L’immagine d’apertura del nuovo graphic novel di Marino Neri, La tempesta, (Oblomov) è una diga immersa in un paesaggio montano con tinte rosa. É una bella giornata estiva e nonostante l’altura il caldo si fa sentire. Il protagonista, un impiegato, deve raggiungere l’albergo «Leon d’oro», fuori paese, per un corso di formazione aziendale. La corriera su cui viaggiava ha avuto un guasto, così ha preferito proseguire a piedi, fare una passeggiata nel verde. Il sole è alto nel cielo, dev’essere primo pomeriggio… ben presto scopriamo il suo profilo, che appare giovane, marcato da pochi lineamenti appena accennati, occhi grandi e una folta capigliatura nero corvino. I ciuffi spuntano indisciplinati sotto il cappellino rosso. Il ragazzo sembra apprezzare il paesaggio lacustre che sta attraversando. È bello, c’è silenzio. Ha con sé un taccuino per gli appunti. Giunto in paese si ferma in un ‘baretto’ che da sulla strada, per una birra: «la passeggiata l’ha rimesso al mondo» dice, «il contatto con la natura…» fa appena in tempo a consegnare queste considerazioni ai messaggi vocali che invia alla collega, Gil, che un’auto inchioda bruscamente sulla strada: l’autista scende a minacciare un innocuo passante e lo spinge a terra. Poi riparte furioso. Il ragazzo sembra contrariato da questo atteggiamento e si precipita a soccorrere il malcapitato. Lo aiuta a rialzarsi. Il signore deve avere qualche forma di ritardo mentale, ha gli occhi annebbiati e un po’ confusi: balbetta un grazie e «molto gentile, l-lei è molto gentile…». Un dettaglio: rimane colpito dal cappellino del ragazzo e glielo sottrae con gesto fulmineo. Ferdi, lo chiamano così gli altri avventori del bar, nel frattempo radunatisi lì intorno. Alla scena ha assistito un altro testimone, un uomo in sedia a rotelle che sonnecchiava lì fuori: «ho visto tutto» dice, «è stato quello che ha comprato la villa sul lago». Già, il proprietario di quella villa è un «tipo un po’ nervosetto» conferma il titolare del bar, «ma sarei nervoso pure io… con una moglie come quella!» aggiunge. Si conclude così il primo atto della vicenda, che da qui si svilupperà intrecciando le vite del giovane, del proprietario della villa e di Ferdi. Ma già da questi primi elementi è subito chiaro il tema che Marino Neri – Carpi, classe 1979 -, già molto apprezzato per i precedenti Cosmo (Coconino Press Fandango, 2016) e L’incanto del parcheggio multipiano (Oblomov, 2018), vuole affrontare. Come nei disegni, l’autore è rapido e preciso anche nella narrazione.
Possiamo impostare la questione cercando di definire la disuguaglianza sociale che fa da sfondo a tutta la vicenda e il rapporto che questa intrattiene con la violenza. Abbiamo lasciato il nostro protagonista mentre si allontana dopo aver assistito alla triste aggressione. Lui stesso appare deluso e confessa alla collega, Gil, di essersi ricreduto sulle opportunità del luogo che prima gli sembrava incontaminato: anche qui è arrivata «la merda del mondo» dice. Forse le cose non dovrebbero andare così, questa profonda spaccatura che separa gli abitanti del luogo, gente di fatica, dai nuovi proprietari delle ville con vista lago, non dovrebbe prodursi. Una linea di demarcazione soltanto apparente e superficiale. La ricchezza di per sé non marca niente (villa, macchina grande), ma produce conseguenze profonde: se sia il titolare del bar che il proprietario della villa sarebbero «nervosi con una moglie come quella» – vale a dire incapaci di vivere una vita piena e soddisfacente – allora non c’è differenza, non c’è alternativa se non quella di annientarsi reciprocamente: l’unica differenza possibile è fra chi vive e chi muore (la violenza sembra essere l’unico mezzo per affermarsi).
L’epoca delle più grandi disuguaglianze sociali ed economiche non produce differenze (cioè diversi modi di concepire la vita e i valori che la rendono degna di essere vissuta): questo il grande paradosso del nostro tempo. Eppure la differenza deve esserci, perché è solo istituendo una differenza chiara che si dà l’opportunità di una scelta orientativa, in grado di distinguere cosa è giusto e cosa e sbagliato. La differenza rende riconoscibile una alternativa e la scelta deve poter individuare l’alternativa migliore. O meglio, la scelta deve poter essere la scelta giusta. Credo che La tempesta abbia una profonda attinenza con queste questioni di natura etica. E il registro stilistico e visivo utilizzato riesce a sintetizzare molto bene la profondità del tema.
