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Pixar e la mitologia quotidiana

L’innocenza adulta della favola postmoderna

Inside Out 2 ha appena superato gli incassi di C’è ancora domani, il fenomeno cinematografico italiano dell’anno scorso. Una non-notizia che di certo non dovrebbe sorprenderci più di tanto: lo spettacolo della domenica pomeriggio in cui ho visto Inside Out 2 era popolato molto più da adulti che da bambini o ragazzini. Questa premessa da box office non vuole né glorificare né snobbare l’indubbio successo delle produzioni Pixar. Piuttosto ci costringe a chiederci: cosa è e cosa fa la Pixar? Se Disney è stata per quasi un secolo l’agenzia di produzione della mitologia dell’infanzia che tutti gli adulti si sono portati con sé per il resto della propria vita, negli ultimi decenni Pixar è stata la geniale fabbrica dell’immaginario adulto mascherato da cartoni per bambini. È noto che ogni film Pixar, soprattutto da Ratatouille in poi (2007) abbia almeno due linee narrative e due sistemi di riferimenti. Avventurosi, popolati da personaggi straordinari o da animali per parlare ai bambini, ma altrettanto pieni di riferimenti complessi (culturali, mitici o metafisici) per gli adulti. Le storie e i personaggi della Pixar fanno ormai parte di un immaginario collettivo consolidato, più delle ultime produzioni Disney, tanto da essere elementi di una mitologia contemporanea e un’iconografia acquisita dal pubblico medio.

Potremmo scomodare la nozione di ideologia e dire che Pixar ha riproposto, raffinato e nascosto il mito fondativo del credo americano che, nel primo imprescindibile articolo, recita: ciò che conta nella vita è farcela e affermarsi nonostante le difficoltà. Ripercorrendo alcuni dei successi più significativi, si va dal bisogno di affermare il proprio talento culinario di fronte a uno spirito gregario (la colonia di ratti che tarpa le ali a Remi, lo chef di Ratatouille), al desiderio di diventare cantante – proibito da un oscuro trauma famigliare – in Coco; dalle incomprensioni tra elementi naturali incompatibili come fuoco e acqua in Elemental, alle circostanze della vita che prima frustrano e poi glorificano il pianista protagonista di Soul; sino alle vicende di Riley in Inside out. In questo secondo episodio della saga, Riley è quasi adolescente e alle prese con nuove emozioni (Ansia, Imbarazzo, Invidia, Ennui) di fronte alle esigenze di affermazione sociale nella squadra di hockey. Come nel primo episodio gli elementi più ordinari della vita di una preadolescente sono rappresentati dall’interno della sua mente, sconquassata dall’alternarsi delle emozioni di volta in volta dominanti. La novità, tanto ovvia quanto socialmente significativa, è che il controllo della vita di Riley, prima dominato da Gioia, viene preso da Ansia. Riley, quindi, cade in un turbinio di impegni e macchinazioni per potere essere accettata dal gruppo delle più grandi e dall’allenatrice di hockey: scacciare il terrore di essere esclusa e controllare l’ansia di non potercela fare. Come nel primo Inside Out il controllo sconsiderato di un’emozione che non riconosce le altre porta Riley al tracollo emotivo e al bisogno di riconciliarsi. Significativo è anche che la questione dominante della preadolescenza, secondo gli ideatori di Pixar, sia l’ansia sociale, senza che la questione sessuale e ormonale faccia capolino. Specchio di una tendenza reale della nostra realtà o pruderie implicita di un prodotto che vuole rivolgersi anche ai bambini più o meno piccoli, l’assenza di sesso, amore, attrazione ha comunque una sua sinistra plausibilità.

Il messaggio finale, come nella prima puntata, riafferma il secondo caposaldo del credo positivo di molta filmografia americana: la chiave per la felicità è accettare gli altri e sé stessi, nella propria particolarità irriducibile, senza pretendere di essere chi non si è. Accettandosi ma allo stesso tempo lottando per affermarsi si può raggiungere la felicità e il compimento della propria vita. Sia in Inside Out che in altri prodotti della Pixar questo è un messaggio pervasivo che si dipana in avventure sempre più ordinarie (le fasi della vita, le normali frustrazioni dell’esistenza) in cui lo spettatore medio si può rispecchiare senza alcun bisogno di elaborazione simbolica. In Ratatouille è inevitabile identificarsi nel ratto Remi alle prese con l’alta gastronomia. La storia di Coco, che si conclude con la riconciliazione dopo una ricerca delle radici famigliari nell’oltretomba, ha fatto piangere gli adulti ancora più dei piccini.

