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L’artista è un ponte. Marina Abramović a Bergamo

«between breath and fire» è la personale dell’artista alla gres art 671

Bergamo, da un’area ex industriale in via S. Bernardino, è nato gres art 671, un nuovo polo per l’arte e per la cultura contemporanea. Sabato 14 settembre 2024 ha iniziato la sua storia espositiva con una mostra interamente dedicata a Marina Abramović (Belgrado, 1946), una delle figure più importanti e influenti nel panorama artistico contemporaneo.

«Io amo l’Italia» afferma Marina Abramović la mattina dell’inaugurazione, quando sale sul palco – presente, nelle sale di gres art – ricordando poi i suoi esordi allo studio Morra di Napoli, nel 1974, con Rhythm 0. L’artista ha tenuto un talk in cui ha raccontato la performance art, ripercorrendo, secondo una scansione sia cronologica sia tematica, la storia della forma espressiva a cui lei ha donato un contributo fondativo e imprescindibile. Abramović ha parlato di intensità, di spingere il corpo fino ai limiti, oltre i confini della prevedibilità, senza controllo, perché o tutto o niente, non ci sono vie di mezzo nell’arte ed essere vivi significa fare arte. Il dialogo e l’interazione con il pubblico, cruciale nei suoi lavori, si sono manifestati per tutta la lecture e poi al termine della stessa, quando alle domande degli spettatori (che dicevano di fragilità, commozione, ricerca di una guida in un presente così confuso) l’artista ha risposto con comprensione e partecipazione, vicinanza nell’attraversamento dello smarrimento e della sofferenza come dell’entusiasmo e della felicità.

«Io sono un ponte» è la personale risposta di Marina Abramović alla domanda «Chi è l’Artista?», un ponte come connettore verso le innumerevoli forme che la vita può assumere, a partire da quattro momenti fondamentali: Breath – Il respiroBody – Il corpoThe Other – L’AltroDeath – La morte.

Questi quattro momenti costituiscono i capitoli della narrazione del percorso espositivo curato da Karol Winiarczyk, introdotto da Tree, un paesaggio sonoro creato nel giardino esterno, in cui il canto degli uccelli tra gli alberi porta a interrogarsi sul rapporto tra realtà e finzione e accompagna alla mostra in un’atmosfera onirica.

Trenta sono le opere coinvolte, in formato video e fotografico, collocate in uno spazio aperto che conferisce loro sia indipendenza sia la possibilità di dialogare, fino al coinvolgimento del pubblico. Così, è possibile muoversi in un universo di suoni e di immagini, non effimere, slegate dal tempo in cui le performance furono eseguite, per vivere e ripetersi ancora. La suddivisione tematica è centrata sul corpo, la cui portata investe il lettore secondo livelli di consapevolezza sempre maggiore. 

Dozing Consciousness è l’opera rappresentativa della sezione Breath, che indaga il respiro prima come condizione necessaria alla vita, poi (e soprattutto) come medium artistico tra l’io e il mondo esterno, nonostante le costrizioni che spesso lo rendono difficoltoso. 

Poi, avviene l’esplorazione di Body, il corpo inteso come involucro limitato e limitante, ma anche come possibilità di resistere e di travalicare i suoi confini per affermarne la vitalità e la potenza. Abramović ne dà prova in Artist portrait with a candle, con la sofferenza che si può immaginare a causa del fuoco di una candela che brucia il dito dell’artista, sofferenza celata da uno sguardo immobile.

Il coinvolgimento, il sentirsi parte dell’opera e non solo osservatori della performance è alla base della poetica dell’artista. Non c’è arte senza The Other, il pubblico, in primo luogo, né senza Ulay, per lungo tempo partner di Abramović. I due hanno assottigliato fino agli estremi il confine tra l’arte e le vicende d’amore e conflitto della loro relazione, come emerge nel celebre Imponderabilia del 1977 e in Rest Energy del 1980 – una freccia ferma, in equilibrio duale, puntata verso il cuore, che dà concretezza alla difficoltà e alla tensione provata quando si sperimenta il tentativo di affidarsi davvero all’Altro, spostando il Sé oltre i margini personali che lo proteggono.

C’è tuttavia un confine ultimo, una tematica sempre presente nel lavoro di Marina Abramović: Death. È un’esperienza cinematografica immersiva, distaccata da tutta la vita raccontata fino a quel momento. È un salto nel buio, celebrato con sette morti d’opera che vedono al centro della scena l’artista e Willem Dafoe, accompagnati dalla voce di Maria Callas. Una voce che trascende la morte e risuona, ancora, eternamente viva nell’arte. Un ponte tra la vita e la morte.

Immagine di copertina di Widewalls
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