Parlando di Piet Mondrian, spesso si fa riferimento al suo incrocio di linee rette, agli accesi colori primari, al suo stile grafico astratto. Quadri come Composizione II e Composizione con rosso giallo blu sono evocativi del suo lavoro, e rimasti indelebili nel tempo. Ma se provassimo a seguire le tracce di quelle linee e di quei colori? Se provassimo a rivedere l’opera dell’artista olandese di pari passo con i suoi spostamenti geografici, gli avvenimenti storici e l’evolversi del suo pensiero?
Per capire pienamente perché Mondrian è arrivato a dipingere le opere per cui tutt’ora lo ricordiamo è necessario fare qualche passo indietro e ripercorrere le diverse fasi pittoriche che lo hanno caratterizzato. Con questo proposito il Mudec Museo delle Culture di Milano sta ospitando la retrospettiva Piet Mondrian, dalla figurazione all’astrazione, che sarà aperta al pubblico fino al 27 di marzo. Grazie alla vivacità delle colorate pareti espositive, che evocano gli stessi dipinti iconici dell’artista, ci immergiamo nel suo mondo, cercando di compiere un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio.
Il lavoro di Peter Cornelis Mondriaan (1872-1944), nome originario dell’artista, va letto sullo sfondo della tradizione della pittura olandese di paesaggio, con cui egli esordisce. Formatosi presso la Rijksakademie van Beeldende Kunsten di Amsterdam negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, la sua pittura mostrava inizialmente i segni di una tradizione fortemente realista. In questa prima fase egli rispecchiava i canoni tradizionali della Scuola olandese dell’Aja, movimento di giovani artisti influenzato a sua volta al gruppo di Barbizon, esponenti della pittura en plein air in Francia. L’idea alla base del movimento era considerata rivoluzionaria per l’epoca, proprio per il suo volersi opporre al recente romanticismo, ormai superato. Si ribadiva l’esigenza di un maggiore ritorno alla realtà della natura.
«Non ho mai dipinto in modo romantico; fin dall’inizio, sono sempre stato un realista».
Piet Mondrian, 1944
I primi dipinti di Mondrian mostravano elementi ricorrenti e tipici della pittura paesaggistica olandese: mulini, campi, fiori, alberi e canali sono i soggetti principali delle sue tele. Nonostante queste opere si pongano come ritratti descrittivi della realtà, si comincia a percepire una tendenza verso la dimensione interpretativa delle cose. Col tempo, di queste figure naturali rimarranno solo le strutture, caratterizzate da linee verticali e orizzontali.
Dopo il 1908 l’artista iniziò ad inserire elementi simbolici con lo scopo di fornire una visione quasi metafisica della realtà, ispirato dalle teorie teosofiche di Helena Blavatsky. A partire da opere quali Devozione (1908) è evidente come Mondrian sentisse progressivamente l’esigenza di superare il limite con la realtà, attraverso la sua arte. Per simboleggiare l’ideale e l’essenza della bellezza viene qui inserito un fiore fluttuante che si mimetizza con lo sfondo del dipinto, chiaramente un gesto che non trova i suoi riferimenti in natura. Cominciò così a servirsi di prospettive piatte e apparentemente “sbagliate”, a dipingere con colori non naturali, a enfatizzare le figure verticali.
Nel proseguire il percorso espositivo, iniziamo a inserire un anello mancante, un ponte che colleghi i primi lavori del pittore olandese con quelli astratti e neoplastici, in cui la realtà viene semplificata nella sua essenza, nelle sue forme pure e primarie.
Trovo che visitare le mostre d’arte, soprattutto di artisti che non ci sono più, sia un po’ come compiere un viaggio. Un viaggio attraverso una e mille vite, storicamente esistite, ma anche un po’ immaginate, perché alla fine il bello sta nell’includere il nostro punto di vista quando riviviamo un percorso già scritto. Ed è così che mi sento ripercorrendo la strada fatta da Mondrian per arrivare a definire l’essenza pura della realtà. Come ti insegnano in qualsiasi corso accademico che abbia a che fare con l’arte, prima di trovare la propria identità artistica e stravolgere le regole tecniche devi conoscere quelle stesse tecniche, alla perfezione. Allo stesso modo Mondrian, prima di comporre le sue tele astratte, ha dovuto far fronte ad anni di esperienze accademiche e alle critiche degli esperti a lui contemporanei. Ha dovuto cimentarsi nel dipingere il reale così com’era, prima di stravolgerlo, appiattirlo, astrarlo e andare profondamente oltre, verso un’altra dimensione.
