Céline Sciamma entra in sala all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano accolta da uno scroscio di applausi: un centinaio di persone si uniscono in una standing ovation che denota quanto la visione di Ritratto della giovane in fiamme li abbia coinvolti e toccati. La regista, Céline Sciamma, è abituata a questo genere di accoglienze, le ha ricevute a Cannes 2019, dove ha vinto il premio alla Miglior Sceneggiatura, a Toronto, a Londra, e infine agli European Film Awards, altra occasione in cui i riconoscimenti non sono mancati. Eppure è visibilmente commossa. I riscontri positivi sono stimoli continui, necessari per andare avanti, sono la prova che è possibile arrivare a diversi tipi di pubblico senza sembrare troppo snob, engagés o complicati.
Di complesso in questo film non c’è proprio nulla: c’è la maestria di un’autrice attenta e meticolosa che vuole raccontare un amore contemporaneo e universale, e che per farlo cerca uno sguardo trasversale e rivolto a un’epoca passata. Bretagna 1770, Heloise è una giovane cresciuta in convento che, in seguito al suicidio della sorella, viene costretta dalla madre a prenderne il posto e a convolare a nozze con un nobile milanese. Per far conoscere all’uomo la sua futura sposa, la madre di Heloise commissiona un suo ritratto ad una pittrice, Marianne, che deve svolgere il suo lavoro in assoluta segretezza, fingendosi compagna di passeggiate della promessa sposa. Tra le due giovani donne si instaura un legame molto stretto, destinato a trasformarsi in innamoramento. La regista racconta di aver voluto scrivere una storia originale che desse corpo a un amore possibile – che potesse fare, almeno in parte, il suo corso – in un’epoca in cui a regnare erano il patriarcato e le convenzioni sociali. L’amore è un sentimento che nasce, cresce e si consuma liberamente, senza che nessuna presenza fisica lo ostacoli. Dura il tempo della composizione di un dipinto, un’opera che lo rispecchia e lo esalta, e rimane appeso a esso, a una parete viva e palpitante che non lascia spazio ad altre immagini che lo possano sostituire. Céline Sciamma mette in scena un mondo totalmente femminile fondato sulla solidarietà e sul supporto, dove anche chi è investito dello spiacevole ruolo di ristabilire l’ordine, lo fa con eleganza e delicatezza. Non ci sono differenze sociali, solo donne circuite dagli archetipi di colpe che la Storia ha inflitto loro. L’empatia, l’umanità e la sensibilità di cui le due protagoniste sono provviste, le porta a diventare complici della domestica che le accudisce e protegge, a tenerle la mano quando decide di abortire, a sdraiarsi accanto a lei rendendo quell’esperienza comune.
Ricorrere alla pittura e alla ritrattistica, renderle elementi narrativi, come riporta Céline Sciamma, serve a sottolineare quanto vita e arte siano una sola entità. L’arte raffigura la vita, la vita è a servizio dell’arte. Ogni azione, ogni pensiero o impulso è degno di essere trasposto, di venire impresso sulla tela per sopravvivere nel tempo e per rompere gli schemi.
Una sceneggiatura ricca di sonorità, che gioca con il significato delle parole, che scandaglia oltre la superficie, e si mette in relazione con i sentimenti dei personaggi, indagando, sotterranea, animi e desideri. La messa in scena, ricca di campi e controcampi, gioca sull’estrema pulizia, sulla cristallina chiarezza di sguardi e gesti che, uniti da un filo sottile, tessono la trama di una storia d’amore potente. Sciamma gira le scene di esterno in pieno sole, su spiagge isolate, battute dal vento, dove il mare burrascoso, in chiave romantica, cadenza l’inarrestabile moto di ribellione di due – non solo quella del titolo – giovani in fiamme, mosse dal desiderio di libertà.
Quello di Heloise e Marianne non è solo un percorso di crescita, ma di consapevolezza: nonostante abbiano cognizione dell’effimera durata del loro amore, lo vivono con estrema maturità, senza mai cadere nella banalità di un rimpianto imperdonabile o nell’invettiva contro un destino crudele, già scritto, che negherà loro un futuro felice. Vivono del presente, con razionalità e praticità, quasi a voler sposare farsescamente un’ideale illuminista digerito, metabolizzato e riadattato alle proprie esigenze. A testimoniare il percorso del loro amore possibile è l’arte. Più volte Cèline Sciamma batte su questo punto. L’arte, possibile anche senza modelli o canoni che ne attestino il valore, disegna un percorso di conoscenza, di vissuto e di immaginazione. L’arte raffigura il bello, il candido, l’edulcorato, ma si abbassa anche a rappresentare l’urgenza del dolore, del dramma e del tragico della vita vissuta. La regista riflettendo su una frase della scrittrice francese Annie Ernaux, riferita alla mancanza di opere esposte nei musei che rappresentassero le bruttezze dell’intimità umana, ha regalato alla sua pittrice l’occasione di essere provocatoria e barocca. Marianne, infatti, immortala il dolore lancinante dell’aborto con una scena di privata veglia che mette sullo stesso piano padrona e servetta, in un’epoca in cui i ranghi sociali sono alla base della sopravvivenza.
Ritratto della giovane in fiamme è un film che non porta rancore, che non denuncia, che non punta il dito contro nessuno: si limita a raccontare una storia piccola e intima che può aver luogo ed essere vissuta da chiunque in qualunque epoca storica. Mischiando neoclassicismo, razionalismo e romanticismo in una tavolozza di colori dalle sfumature più impensabili, prende vita uno dei migliori film di questo 2019, un’opera che decreta l’ascesa di una regista coraggiosa, attiva, prolifica, a lungo sottovalutata. Céline Sciamma non si risparmia, ascolta il suo pubblico e risponde alle loro domande, senza alcuna paura di contraddire le loro interpretazioni. Guardandola negli occhi si intravede – per citare testualmente una battuta del suo film – uno spirito vibrante, non propriamente gioioso, ma vivo.