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L’amicizia come «contro-potere». Una conversazione con Geoffroy de Lagasnerie

Un’intervista al filosofo e sociologo francese a partire dal suo ultimo libro “3. Un’aspirazione al fuori. Elogio politico dell’amicizia”, edito da L’orma editore.

C’è un libro che ha destato scalpore in Francia. Si intitola 3. Un’aspirazione al fuori ed è da meno di un mese nelle librerie italiane, tradotto da Annalisa Romani per L’orma editore. L’autore è il filosofo e sociologo Geoffroy de Lagasnerie, noto intellettuale di sinistra, conferenziere di fama, scrittore-pensatore dalle idee radicali.
Se la Francia è terra rivoluzionaria, Lagasnerie ne è il più degno cittadino: nel suo libro-manifesto, 3. Un’aspirazione al fuori. Elogio politico dell’amicizia, propone la relazione amicale come modello alternativo di vita, contestando il primato dato dalla società alla famiglia come istituzione. I libri migliori sono quelli che fanno pensare, riuscendo persino a scardinare le nostre convinzioni in apparenza più inscalfibili: il pamphlet politico-letterario di Lagasnerie è senza dubbio uno di questi. Né romanzo né saggio, è un’opera ibrida che mescola abilmente il memoir con le nozioni aneddotiche della sociologia e della filosofia.

Partendo dalla propria esperienza personale: Lagasnerie è il compagno del noto sociologo e filosofo francese Didier Eribon e amico dello scrittore Édouard Louis – i tre formano un trio inseparabile nella vita – l’autore cita Foucalt, Aristotele, Platone, Montaigne, Bourdieu per proporre l’amicizia come modello ideale di relazione umana, sradicando l’autorità tradizionalmente affibbiata alla famiglia come sistema.

Cosa accadrebbe se ponessimo le relazioni amicali al centro delle nostre vite? Il quarantenne filosofo francese, voce rampante della sinistra contemporanea, parte da questo assunto per comporre un libro di stampo fortemente anti-istituzionale: oggi infatti il tema della «famiglia tradizionale» è tornato a essere al centro della politica europeista di destra, forse anche per contrastare la crescente denatalità e la crisi demografica. Non possiamo tacere, tuttavia, che in questa nuova impennata dei discorsi politici sulla famiglia giochi un ruolo determinante l’ideologia: la società sta cambiando e i partiti conservatori cercano di ostacolarne il progresso, poiché in questa evoluzione repentina avvertono un segnale di pericolo.

Servendosi dello strumento illuminato del pensiero, Lagasnerie nel suo libro dimostra come le relazioni amicali abbiano in verità sempre promosso lo sviluppo sociale, cementando l’empatia e svolgendo una funzione creatrice anche dal punto di vista artistico. Nell’utopia di una società amicale si avvera il sogno mai tramontato di un mondo più giusto, poiché basato su relazioni ugualitarie. 3. Un’aspirazione al fuori. Elogio politico dell’amicizia è un libro etico che si apre alla pluralità in evoluzione del contemporaneo, mostrando il concetto di amicizia come una trasfigurazione dell’individuale nel collettivo, per aprire le porte a una società equa in cui trionfino la generosità e la presenza solidale, anziché la competizione e l’egoismo.    
Un libro coraggioso, che ancora una volta ci dimostra come il personale è politico. Geoffroy de Lagasnerie lo ha presentato alla fiera romana della piccola-media editoria “Più libri più liberi”.
Ne abbiamo parlato in questa intervista.

In questo saggio 3. Un’aspirazione al fuori esplora l’amicizia attraverso tre prospettive differenti: la sociologia, la letteratura e l’esperienza personale. Il numero 3 ritorna di frequente nella struttura del libro. Questa visione tripartita delle cose ci permette di allargare le prospettive?
Tre vuole essere un inizio per interrogare il modo in cui la nostra cultura pensa l’amicizia sul modello della coppia – o anche la coppia sul modello dell’amicizia, tendendo a dire ad esempio: «Gli amici sono una coppia che non fa l’amore». Questo saggio è una maniera per affrancarsi da questo modo di concepire la coppia nella nostra società e pensare quindi a una moltitudine di legami, perché 3 è sempre in opposizione al 2 che è il numero su cui la nostra società ci impone di omologarci. Questo scarto tra la cifra del tre e la cifra del due vuole proporre una forma di vita differente, ovvero la possibilità di affermare una molteplicità di relazioni. Proprio per questo motivo 3. Un’aspirazione al fuori vuole essere un libro totale, tenere insieme al suo interno discipline diverse: la fotografia, il cinema, la filosofia, la sociologia, la letteratura, per nutrire l’immaginario della vita a tre poco pensato dalla società. 

