Diego Abatantuono è contemporaneamente l’ultimo di un gruppo di attori che resero grande e significativa la commedia all’italiana e anche il primo di una serie interminabile e a tratti esausta di comici e animali da palcoscenico. Cresciuto biograficamente e artisticamente al Giambellino, storico quartiere popolare di Milano e al Derby Club forse l’emblema migliore di una Milano che sapeva mettere attorno allo stesso tavolo artisti, comici, geni e malfattori, Abatantuono deve la sua fama ad un istinto comico puro e straordinario, ma deve la sua durata alla capacità, rarissima, di dare un senso preciso alla propria esperienza biografica. Se infatti negli anni Diego Abatantuono ha saputo proporsi costantemente sulla scena artistica lo si deve ad una sensibilità eccezionale (eccezionale veramente, è proprio il caso di dire) che gli ha permesso di variare di volta in volta anche radicalmente il proprio “personaggio” con però minime e puntualissime correzioni. Variazioni che non hanno mai rinnegato nulla del passato, ma che all’opposto si sono arricchite e rese possibili grazie ad una presa di coscienza precisa del proprio stare nelle cose. Si potrebbe andare tutti al mio funerale, scritto con la collaborazione di Giorgio Terruzzi, vive fortemente di questa lucida coscienza di sé e della propria storia, al punto da potersi permettere una sorta di autobiografia collettiva e condivisa dentro alla quale la voce di Abatantuono appare più in forma interrogativa che assertiva.
In un immaginario tempo futuro Abatantuono si aggira come un fantasma nel giorno del suo funerale, intercettando le voci di familiari e di amici, tra qualche risata e qualche lacrima di addio. Costruito con più voci il libro assume la forma di una testimonianza romanzesca efficace, densa e compatta su un tempo eroico e disperato, quello di una Milano in cui il boom era visibile da chiunque, ma non godibile proprio da tutti. Il ricordo della madre di Abatantuono sta tutto in una giornata infinita di lavoro (di notte guardarobiera al Derby e di giorno al banco del negozio di modellismo del marito), e in una gratitudine infinita che ripercorre sia la durezza di quegli anni, ma anche la dolcezza familiare che scivola come in un lungo piano sequenza nelle risa e negli schiamazzi notturni con gli amici di sempre. Quelli erano infatti anni in cui si nasceva insieme e insieme si cresceva: stesse strade, stessi locali e medesime fortune e disgrazie. Abatantuono rivela una cifra inedita di narratore, capace di trasferire sguardi ed espressioni direttamente sulla pagina. A contare come sempre qui non è la teoria, ma la pratica intesa come scuola di ogni cosa, perché a dire “scuola di vita” si rischia l’eccesso e peggio ancora la retorica di chi intende il successo come una forma di arrivo e non come un risultato magari sì fortunato, ma fatto di fatica e di ingombranti malinconie e nostalgie sempre difficili da sopire.
Si potrebbe andare tutti al mio funerale ha il senso del tempo, qualità non a caso fondamentale per un attore, ma ha anche il senso della leggerezza, quella necessaria – sempre – per sopravvivere. Non mancano nel libro i momenti cupi, i dolori che colpiscono alla schiena come un tradimento o una morte che capita quando non dovrebbe (ovvero sempre). Prima il successo iniziale fatto tutto di istinto e corpo, quello di Eccezzziunale… veramente da intendersi non come un film o una battuta, ma come il ritmo di un tempo senza freni, ma con molti legacci e impicci scoperti però troppo tardi. A cui fa seguito un tempo da paura, fatto di solitudine in cui navigare a vista in attesa degli splendidi quarant’anni che porteranno finalmente Diego Abatantuono alla consacrazione come attore totale. Tra i pochi interpreti del cinema italiano di oggi capace di accogliere il dramma come la commedia, il comico come la nevrosi intellettuale. Alla base di tutto resta però sempre la compagnia, quella intesa come movimento collettivo. Ovvero la necessità di stare nel gruppo per sentirsi accolti e per accogliere, una forma di difesa come anche di forza straordinaria. Un’idea vera e propria di vita che nasce al tempo dei pantaloni corti il cui abbandono significherebbe solo morte sicura.
Si potrebbe andare tutti al mio funerale è così quello che resta della vita, alla fine di tutto, ovvero tutti gli amici tutti insieme in uno stesso luogo. Un’interminabile festa di risa e di abbracci, di ricordi e di desideri ancora tutti da esaudire. Un sogno romantico in quella casa in Romagna comprata con i primi soldi (quelli veri) che vide accogliere per primi i genitori e poi tutti gli altri: amori, amici, figli e nipoti. Un sogno in cui non è nemmeno necessario apparire di persona, ma è sufficiente esserci, per l’appunto, come al proprio funerale. Un libro che racconta di un funerale per raccontare di una vita, certamente eccezionale, perché le qualità non hanno caratteristiche democratiche, ma al tempo stesso comune come lo sono gli affetti e la possibilità di ognuno di spendersi per essi. Un libro romantico che aggiunge una nuova temperatura alla figura artistica di Diego Abatantuono e che strappa, non di rado qualche risata e anche qualche lacrima di commozione, perché Si potrebbe andare tutti al mio funerale vive dell’incoscienza di ciò che è stato e anche della sua stessa, magica irripetibilità.