Gli anni parigini diedero il via a una nuova fase nello stile pittorico dell’artista olandese. Dopo il 1912, influenzato dalle opere di Picasso e Braque, i paesaggi delle sue tele cominciarono a perdere i connotati realistici in favore di una sorta di decomposizione della natura, tipica dello stile cubista. Nonostante in questi quadri possiamo ancora riconoscere la struttura degli alberi e della veduta, si nota il delinearsi di un paesaggio più mentale che fisico.
Gli anni che intercorrono l’inizio e la fine della Prima guerra mondiale sono quelli in cui l’artista sperimentò maggiormente, nel tentativo di superare i limiti imposti dagli insegnamenti tradizionali. Oltre all’esperienza cubista, cupa e monocromatica, diede vita a opere estremamente vivaci in piena tendenza fauvista e puntinista.
La metamorfosi fluida e progressiva di Mondrian è leggibile sotto diversi aspetti che connotano questo poliedrico personaggio, sia dal modo in cui modifica la sua firma nel tempo, sia nell’evidente trasformazione della sua casa-atelier, che, da Amsterdam a New York, subì l’approccio sempre più minimalista importato dall’artista.
«Per me non c’è differenza tra i primi e gli ultimi lavori: fanno tutti parte della stessa cosa. Non sento la differenza tra il vecchio e il nuovo nell’arte come tale, ma come continuità».
Piet Mondrian, 1942
Nel 1921 Mondrian dipinse Composizione con rosso, giallo e blu, che sancì la sua conversione ufficiale al neoplasticismo. Gli anni Venti sono gli anni delle avanguardie e della sperimentazione, in tutte le arti. A Parigi c’era un gran fermento culturale e Mondrian non poteva che farne parte. Tuttavia, con lo scoppio della guerra e le pressioni imposte dal nazismo, egli decise di rifugiarsi temporaneamente a Londra per poi trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti, in cerca di un nuovo luogo nel quale esprimersi.
Ed eccoci giunti al termine del nostro viaggio. Siamo nel 1939, scoppia un nuovo conflitto mondiale e ci troviamo negli Stati Uniti. Immaginiamo di essere nella New York di Piet Mondrian che ormai si firma P.T. ed è tra gli artisti più innovativi dell’epoca. Le sue opere neoplastiche sono finalmente libere di ogni riferimento reale, non alludono a una trama. Allo stesso modo – per Mondrian – si comporta la musica jazz, vista come «un ritmo in libertà, l’equivalente musicale del neoplasticismo». La ripetizione delle linee verticali e orizzontali rimanda proprio a questo nuovo, quasi esotico, genere sonoro, che l’artista ha il piacere di scoprire nei bar della Grande Mela, dove amava trascorrere il tempo libero in cerca di nuove ispirazioni.
Il neoplasticismo, noto anche come De Stijl in olandese, creò le basi per un nuovo dialogo tra arte, design e moda. Il termine è stato utilizzato per la prima volta proprio da Mondrian e Theo van Doesburg per sancire le caratteristiche della loro nuova arte: astratta, essenziale e geometrica. Il Manifesto De Stijl viene reso noto con la prima pubblicazione dell’omonima rivista. Per gli artisti neoplastici la collaborazione con i designer, grafici, architetti era la prassi: nuove idee potevano provenire da qualunque fonte e disciplina contemporanea. Purtroppo, Mondrian non ebbe modo di esasperare la sua ricerca d’astrazione verso un ulteriore sviluppo. Fu infatti colto dalla morte nel 1944, pochi anni dopo il suo arrivo in città.
Tuttavia, va riconosciuta l’enorme influenza che ebbero le sue opere neoplastiche sull’arte contemporanea e soprattutto sullo sviluppo del design moderno. Oggetti considerati di culto, come La credenza Elling Buffet Cabinet e la sedia Red and Blue, opere in legno e realizzate dal designer Gerrit T. Rietveld, insieme al celebre abito da sera disegnato da Yves Saint Laurent negli anni Sessanta, ci dimostrano l’importanza che l’artista ha avuto nella cultura pop del secondo dopoguerra. Sono ancora evidenti le tracce della sua eredità artistica, nella grafica, nell’arredamento, nel design di interni, nei percorsi espositivi e nella moda.
In copertina: Piet Mondrian, Broadway Boogie Woogie, 1942-43