L’etica dell’amicizia ha delle ripercussioni politiche. Scrivere sull’amicizia come «contro-potere», in un’epoca in cui trionfa la politica familiare di destra, è un atto anarchico?
Sì. Ciò che è stato importantissimo nella redazione di questo libro è il tentativo di non ridurre l’amicizia a qualcosa di intimo, ma farne un progetto politico. L’etica dell’amicizia ha lo stesso valore di ciò che è stata per la sinistra l’anarchia, celebra una sorta di rottura istituzionale. L’amicizia afferma l’utopia del “vivere altrimenti”. Io penso che se le nostre società oggi sono attraversate da tutte queste crisi, da sentimenti negativi, quali l’egoismo e la competizione, ciò è anche dovuto dal fatto di essere fondate sulla famiglia, sull’unità domestica. Perché la famiglia è il luogo del ripiegamento su di sé, segue l’interesse della riproduzione sociale; al contrario l’amicizia è un luogo di apertura all’altro che destabilizza, proprio perché decentra dall’io. Penso che se mettessimo l’amicizia al centro della nostra società – e non la famiglia – avremmo una società molto più libera. Quindi proporrei di fondare un Ministero dell’Amicizia, anziché un Ministero della Famiglia. 

Quello che mi interessa, nel mio lavoro di scrittura, è ricercare significati politici che siano irrecuperabili dal punto di vista della Destra. Perché c’è sempre un recupero di quello che fa la Sinistra negli ideali politici di Destra; ma io sono certo che se parlo di “distruzione della famiglia”, la Destra non potrà appropriarsi, in alcun modo, di questo ideale. Io credo che uno stile di vita amicale sia, per definizione, uno stile di vita di sinistra.

In una precedente intervista ha dichiarato che il punto di partenza di questo saggio è stato una forma di tristezza, di malinconia, causata dall’organizzazione sociale della società attuale. Scrivere questo libro le ha portato serenità o, forse, una soluzione?
La tristezza è un sentimento molto presente nel mondo sociale. Penso che molte persone oggi vivano nonostante sé stesse, perché seguono delle immagini ­precostituite – la coppia, la genitorialità, la convivenza ­­– cui loro non corrispondono. Questo mancato adeguamento produce spesso solitudine, nelle donne, nelle persone omosessuali, ma anche nei singoli componenti di una coppia. Molti hanno l’impressione di annoiarsi seguendo questo schema. Il libro quindi non vuole solo criticare la famiglia come istituzione, ma intende proporre una prospettiva altra. Non è che perché una persona non ha figli, oppure non vive in coppia, allora non ha diritto alla felicità; si può essere felici in altri modi, nell’amicizia, per esempio. Voglio proporre un approccio che non sia solo decostruttivo, ma anche costruttivo: l’etica dell’amicizia vuole essere la costruzione di un’utopia concreta. L’invito contenuto nelle pagine è: «Chiama i tuoi amici, mettili al centro della tua vita».

Nella vostra amicizia, tra lei Didier ed Édouard, la scrittura riveste un ruolo cruciale. Non è un caso che vi chiamino «il trio reale della letteratura francese contemporanea». Ciò che vi accomuna è che tutti e tre scrivete «contro la letteratura». Qual è l’importanza della scrittura nel vostro legame?
Nella storia, in generale, la creazione artistica e quella relazionale sono spesso unite. Scrivere nuove forme letterarie presuppone avere nuovi legami. La scrittura è di per sé un atto auto-formativo, «Scrivo a modo mio», ma serve anche inventare relazioni che sostengano questa forma di scrittura. Nella nostra cultura abbiamo spesso l’idea dell’artista come di un essere solitario, invece un artista per creare deve circondarsi sempre di amici per avere più stimoli, più visioni. Pensiamo a Sartre e Beauvoir, a Violette Leduc; il consiglio più giusto da dare è «Se volete scrivere, circondatevi di amici».

La nuova visione della famiglia è anche una questione generazionale. Io credo che le nuove generazioni siano più disposte ad accettare dei modelli relazionali alternativi. La percezione di coppia, così come quella di famiglia tradizionale, sta cambiando, non crede?
Penso che il fatto che i giovani oggi interroghino la famiglia come istituzione non sia un criterio di rottura con l’ordine famigliare precostituito. Perché la giovinezza è, per tradizione, uno spazio di libertà e di allontanamento dalla famiglia: una sorta di pausa prima di entrare nell’età adulta. Il vero criterio per misurare la nascita di una nuova forma sociale è vedere come agiscono le persone di quaranta, cinquant’anni. Lo dico perché ho visto persone adeguarsi tardi allo stile di vita famigliare, ma comunque adeguarsi e riprodurre, in modo forse ancora più potente, i ruoli e le abitudini secondo le aspettative sociali consuete: la convivenza, la vita di coppia, il matrimonio, i bambini.