Il parallelo con Parasite è forte. Il film premio oscar del 2019 scritto e diretto da Bong Joon-ho aveva rappresentato magistralmente il disastro di «disuguaglianze enormi senza differenza». Chi è parassitario di chi? In fondo i ricchi dipendono dai poveri (per lavoro e organizzazione domestica) allo stesso modo in cui i poveri dipendono dai ricchi (per godere del lusso che gli è negato in modo arbitrario), ma entrambi perseguono gli stessi obiettivi, sono mossi dalla medesima brama di ricchezza e esasperati dalla stessa infelicità. Per questo si uccidono tra loro. Non a caso il teatro di «produzione di differenza» sia in Parasite che in La tempesta è simile: una villa estremamente lussuosa, caratterizzata da spazi ampi e modulari, piani che si sovrappongono gli uni sugli altri e grandi vetrate che attraversano e intersecano i vari ambienti. Il vetro è il materiale simbolo della «disuguaglianza senza differenza», una barriera invisibile, spesso riflettente, che dichiarando spudoratamente la sua apertura verso l’esterno, in realtà scherma e chiude più che mai. Chi vi abita all’interno è costantemente stressato dal timore di un’incursione, e avverte il bisogno di difendersi (il motivo per cui nel fumetto il proprietario della villa aveva aggredito Ferdi per strada è che l’aveva sorpreso più volte nei pressi della sua proprietà), chi ne rimane fuori, invece, è attratto dai tesori nascosti al suo interno. Così il nostro protagonista rimane abbagliato dalla scintillante piscina a sfioro della villa.
La vista della donna che fa il bagno nuda lo incanta, come una sirena. Da quel momento il suo destino sembra segnato, in un modo o nell’altro entrerà nella villa: il palazzo di Atlante o la fortezza di Barbablù. Ma per entrare c’è un prezzo da pagare, bisogna fare un sacrificio – in senso letterale. La vittima designata sarà proprio Ferdi, il povero matto del paese, che fornisce al ragazzo il pretesto per suonare il campanello della villa, mentre fuori impazza un terribile acquazzone. Al suo cospetto si presenta la donna, Marta, il ragazzo scopriamo che si chiama Manuel, e il proprietario della villa (nonché marito di Marta) è Demetrio. All’interno gli ambienti sono ancora spogli, segno che i nuovi inquilini si sono trasferiti da poco. Demetrio stava sbarazzandosi di alcuni oggetti dei vecchi proprietari. Tra questi un quadro, simbolo di tutta la storia, che si ripropone più volte e dal quale Demetrio non riesce a distogliere lo sguardo. È l’immagine di una tartaruga rovesciata, in balia di una donna, che sovrasta il povero animale e che lo osserva assorta: «è tutto il giorno che cerco di capire» si domanda Demetrio, «…la ragazza del dipinto… voglio dire… che cosa sta facendo? La tartaruga l’ha trovata così oppure… Insomma questo quadro cosa rappresenta? La scena di un salvataggio? Quella di una tortura?».
Al cospetto di questa scena ambigua, in cui non vi sono elementi per valutare le azioni della donna nei confronti della tartaruga, si presentano due scenari contrapposti nel medesimo momento. Il dilemma sorge quando ci troviamo senza elementi per valutare, senza trovare differenze e senza criteri etici per ordinare queste differenze. Mi fermo qui, perché Marino Neri è un ottimo disegnatore e dispone le sue immagini e le sue inquadrature con eleganza, senza appesantire il racconto e dosando bene le pause e i momenti di respiro. Sono molto belle le scene nella penombra della tempesta, i volumi e gli ingombri dei personaggi che si stagliano in controluce contornati dai motivi architettonici della villa o dal pattern delle siepi e dai temi del paesaggio, che spesso risaltano maggiormente rispetto alle figure umane. L’intensità delle atmosfere e la ricchezza del contenuto rendono La tempesta un lavoro ben riuscito, coinvolgente e visivamente stimolante. Ogni tavola è un gioiello di composizione ed equilibrio, dove la lettura diventa visione e il visivo si fa letterario.
In copertina e nell’articolo:
Tavole tratte da La Tempesta, Marino Neri, Oblomov Edizioni