«Nell’autunno del 1995, dopo aver dato le dimissioni dal mio ultimo incarico accademico, decisi di farmi un regalo e realizzare un sogno. Chiesi alle sette migliori studentesse che avevo di venire a casa mia il giovedì mattina per parlare di letteratura. Erano tutte ragazze, dato che, per quanto si trattasse di innocui romanzi, insegnare a una classe mista in casa propria sarebbe stato troppo rischioso (…) Spesso mi divertivo a punzecchiare le mie studentesse e, citando Gli anni fulgenti di Miss Brodie di Muriel Spark, domandavo: “Chi di voi mi tradirà?”. Essendo pessimista per natura, ero certa che almeno una mi si sarebbe rivoltata contro. Nassrin una volta mi rispose con malizia: “Ma se è stata proprio lei a dirci che alla fine siamo sempre noi a tradire noi stessi, a diventare il Giuda del nostro stesso Cristo!”. Manna invece mi fece notare che io non ero affatto Miss Brodie e loro, be’, loro erano quello che erano. Mi rammentò inoltre una delle mie raccomandazioni: non sminuire mai, in nessuna circostanza, un’opera letteraria cercando di trasformarla in una copia della vita reale; ciò che cerchiamo nella letteratura non è la realtà, ma un’epifania della verità. Eppure, credo che se dovessi disobbedire ai miei stessi ammonimenti e indicare il romanzo che meglio di ogni altro riflette la nostra vita nella Repubblica islamica dell’Iran, non sceglierei gli Anni fulgenti di Miss Brodie, e nemmeno 1984; semmai Invito a una decapitazione di Nabokov oppure, meglio ancora, Lolita.»
(Da Leggere Lolita a Teheran, Azar Nafisi, Adelphi)
Circa vent’anni fa, negli Stati Uniti, veniva pubblicato per la primissima volta Leggere Lolita a Teheran. Edito in Italia da Adelphi dal 2004, questo emblematico e autobiografico romanzo della scrittrice e anglista iraniana Azar Nafisi divenne da subito un best seller, che venne poi tradotto in oltre trenta lingue, rimanendo per settimane in cima alle classifiche. Eppure, quello di Lolita a Teheran va ben oltre il semplice caso letterario, dato che grazie a questo romanzo l’autrice riuscì per la prima volta a raccontare al mondo la dura condizione di censura politica e repressione in cui da oltre due decenni vivevano le donne iraniane (e non solo), sotto il regime dell’Ayatollah Khomeini, in seguito alla cacciata dello scià e Rivoluzione islamica iraniana del 1979.
Il libro venne infatti scritto a partire dal 1997, in lingua inglese, quando Azar Nafisi, dopo circa 18 anni trascorsi a Teheran in qualità di insegnante di letteratura inglese, aveva infine deciso di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti con la sua famiglia, dove aveva trovato il coraggio di raccontare la sua incredibile e dolorosa storia di donna, ma soprattutto studiosa e insegnante iraniana, privata, come migliaia di altre ragazze e donne come lei, della propria libertà personale, a causa delle sempre più dure e oppressive limitazioni dei fondamentalisti islamici e della polizia morale del regime iraniano.
Oggi, vent’anni dopo l’uscita del romanzo, mentre il Medio Oriente e l’Iran, con le repressioni della polizia morale e la drammatica condizione femminile, sono tornati come tristi “protagonisti” della cronaca, anche dopo la tragica morte di Mahsa Amini, l’incredibile romanzo di Azar Nafisi rivive grazie alla trasposizione cinematografica ad opera del regista Eran Riklis. Uscito al cinema il 21 novembre, il film Leggere Lolita a Teheran è a dir poco intenso, drammatico e più attuale che mai, soprattutto considerando che si tratta della narrazione di avvenimenti reali, che d’altra parte rimandano a fatti che, tristemente, si verificano ancora oggi in Iran.
Siamo nell’università centrale di Teheran, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta e le nuove idee dei fondamentalisti islamici prendono il sopravvento sulla vita di tutti i giorni, costringendo gli abitanti ad abituarsi alle nuove regole e limitazioni, oppure a morire. Già dalle primissime scene del film, assistiamo infatti all’imposizione del velo e degli abiti neri per tutte le donne in pubblico, università compresa, dove anche solo un filo di trucco sul viso di una donna viene considerato come un’indicibile porcheria da rimuovere ed estirpare, al pari delle idee “degenerate” veicolate dal mondo occidentale, che diventa il nemico principale delle autorità iraniane.
