Ethos radicale, attitudine internazionale, sguardi e percezioni extrasensoriali oltre i limiti dello schermo e oltre i limiti del visibile. Nome in codice: Machinalive. Ovvero, come esplicita il manifesto, «la macchina-viva che non ha distanze tra artificio e natura, che vive di leggi universali… la macchina-del-mondo che consente di vedere ogni atto di creazione come un tutto stratificato che (ri)scopriamo e (ri)organizziamo di continuo».
Varcata la soglia, un mondo. Immaginifico, lisergico, limbico. Dal 21 al 25 aprile Brescia sarà l’epicentro spazio-temporale in cui prenderà forma la prima edizione dell’omonima Mostra internazionale di cinema sperimentale e d’artista, progetto nato all’interno dell’Accademia di Belle Arti Laba, nell’ambito di Nomadica at LABA 2022 Artist film lab, pronto ora a manifestarsi pubblicamente in alcuni dei luoghi più simbolici della città, dal Nuovo Eden a Spazio Contemporanea, con diramazioni estese nelle sedi cittadine della stessa Laba. Organizzata con il supporto di Comune, Provincia, Regione Lombardia, Instituto Cervantes di Milano e la partecipazione di importanti realtà come Rai – Radiotelevisione italiana e Centre George Pompidou di Parigi, la mostra sarà l’occasione per scoprire decine di opere fuori dai circuiti, in anteprima nazionale, provenienti dal passato e dal futuro, da tutti gli angoli del mondo: cinque giornate di immersione nel cinema sperimentale e d’artista internazionale, con attività artistiche e momenti di studio che creeranno occasioni di scambio informale tra spettatori, studenti, cineasti, artisti e curatori. Tanti gli autori protagonisti con le rispettive opere, fra cui Dianna Barrie, Yonay Boix, Sílvia das Fadas, Manuela De Laborde, Claudia Larcher, James Edmonds, Benjamín Ellenberger, Morgan Fisher, Paolo Gioli, Teo Hernandez, Lydia Nsiah, Charlotte Pryce, Lucy Raven, Michael Robinson e Andrew Norman Wilson, per uno “scambio” con il festival spagnolo (S8) Mostra de Cinema Periferico, e cineasti seminali come Paolo Gioli, Teo Hernandez, Paul Sharits.
«Le suggestioni della mostra presentano una visione e un’estetica ecologica in cui natura, macchina ed essere umano sono parte di un unico piano» osservano Giuseppe Spina e Giulia Mazzone, curatori ed entrambi docenti LABA. «Ci si accosta alla materia e alle sue regole, alle cose che ci circondano, riconoscendone la natura innata, essendo consapevoli delle funzioni e degli effetti, delle risorse necessarie; si opera in un mondo di relazioni che annullano la dicotomia tra soggetto e oggetto perché tanto gli oggetti che i soggetti si muovono, generando incontri e scontri, movimenti e scambi, oscillazioni e risonanze. La natura ama nascondersi e la macchina-per muovere-le-immagini svela gli atti di percezione e proiezione, i meccanismi della visione e della luce, la relatività dello spazio e del tempo, la mutevolezza della materia, le profondità degli immaginari, dei linguaggi e dei sensi. La macchina-vivente è un meccanismo di astrazione, di interpretazione, di sviluppo estetico, poetico e scientifico; mezzo di azione nel mondo, di risposta alla pervasività delle sue immagini e, infine, strumento per saper leggere e scrivere, per essere autori di sé stessi».
Tra proiezioni di film in lingua originale, incontri, performance, installazioni e laboratori (qui il programma completo) anche un omaggio dedicato al grande Gianni Serra, regista bresciano scomparso a fine 2020 e al suo cinema di denuncia civile, in programma proprio il 21 aprile, serata d’apertura della mostra, al cinema Nuovo Eden. Tra gli anni Settanta e Ottanta, Serra ha realizzato documentari e film di finzione, ha lavorato in Rai realizzando inchieste appassionanti. Ogni suo lavoro è un pugno in faccia agli sfruttamenti e ai soprusi sociali e per questo la sua opera fu spesso avversata nonostante mai sia stato negato il suo profondo valore. A introdurre la serata ci sarà il critico cinematografico Nino Dolfo, che di Serra era anche grande amico.
Così lo ricordava dopo il lungo addio: «Muore solo chi in vita è stato amato e ha goduto di stima. In caso contrario nemmeno si esiste per gli altri. È la cruda verità che una scrittrice americana, Amy Hempel, descrive in uno dei suoi racconti fulminanti e affilati come armi da taglio: la radio annuncia la scomparsa di un uomo, presumibilmente meritevole, e l’ascoltatore commenta: ‘Io manco sapevo che fosse mai nato’. L’ignoranza è una beatitudine poco celeste, che ingrassa e si autoassolve, quando va bene, in questi tempi grami in cui la memoria si smagnetizza facilmente e l’amnesia viene incentivata come una sana abitudine. Gianni Serra, regista monteclarense, ci ha lasciato e vogliamo ricordarlo anche e soprattutto perché non fu ‘salutato’ degnamente: solo qualche ‘coccodrillo’ precotto, un po’ di tritato d’agenzia, insipido come un menù da mensa aziendale. La ragione è presto detta: la sua opera è sconosciuta ai più, dimenticata e archiviata, nonostante Marco Tullio Giordana abbia riconosciuto che Il suo film-scandalo, La ragazza di via Millelire, abbia aperto la strada al cinema italiano degli anni ’80. Serra era cresciuto dentro la Rai dell’era Bernabei: democristiana sì, anche un po’ bigotta, ma che aveva un’idea precisa del servizio pubblico imperniato sul binomio educativo informazione e formazione. Quella Rai che nel 1968 aveva il coraggio di dare in prima serata, alle 20.30 di sera, Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, mica Don Matteo come avviene oggi».
E continua Dolfo: «Attento alla realtà, animato da un coriaceo impegno civile e di denuncia, Serra ha firmato inchieste e film che arrivavano come proiettili. Osò parlare di camorra, di ospedali psichiatrici prima di Basaglia, della dittatura dei colonnelli greci, dei figli di nessuno dentro i collegi dei salesiani. Tre titoli in excelsis: Il nero muove (1977) sulle trame dei servizi segreti ai tempi della rivolta di piazza a Reggio Calabria capitanata da Ciccio Franco (poi eletto in parlamento, peraltro); La ragazza di via Millelire (1979), presentato in concorso a Venezia e lapidato per la sua crudezza nella rappresentazione delle periferie abbandonate da politica e istituzioni; Una lepre con la faccia di bambina (1988), miniserie TV sul disastro ambientale di Seveso. Contestatissimo, perché rivelava come l’economia fosse egemone anche rispetto alla salute. Serra era molesto e cinico, così dicevano. Senza ricorrere a editti bulgari, lo emarginarono. Semplice disinstallazione dal mercato del lavoro. Lui, triste solitario y final, pagò il prezzo salato della sua statura morale, alla faccia dei burosauri, dei politici per il lesso, degli intellettuali a libro paga e dei tanti nani da giardino di questo mondo». Che altro aggiungere?