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Al cuore delle cose

“Introduzione alla Realtà” di Edoardo Camurri

Introduzione alla realtà di Edoardo Camurri (Timeo, 2024, pp.95) è un libro evanescente, fumoso, aureo. I temi del volumetto sono quantomeno audaci: la nostra intera esistenza, il cosmo, il suo respiro, e l’esperienza che noi possiamo farne. Il breve saggio di Camurri s’apre con una citazione da I racconti dei Chassidim di Buber: «Schiacciati e infranti bisogna essere, ma per far luce, non per giacere a terra» e questo esergo racchiude un poco uno dei messaggi di fondo dell’intero libro: non più un ‘io’ titanico, un soggetto unitario che si oppone all’oggetto, ma una fusione, un mucchio di frammenti, di lapilli: l’identità, per Camurri, è un respiro senza confini, una voce nell’orchestra del cosmo.

Ma andiamo per ordine. La realtà, per chi scrive, è qualcosa che ci precede e ci include ma è anche qualcosa che noi stessi produciamo e modifichiamo. E però questa gettatezza nel mondo ci procura una ferita, un terrore, o più precisamente, Thauma (θαῦμα): parola aristotelica che indica l’angoscia del soggetto che sperimenta il mondo, che si ritrova dentro la realtà, che patisce. La realtà è quindi un dentro che ci accoglie e che, allo stesso tempo, ci affama. Ed è lo spazio della nostra primavoltità, dei nostri esordi. L’esistenza in questa visione si configura come perenne inizio, un cominciamento giornaliero. Senza tregua o sosta il soggetto ogni giorno sfida e rinnova la vita. E in questo spazio confuso e vorticoso che abbraccia l’essere di tutte le cose non v’è netta separazione tra noi e gli elementi del mondo, tra soggetto e oggetto. È lo sguardo dell’uomo a compiere l’esercizio della distinzione, della classificazione, di creazione di uno iato, di un respiro individuale. Quell’alito così importante e inaugurale che nella tradizione cristiana – il soffio di Dio – dà la vita e che ci caratterizza più profondamente in quanto esseri viventi. Ma siamo ancora lontani dall’esaurire il campionario di possibilità offertoci dall’esistenza. Camurri, difatti, soltanto provvisoriamente, distingue inizialmente due tipi di realtà: e cioè, da un lato la «Realtà» familiare, quella che sperimentiamo ogni giorno, il nostro concreto solcare le strade del mondo, la quotidianità bruta; ma dall’altro, la Realtà senza virgolette, aperta, la Realtà dello stupore e del terrore, la Realtà libera.

Tuttavia questa doppiezza – ci avvisa Camurri – è solo illusoria. Poiché non esiste altro che una terza realtà che è una sola e che include ovviamente le due precedenti: la R E A L T À che noi siamo, che ci preesiste ma che allo stesso tempo anche noi contribuiamo a creare, la R E A L T À ove convivono soggetto e oggetto, la R E A L T À plurale e pura fatta d’atomi, di particelle e vibrazioni, quella ove si sommano il cielo e la terra, la vita degli uomini e quella degli astri, l’essere e il divenire: insomma, il mondo tutto. Finanche le parole che usiamo per dire la realtà sono R E A L T À. Poiché è realtà il soggetto che si racconta. E il soggetto non è altro che un pezzettino di mondo. Quello di Camurri sembra un tentativo di ripensare quella totalità tanto a lungo agognata dalla filosofia classica e oggi dimenticata da una società tutta occupata dall’organizzazione e parzializzazione d’ogni campo del sapere, scientificamente e rigidamente frazionata in soggetti soli e in muti oggetti da utilizzare solo strumentalmente, e che non presta più attenzione alla vita nascosta, quella che dappertutto ci circonda e che palpita sotterraneamente. Ecco, chi scrive riflette proprio su questa inafferrabilità delle cose che ci abitano accanto in silenzio o impercettibilmente, sull’ineffabile. A questo punto il lettore potrà chiedersi quale giovamento possa arrecare questa riflessione sulla totalità o proverà imbarazzo e scetticismo di fronte a queste parole misteriche, a queste formule quasi magiche. È bene allora dare immediatamente una risposta: nessun giovamento e nessuna derisione. Non è qui in gioco la verità o l’assoluto, non vi sono promesse né guarigioni. Ma attraversamenti di soglie. Camurri ci invita infatti a una ribellione gentile contro noi stessi e a sabotare i nostri schemi più rigidi e le nostre abitudini, a fare uno sgambetto al grigiore e alla scialba ordinarietà. Ci suggerisce che il nostro esistere è allo stesso tempo inscritto nella durezza della vita ma anche nella sua morbidezza, sospesa tra pietra e polvere. Vale a dire che noi abitiamo il mondo e, nel frattempo, anch’esso a sua volta ci abita. Ognuno di noi ospita quel che cosmo che crediamo lontano e che gli astronomi osservano coi loro sofisticatissimi telescopi. Il messaggio comincia allora a farsi importante: tutta la vita, la R E A L T À intera, s’agita dentro di noi. Stelle e cose ci luccicano dentro. Bisogna dunque reimparare a osservare e osservarci, occorrono nuovi modi di esperire la vita, occhi differenti ci servono, e mani, gesti. Ed è questo certamente un programma ambizioso. In che maniera innovativa possiamo fare esperienza dell’esistenza? Quale moto o sentimento può condurci ad apprendere la vita in modo rinnovato? Qui Camurri ci sorprende con la parola più banale e più felice: amore. La realtà ci domanda amore. Passione per ogni istante e ogni angolo di realtà, ogni dolore ed angoscia.

E passione è qui da intendere nel suo etimo latino: una perturbazione dell’anima, una passività violenta che ci coglie e una radicale attività di risposta. Insomma, Introduzione alla realtà non è un libro di filosofia, non è un saggio critico né un manuale. È un canto leggero d’amore, una danza. È, appunto, una introduzione. Anche qui etimologicamente. Un introducere, un avviamento, un mettere dentro. Ecco. Camurri, con questo libro, ci porta dritti dritti dentro la realtà.

Immagine di copertina: René Magritte, La condizione umana (La condition humaine), 1933

Immagine nel corpo del testo: René Magritte,The revealing of the present, 1936

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