Così Azar Nafisi – interpretata dall’attrice iraniana naturalizzata francese Golshifteh Farahani – che nei suoi corsi universitari cerca di trasmettere l’amore per la letteratura inglese e americana proponendo romanzi come Il Grande Gatsby, Cime tempestose e Orgoglio e pregiudizio, ma anche Lolita di Nabokov, si scontra con i giudizi dei suoi colleghi e studenti uomini, dove anche quelli con le idee più aperte e progressiste vengono sedotti dai precetti dei fondamentalisti islamici, e dove, di conseguenza, gli atteggiamenti sessuali “eccessivamente libertini” delle protagoniste femminili pur immaginarie dei romanzi occidentali diventano messaggi considerati osceni, di cattivo esempio, sullo sfondo di scritte rosso sangue che incidono le pareti: «Morte all’America e all’Imperialismo!».
«Religione e Stato sono una cosa separata», recita la protagonista in modo deciso, cercando di ribellarsi; tuttavia, non può che scontrarsi con la dura realtà: dal 1979, l’Iran da monarchia si trasforma repentinamente in Repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira direttamente alla shari’a. Non c’è spazio per modi di vivere e pensare occidentali, così i negozi di libri inglesi vengono chiusi, i film di Tarkovskij arrivano al cinema ampiamente censurati e donne e uomini non possono più stare in pubblico insieme, se non sono legati da un’unione ufficiale.
La letteratura diventa allora una vera e propria questione morale, religiosa e soprattutto politica, tanto che Azar Nafisi si sente sempre più impotente, arrivando ad assistere alle ribellioni di numerosi suoi studenti e studentesse contro la censura, sempre più pressante, che culminano però in repressioni violente, arresti, frustate e botte, quando non in condanne a morte. «Pensare è un reato?» si chiede allora una studentessa, mentre gli osceni libri dei corsi di Nafisi vengono proibiti e i volti di alcune studentesse uccise vengono sbattuti sui giornali. Un libro e un film, che sono però specchio della realtà.
Lolita di Vladimir Nabokov, uno dei romanzi più scandalosi, considerato osceno anche nel mondo occidentale, diventa allora un simbolo di lotta: un veicolo che spinge Azar Nafisi a ribellarsi alle assurdità della censura di regime, organizzando un “club di letteratura” clandestino, per sole donne, ovvero le sue sette studentesse migliori, ma soprattutto le sette più coraggiose, che decidono di vedersi ogni giovedì a casa della propria insegnante, in segreto, per discutere di letteratura e immaginare un avvenire diverso. Lolita era davvero il simbolo della “giovane America” per Vladimir Nabokov? Per le studentesse di Azar, la giovane Lolita, privata della sua innocenza e oppressa da Humbert, che pur dice di amarla, viene associata ai loro destini: giovani donne che sognano di ballare, truccarsi e uscire di casa liberamente, d’innamorarsi e vivere con spensieratezza, come le eroine dei loro amati romanzi proibiti, ma che devono, al contrario, nascondersi dietro a uno spesso velo nero, imposto, chiedendo il permesso a padri e mariti, anche per frequentare quello stesso corso clandestino di letteratura.
«Il mondo è cambiato, ma la violenza è la stessa. La differenza è che le donne iraniane adesso, rispetto a prima, sono più forti. Ma per queste ragazze, per Sanaz, per Azin, per Nasrin, le cose non sono cambiate. Vivono ancora in uno stato totalitario. Io ho scritto un libro su quello che accadeva in Iran, ma adesso, vedendo il film, mi rendo conto che è una storia universale, ed è questa la cosa a cui tengo di più. È la storia dei tanti totalitarismi che opprimono la vita delle persone, perseguitano gli artisti, gli scrittori. Pensa a quello che è accaduto nell’Europa dell’Est, a Václav Havel, a Iosif Brodskij e tanti altri. Quello che mi preme, adesso, è ricordare che non si tratta di una questione politica che riguarda l’Iran, ma di una questione esistenziale. Quelle ragazze combattono per la loro vita. Guardare il film mi ha ricordato quanto profondo sia quel sentimento, quel senso di umiliazione, che riguarda soprattutto le donne. Non è solo il dolore fisico, ma l’umiliazione. L’umiliazione di quel test sulla verginità, per esempio. Il fatto che una mattina mi sono svegliata e ho dovuto indossare il velo, e sono diventata estranea a me stessa (…) Quando ti uccidono, ti puntano una pistola alla testa ed è finita. Ma morire ogni giorno è terribile. Io credo che nel film le attrici siano state capaci di creare personaggi che mostrano questa angoscia…»
(Azar Nafisi, intervistata da Elena Stancanelli)
Leggere Lolita a Teheran è un film sconvolgente e straziante, che lascia attoniti gli spettatori aprendo infinite riflessioni. Il coraggio di Azar Nafisi e delle sue studentesse, la loro storia e le brutalità subite negli anni Ottanta e Novanta, che del resto riflettono le storie di tante altre studentesse iraniane contemporanee, diventano allora un immenso atto di lotta, oltre che un inno d’amore, non solo per la letteratura, ma anche per la libertà. Oltre ogni censura politica, regime e confine.
In copertina:
Frame dal film Leggere Lolita a Teheran, Eran Riklis