Che cosa accadrebbe se pubblicassimo una foto sui social e nessuno ci mettesse un like? Ecco il tormento che ci assale ogni volta che scattiamo una foto con l’intenzione di condividerla sui social. Un’ansia che cresce proporzionalmente all’importanza del momento che vogliamo mostrare ai nostri follower.
Il desiderio di raccontare la nostra vita ha una conseguenza cruciale: ci impedisce di vivere davvero gli eventi. Non basta più guardare un semplice tramonto: dobbiamo essere nella posizione giusta, scegliere i filtri giusti, la didascalia perfetta, magari accompagnata da una canzone che amplifichi l’effetto. E spesso, nel tentativo di impressionare chi ci segue, raccontiamo sensazioni che in quel momento non stiamo davvero provando. Tutto diventa subordinato al racconto che vogliamo costruire. Dobbiamo fare colpo. Ma, alla fine, dopo aver contato i like e i commenti, cosa ci resta?
Questo rapporto ossessivo-compulsivo con i social è centrale nella vita di Jenny McLaine, protagonista di Adulti, romanzo di Emma Jane Unsworth, pubblicato in Italia da Mondadori, con la traduzione di Chiara Mancini.

Jenny ha trentacinque anni e, almeno sulla carta, è ormai adulta. La sua vita sembra ben avviata: ha un lavoro in una rivista, dove cura una rubrica tutta sua, e una casa di proprietà che condivide con alcune coinquiline. Ma il suo equilibrio è fragile.
Si definisce progressista e femminista, eppure il suo umore dalla didascalia da abbinare alla foto di un croissant. Anzi, il cambiamento di umore inizia proprio dalla scelta del croissant: deve essere il più bello, non per soddisfare il palato. Deve essere “instagrammabile”.
Questa ossessione condiziona non solo la vita di Jenny, ma anche quella di tutti noi. Capita di scegliere i ristoranti considerando prima di tutto l’estetica del locale, a come il cibo viene impiattato e quindi bello da fotografare. E così, proprio come Jenny spesso non mangia quel cornetto, anche noi dimentichiamo il sapore del cibo o l’importanza della compagnia che abbiamo a tavola.
Su Instagram vediamo migliaia di persone replicare le stesse battute, gli stessi gesti, le stesse inquadrature, sempre più condizionati dai trend. Essere al passo con i social, oggi, significa aderire a una narrazione collettiva, anche a costo di perdere la propria autenticità.
«Continuare a fissare lo schermo. Cerco di ricordare l’ispirazione iniziale, di lasciarmi guidare da quella. È il minimo che possa fare. Mi interrogo. Alla fine è questo che si dovrebbe fare verso i trentacinque anni: interrogarsi, costantemente. Trovare il coraggio di cambiare quello che si può e affidarsi alla psicoterapia per accettare tutto il resto».
Jenny è sempre connessa, sempre online, dipendente da quel mondo raccontato sui social, che le dà l’illusione di vivere. Costruisce una vita di apparenze, così solida da soffocare persino il suo dolore, che alla fine, inevitabilmente, trova il modo di emergere.
Quella perfezione ostentata sui social, infatti, non esiste. Jenny ha appena chiuso una relazione di sette anni con il fidanzato Art. Un giorno lo incontra per caso per strada, in compagnia di una donna che Jenny segue ossessivamente su Instagram, e con loro c’è una bambina.
Questa scena la getta in una terribile crisi, perché riporta a galla una ferita che non ha mai condiviso con nessuno. Durante la sua relazione con Art, infatti, Jenny era rimasta incinta. Per lei, la gravidanza era motivo di gioia, ma non per lui, che l’aveva fatta sentire un peso. Poi l’aborto spontaneo: Jenny sola in un ospedale, senza nessuno accanto. Ora ritrova quell’uomo che l’aveva abbandonata durante il momento più doloroso della sua vita con una bambina.
Spesso giudicata egocentrica, folle, ma alla fine nessuno conosce il dolore che si porta dentro.
A stravolgere definitivamente l’equilibrio già precario della sua vita, è l’arrivo di sua madre Carmen: ex attrice con una nuova carriera da sensitiva, una donna ingombrante e caotica. Carmen piomba così a casa della figlia con l’obiettivo di disintossicarla dai social. Lo fa in modo improbabile: tra bottiglie di gin e letture di tarocchi, convinta che bastino pochi rituali per risolvere anni di traumi e solitudine.
Le problematiche di Jenny affondano le radici proprio nella sua infanzia e nel rapporto con la madre, sempre assente, sempre pronta a colmare le sue mancanze con i soldi.
La protagonista capisce che ora ciò di cui ha bisogno è qualcuno che sia presente davvero, fisicamente, e che la aiuti a trovare un senso di stabilità.
Il tratto distintivo di questo romanzo è la scrittura brillante di Emma Jane Unsworth: una narrazione intelligente, piena di umorismo, che rende questa storia una commedia stravagante sulla società contemporanea. L’autrice ci trascina nel vortice della vita di questa trentacinquenne, tra ansie e insicurezze, facendoci anche ridere. Perché, nonostante tutto, Jenny non perde mai la sua stravaganza. La sua storia diventa la storia di tutti noi, un riflesso delle nostre fragilità e ossessioni. E quando Jenny finalmente trova il coraggio di chiedere aiuto e di affidarsi alla psicoterapia, compiendo forse il primo vero passo da adulta, non possiamo che gioire con lei.
Jenny incarna quelle figure che popolano la nostra realtà quotidiana, simili alle influencer come Chiara Ferragni, la cui vita sembra perfetta: successo, famiglia da sogno, sorrisi impeccabili in ogni scatto. Tuttavia, dietro questa facciata scintillante si nasconde una verità profonda: il nostro bisogno disperato di cancellare il dolore. In un mondo in cui l’immagine è tutto, le cicatrici e le imperfezioni vengono percepite come debolezze da nascondere, quasi come se eliminare ogni traccia di sofferenza potesse renderci più forti. La vera sfida, quindi, diventa imparare a mostrare e riscoprire la ricchezza di una vita vissuta nella sua totalità, con tutte le sfumature che definiscono la nostra umanità.