portare a risultati migliori. D’altro canto, nel momento in cui Anna ha deciso di portare a compimento la gravidanza, si è data già per spacciata. Considerandosi già morta, la ragazza non vede in ciò che resta della propria esistenza null’altro che un corpo già morto e destinato a due soli scopi: il suo ruolo, dal momento della scelta, diviene da un lato quello di fare da incubatrice per il figlio; dall’altro, apparendo in un programma televisivo che ricorda molti show della domenica in cui vengono esposti i drammi familiari tramite format altamente emotivi, Anna decide di condividere con gli altri la propria sofferenza ma anche il senso di ciò che sta facendo, e con i ricavi portare avanti le cure palliative alle quali si sta sottoponendo. Il risultato di queste apparizioni televisive è la donazione di senso a qualcosa che senso non ha, ossia la morte stessa. Anna, dunque, decide per se stessa di essere mezzo per la vita, attraverso la gravidanza, e strumento di significato, attraverso le apparizioni. Diviene un veicolo, qualcosa che valga per gli altri più di quanto vale per se stessa.
A proposito dell’obitorio in cui si svolgono molte delle scene del romanzo, è bravo Scalese a suggerire, senza calcare troppo la mano, come qui avvenga un confronto continuo fra i vivi e i morti: le persone che lavorano nell’obitorio sono costantemente a contatto con quello che anche loro un giorno diventeranno. E Anna, che almeno fino a un certo punto prosegue nella propria mansione, è costretta a fare i conti con corpi ingrigiti, rigidi, sempre prossimi a uno stato di decomposizione che viene ritardato artificialmente dalle celle frigorifere. Ma i morti, che sono in tutto e per tutto simili ai vivi, pur senza agire ricordano la differenza sostanziale che hanno con i vivi: il fatto, come anticipato, che per loro non c’è movimento e non c’è futuro. Ogni progetto, ogni pianificazione, ogni possibilità è preclusa a quei corpi. Lavorando a contatto con loro Anna, e poi Enzo, sono costretti ad affrontare il destino che attende tutti noi.
Riduzione
Anna sta coi morti è un libro, si è anticipato, che taglia ogni fronzolo e punta dritto al cuore della questione. Lo fa già dal titolo, che sta in quattro parole essenziali: il nome della protagonista (Anna, non Enzo), lo stare in un determinato luogo e il luogo stesso a cui appartiene. Anna infatti sta – si ritrova, appartiene, è uno dei – coi morti. Inoltre, così come la copertina risulta scevra da elementi superflui – un volto di donna a metà fra la vita e la morte – anche i capitoli sono sempre molto brevi, caratterizzati a volte da poche righe: le frasi concise, l’uso costante della paratassi e l’assenza di aggettivazione donano al romanzo un senso di fatalismo (Anna sta coi morti: Anna diventerà una di loro). Ogni frase è una sentenza (Anna sta coi morti: Anna è condannata). Da lettori quello che percepiamo, infine, è la disperazione di Enzo, che questa storia la sta raccontando (Anna sta coi morti: non posso fare niente). Su tutto il romanzo si posa un velo grigio, dettato dall’assenza di coloriture emotive, che lascia ai fatti il compito di indicare cosa stia accadendo. E i fatti parlano chiaro, come si è detto sopra. Anna ha deciso e non sembra esserci via d’uscita. Utilizzando un linguaggio asciutto, al limite del laconico, Scalese consegna un testo da cui ha spazzato via ogni orpello, ogni paternalismo, ogni futile emotività che avrebbe potuto facilmente imbellettare un tema delicato come questo.
Anna sta coi morti è un libro perfetto perché tutto ciò di cui è composto – la copertina, il titolo, il tema, la struttura delle frasi – è coerente e concorre a creare un romanzo organico e compiuto. Un’ottima prova di scrittura.
In copertina, scatto di Javad Esmaeili su Unsplash