È normale per i giovani essere «anti-famigliari», la vera questione è: gli adulti lo sono? Oggi spesso il matrimonio è visto ancora come il rito di passaggio per l’ingresso ufficiale nell’età adulta. La nostra società ha alimentato un’idea di vita adulta strettamente legata alla famiglia, ancora non ci siamo allontanati da questa visione. L’amicizia, invece, non è una frontiera da varcare.

Il saggio ha destato scalpore in Francia. Le Figaro l’ha definita: «Il filosofo in guerra contro il familismo». Si riconosce in questa definizione?
È vero, perché l’obiettivo definitivo del mio libro è politico: evitare che una forma sociale di vita prevalga sulle altre. Oggi politicamente ci sono dei privilegi accordati alla famiglia come istituzione: sgravi sulle tasse, agevolazioni finanziarie, eccetera. Io trovo che questo sia un dispositivo di persecuzione e di devalorizzazione dei legami di amicizia. Chi è in famiglia pensa sia normale avere questi vantaggi; mentre non è giusto per chi vive altrimenti. In un’ottica di vera uguaglianza sociale la guerra contro il familismo deve diventare un obiettivo politico. 

A un certo punto scrive una frase molto forte, provocatoria: «Quante opere sono state abortite perché sono nati dei bambini?». Quindi l’esercizio della scrittura si scontra con l’etica familiare? O i bambini o i libri?
Non è molto originale quello che sto per dire, ma una delle condizioni necessarie alla scrittura è il tempo e quando vediamo quante poche donne scrivono, rispetto agli uomini, è evidente che non c’è solo un dominio maschile in atto, ma c’è un dominio famigliare. Abbiamo tanti grandi scrittori; ma se dovessimo scrivere una storia della creazione letteraria viene da chiedersi: chi si occupava dei bambini mentre gli uomini scrivevano? È evidente che la disposizione della vita intellettuale è agli antipodi della genitorialità: il bambino non può essere abbandonato, deve essere accudito, nutrito, portato a scuola. Il bambino vampirizza ogni forma di spazio mentale; dunque è evidente che la creazione artistica è incompatibile con l’essere genitori. In una società fondata sull’amicizia, invece, la cura del bambino sarebbe il più possibile condivisa.

In uno dei suoi saggi, Didier Eribon scrive che non ci sono parole adatte per descrivere i legami che uniscono tra loro persone di generazioni diverse. Una delle nostre intellettuali italiane più lungimiranti, Michela Murgia, parlava di «famiglia queer». Trovare le parole per dirlo, è forse la prima maniera di far esistere le cose?
Per far esistere qualcosa bisogna pensarlo nella sua singolarità. Per questo io sono molto reticente alla nozione famigliare, anche intesa come “famiglia di amici” o “famiglia scelta”, perché questo vocabolario ripiega l’amicizia sull’amore. Penso invece che l’amicizia debba essere anti-nomica rispetto alla famiglia, definendosi per opposizione. Bisogna autonomizzare l’amicizia rispetto alla famiglia; per questo sono molto scettico anche quando, per esprimere l’affettività, si ricorre a un vocabolario famigliare: «Tu sei come un fratello per me». Ecco, non è necessario che tu sia mio fratello perché io ti voglia bene, anzi, penso sia anche più bello che tu mi voglia bene perché non sei mio fratello. È interessante che la società non abbia un lessico specifico dei nomi per esprimere l’amicizia: abbiamo vocaboli per tutte le sfumature di parentela, le gerarchie, i legami affettivi, ma non abbiamo un lessico adeguato per esprimere la varietà delle relazioni amicali.  Il sentimento amicale non ha nome, è un buco nero all’interno della nostra cultura; eppure, nonostante questo, quando qualcuno pensa alla sua vita spesso i momenti forti sono i momenti puramente amicali. Però questi legami, pur così intensi, non hanno riconoscimento politico-giuridico e neanche, di fatto, sul vocabolario, nella lingua parlata di tutti i giorni.

Penso quindi che la scrittura abbia bisogno di un nuovo linguaggio, che sia antinomico, autonomo e opposizionale. L’amicizia è in fondo il sentimento più puro, perché è aperta – e non è mai gelosa.


Copertina: Geoffroy de Lagasnerie ©


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