Ray Lennox, agente di polizia di Edimburgo, ha finalmente trovato la tranquillità: ha una relazione stabile con Trudi, la sua storica fidanzata, ha chiuso con il vizio della cocaina e dell’alcol e ha acquistato più autorità all’interno del distretto, tanto da ambire a una nuova promozione.
Tuttavia, quando viene ritrovato il cadavere brutalmente evirato di un famoso politico di Edimburgo, il passato traumatico di Ray ritorna, trascinandolo in un vortice di eccessi, un viaggio nel quale il poliziotto scopre di non essere riuscito a sconfiggere i suoi demoni interiori, ma solo di averli messi in un angolo. Mentre le vittime aumentano, tutte atrocemente mutilate, Lennox si rende conto che quell’orrore non è limitato solo a una serie di delitti che sta insanguinando la città, ma a qualcosa di molto più profondo, un male che sta facendo deragliare la sua esistenza.
Il tempo stringe, la spirale di violenza diventa sempre più incontrollabile e se non scopre il colpevole, tutto quello che Ray ha costruito, rischia di andare in pezzi.
I lunghi coltelli, nuovo romanzo di Irvine Welsh, alfiere di quel gruppo di penne ribelli del Regno Unito denominato Chemical Generation, è il sequel di Crime, volume uscito nel 2008. Titolo per certi versi negletto, offuscato da altri libri più riusciti, ma che conserva al suo interno una profondità e un grado di introspezione che Welsh ha deciso di ripercorrere e sviscerare in questa nuova fatica, edita, come sempre e fedelmente, da Guanda editore.
Non è la prima volta che lo scrittore scozzese esplora il noir. Ogni romanzo concepito dall’autore ha sempre accarezzato dimensioni più o meno oscure, ma negli ultimi anni, la gradazione di nero presente nelle sue opere è sempre più marcata, basti pensare a L’artista del coltello (sì, gli piacciono le lame) che porta avanti una struttura che rispetta l’impianto classico del thriller, ponendo come protagonista assoluto il leggendario Frank “Franco” Begbie, celebre paesano truce e dal cazzotto facile di Trainspotting, il Big Bang da cui poi hanno preso vita tutte le altre opere di Welsh.
Anche se viveva in quel quartiere, Lennox non è un compagno di Leith, il regno dei soci di Trainspotting, non abita nelle Coree, le case popolari di Edimburgo, ma è originario della fazione opposta, quella di Glasgow, di cui faceva parte anche il suo pigmalione, Bruce Robertson, protagonista de Il lercio.
Apparentemente cinico, Lennox è in realtà un uomo sensibile e con un trauma profondo, una voragine che si è creata nella sua anima da ragazzino nella quale precipita con estrema facilità, soprattutto davanti a crimini che rievocano l’inferno del suo passato. Allo stesso tempo però, conserva un’altissima moralità e, a differenza dei colleghi di un distretto in cui la corruzione stringe ogni agente nella sua morsa, considera il mestiere dell’investigatore un ruolo nobile.
Lennox si divide tra Edimburgo e Londra, mecca del potere inglese, fa esplodere la sua rabbia, si fa sedurre ancora una volta dall’alcol e soprattutto dalla cocaina, ma continua a combattere, dando tutto se stesso per fare in modo che questa catena di crimini venga tranciata e il responsabile catturato.
Quando si ha davanti un autore che ha segnato un’epoca come Irvine Welsh, è impossibile non paragonare ogni nuova opera ai suoi precedenti lavori, e se accostiamo I lunghi coltelli a Trainspotting o al suo prequel Skagboys (un capolavoro capace addirittura di superare l’opera prima) è probabile che per molti questo possa sembrare un romanzo minore.
Certo, mancano i monologhi dei personaggi e quello straripante susseguirsi di voci da un capitolo all’altro che hanno reso Welsh un campione della narrazione in prima persona. Lo slang (irresistibile, scorrettissimo e sempre tradotto eroicamente e in modo impeccabile da Massimo Bocchiola) non è portato all’estremo e lì per lì si ha l’impressione che lo scrittore sia troppo impegnato a creare una struttura perfetta più che far parlare il cuore e le coscienze infiammate dei suoi personaggi, caratteristica che gli ha permesso di conquistare non solo intere legioni di lettori, ma anche i critici letterari più raffinati.
In queste pagine, Irvine Welsh decide di raccontare esternamente, di essere terzo davanti al susseguirsi degli eventi, ma gli elementi principali della sua poetica ci sono tutti. Ritroviamo lo smarrimento di un uomo, la droga come forma di reazione al disagio, l’amore, unica ancora di salvataggio all’inferno, e l’assoluta intolleranza alle forme di sopraffazione politica o mediatica.
Il ragazzaccio di Leith non è invecchiato, è solo cresciuto. Ha scelto la vita proprio come Mark Renton, ha scelto un lavoro che, come ha dichiarato lui stesso, «lo aiuta a stare lontano dai guai» e ha scelto di guardare al futuro, ricercando strade diverse, ma che vanno sempre a congiungersi con il nucleo centrale del suo mondo, quella terra popolato da tossici, da hooligans, da emarginati e donne prigioniere di sobborghi dimenticati dal governo e dominati da una cultura machista che abbiamo conosciuto grazie a romanzi sublimi come Tolleranza zero, Colla oppure Porno.
È vero, il contesto sociopolitico dei tardi anni Ottanta capitanato da Margaret “Iron Lady” Thatcher che emergeva nei libri dedicati alle avventure di Renton, Begbie, Spud e Sick Boy, ora sembra essere un ricordo, ma la carica dissacrante e nichilista delle nuove storie è la stessa: il romanzo come forma di denuncia a un nuovo potere politico che condensa all’interno di sé corruttele e perversioni inimmaginabili.
Welsh non è rimasto fossilizzato agli anni della sua gioventù. Oggi è un osservatore attento, un intellettuale ribelle che non ha perso la voglia di prendersi gioco dei potenti. Critica ferocemente la classe politica composta da personaggi la cui unica priorità sono i benefici dati dal loro ruolo, più che il servizio ai cittadini, e sfotte velatamente una tendenza di oggi ad appiattire alcune lotte della comunità LGBTQ+ per seguire una moda, togliendo forza ai movimenti originari. Un maschio bianco rimasto indietro, si potrebbe pensare, invece è tutto l’opposto: la sua avversione nei confronti di ogni schema e ogni etichetta è un inno alla bellezza della libertà individuale, sessuale e spirituale.
Irvine Welsh è sempre attuale. Cerca di scandagliare e analizzare quello che ha davanti utilizzando il genere come metafora e fa qualcosa che molto scrittori possono considerare sacrilego: si diverte. E fa divertire anche i suoi lettori.
Immagine di copertina: Irvine Welsh nel 2007, Wikimedia Commons