Cosa sono, quindi, i film animati della Pixar? Favole contemporanee? Le favole della Pixar sono diverse materialmente dalle favole classiche. Pur presentando una struttura solita – l’eroe/eroina che deve affrontare varie peripezie per affermarsi – le storie sono quasi prive di cattivi e nemici veri e propri. Ci sono due piccoli villain: in Coco l’ex socio del bisnonno di Miguel che uccide il bisnonno per spianare la propria carriera solitaria di cantante; in Ratatouille Remi è ostacolato da un mediocre chef che segue una strategia affaristica. Ma questi cattivi non sono il motore dell’azione e non costituiscono la vera sfida. Anche in Ratatouille il temibilissimo critico gastronomico (Anton Ego) diviene alla fine il più grande sostenitore di Remi. Il male non esiste, se non marginalmente, e la fonte del dramma è la banale e pervasiva complessità della vita. Tutti i problemi derivano da quotidiane e inevitabili incomprensioni: in Ratatouille l’incapacità del papà di Remi di ammettere che un ratto possa convivere con gli umani; in Coco il motore drammatico sta nel fatto che la famiglia di Miguel non sa che il bisnonno non aveva abbandonato la bisnonna per seguire la carriera di cantante, bensì che era stato ucciso dal suo socio; in Elemental il generatore di azione e difficoltà è dato dall’impossibilità etnica e materiale degli innamorati (fuoco e acqua) di convivere e la soluzione sarà convincere un riluttante padre focoso (simbolo di una famiglia immigrata) che l’unione degli opposti si può fare; il dramma del protagonista di Soul è in fondo solo la sfortuna che non gli ha dato la possibilità di esprimere il suo talento e che sembra tenerlo appeso tra la vita e la morte in un banale incidente stradale; infine in Inside Out il tema è la difficoltà della crescita di fronte alle sfide quotidiane (un trasloco, la competizione).

Ogni difficoltà è superabile: il ratto può diventare grande chef, gli elementi avversi della realtà (acqua e fuoco) possono convivere se lo vogliono. La diversità etnica e la peculiarità di ciascuno sono risorse, se soltanto siamo in grado di aprirci all’altro. La felicità è quindi a portata di mano e ogni sogno personale può essere realizzato se l’ambiente è pronto ad accettare la particolarità di ognuno e se si persegue con convinzione la propria strada.

Ma a differenza di banali prodotti di ideologia di bassa lega, nel mondo Pixar questo schema risolutivo, di catarsi assicurata, viene costruito con imponenti fondali simbolici: in Coco il viaggio nell’oltretomba (rappresentato come una colossale scenografia di art nouveau messicana in cui Frida Kahlo viene amabilmente presa in giro); in Soul la tensione drammatica si dipana tra gli incidenti del protagonista e uno spazio fuori dal tempo che è popolato da proto-anime prima della nascita; in Elemental, l’ambiente è letteralmente rappresentato da personaggi che esprimono lo scontro-incontro tra gli elementi della realtà (terra, aria, acqua, fuoco); in Inside Out gran parte dell’azione avviene a livello della struttura profonda della mente e delle basi emotive dell’esistenza. Questi fondali simbolici rendono indimenticabili storie altrimenti molto ordinarie.

In questo la mitologia Pixar differisce dalla favola classica. Mentre le favole classiche simbolizzano problemi eterni (amore, conflitti, sofferenza, perdita) proiettandoli in un ambiente senza tempo, le storie Pixar rappresentano vicende più che quotidiane che di per sé non hanno nulla di simbolico, ma che vengono riscattate da un impianto scenografico profondo. Si tratta quindi di favole postmoderne: senza il male, senza i cattivi, con una soluzione assicurata. Postmoderne anche perché ambientate in un tempo presente in cui i disguidi del giorno d’oggi convivono con la struttura profonda del reale. Raffinatissima e brillante ideologia che intrattiene i bambini e manda messaggi subliminali agli adulti: possiamo goderne i riferimenti culturali mai banali e sentirci confortati emotivamente dalla catarsi. Tutto questo è molto vero ma in fondo troppo ovvio. Proprio in quanto macchina favolistica postmoderna l’etichetta di ideologia non può costituire una vera e propria critica. Anzi può far quasi sorridere, come se il declarare semplicistica l’illusione della realizzazione individuale e la falsità del volersi bene come soluzione per tutti i conflitti potesse (ancora) costituire un meccanismo di smontaggio. Proprio in quanto insieme di favole postmoderne la produzione Pixar risulta immune dall’accusa (vecchia e stantia) di ideologia e in fondo possiamo noi stessi tranquillizzarci di fronte a un’ansia (non necessaria) di smascheramento.

Immagine di copertina: Guillaume de Machaut, 1350-55 Manuscript (Ms. français 1586), Bibliothèque Nationale, Paris

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