Facce stanche e bruciate dal sole osservano il cielo annuvolarsi e rabbuiarsi. La carrozza di un tram avanza lungo le rotaie stese sul selciato di una strada nel centro di Saint Denis, mentre le prime gocce di pioggia iniziano a bagnare il terreno. Nella direzione opposta un uomo a cavallo si prepara ad affrontare l’imminente temporale.
Siamo in una città di frontiera agli inizi del ‘900, un luogo dove vecchio e nuovo si incontrano – da una parte anziani cowboy con i loro stivali sporchi di fango e la pistola sempre salda sul fianco, i vestiti sgualciti e la camminata di chi ha vissuto troppi anni in sella a un cavallo; dall’altra i lampioni a luce elettrica, i tram, un’identità architettonica eclettica e una popolazione variegata con gli occhi puntati sul futuro.
Siamo in una città di frontiera, sì, ma anche dentro a un videogioco: Red Dead Redemption 2. La prima sequenza di Happy New Year, Jim, cortometraggio di Andrea Gatopoulos – prodotto da Il Varco Cinema, Naffintusi e Nieminem, che ha avuto la sua prima alla 54. Quinzaine des réalisateurs al Festival di Cannes 2022 –, con le sue inquadrature fisse e ben composte e una fotografia che richiama quella dei classici di John Ford, è interamente girata all’interno degli spazi virtuali del kolossal western di Rockstar Games. Nello specifico, la sua componente multiplayer, Red Dead Online, che permette di esplorare gli ambienti del gioco in compagnia di amici o altri giocatori connessi da ogni parte del globo. Ed è a Red Dead Online che sta giocando Morten, uno dei due protagonisti del corto, la notte dell’ultimo dell’anno.
L’intero cortometraggio è “ambientato” all’interno dello schermo del computer di Morten. Come spettatori, vediamo immagini dei giochi a cui sta giocando, il suo desktop dallo sfondo nero e disseminato di icone di videogiochi, e l’interfaccia di TeamSpeak, la chat vocale con cui comunica con Jim, il suo migliore amico, unico altro personaggio del film. Non usciamo mai dallo schermo: non vediamo mai i volti di Morten e Jim, né i loro appartamenti. Sentiamo solo le loro voci, mentre chiacchierano del più e del meno, aspettando che scatti la mezzanotte.
Morten è turbato da alcuni ragionamenti che si è ritrovato a fare mentre giocava da solo a Red Dead Online. Confessa a Jim di essersi scoperto fin troppo affezionato ad alcuni dei personaggi del gioco – quelli non controllati da altre persone, programmati per avere una semplice routine quotidiana e dare l’impressione al giocatore che il mondo di gioco sia vivo e popolato. Dopo anni passati a giocare ai videogiochi insieme a Jim, comunicando solo attraverso la chat vocale e interagendo con un mondo virtuale, Morten, per la prima volta, si sente perso. Sente di non riuscire più a distinguere in maniera netta tra persone reali e copie digitali – quelle create da un programmatore, o un’intelligenza artificiale, per approssimare la realtà. Ha paura che presto sarà fin troppo facile accontentarsi della copia. E quando si arriverà a quel punto, chiede a Jim, cosa succederà?
Ma Jim è distratto da un’intrusione di quella realtà che Morten sente di non conoscere più. Fuochi d’artificio scoppiano fuori dalla sua finestra, e Morten li sente attraverso il microfono che Jim ha lasciato attivo.
Rimasto solo, Morten apre un videogioco (Rust?) e saluta il nuovo anno con dei fuochi d’artificio digitali.
Happy New Year, Jim si inserisce in un filone cinematografico ormai consolidato, quello dei desktop movies, i cui primi esempi risalgono ai primi anni ‘00. Timur Bekmambetov, il regista e produttore russo che da quasi dieci anni è impegnato in una campagna per renderli mainstream, li chiama screenlife. Ma i suoi lavori, che virano spesso sul genere horror/thriller come Unfriended e Searching, aggirano le limitazioni della forma mostrando i propri protagonisti tramite webcam e programmi di videochiamata come Zoom e Skype.
Il cortometraggio di Andrea Gatopoulos, integralista fino in fondo, non mostra mai la realtà fuori dallo schermo. E gli unici volti “umani” che appaiono sono generati digitalmente. Questo approccio, unito al tentativo di mettere in discussione – anche se in maniera forse troppo superficiale – i confini tra il reale e le sue repliche, fa di Happy New Year, Jim un oggetto interessante, ricco di spunti di riflessione fondamentali per l’epoca di transizione in cui viviamo. Un’epoca in cui, appunto, i confini tra il reale-tangibile e la realtà virtuale appaiono sempre più sfumati.
Morten, ripensando alla propria vita passata davanti a uno schermo, mette in dubbio la validità delle esperienze che ha vissuto. Nella sua analisi è arrivato alla conclusione che quelle esperienze non sono altro che un surrogato, e che considerarle reali può portare a una deriva rischiosa.
Happy New Year, Jim sembra quindi suggerire un futuro tetro e squallido per il povero Morten, intrappolato in un mondo succedaneo di quello in cui vive Jim, che i fuochi d’artificio li va a guardare in balcone. Ma l’esistenza stessa di un corto come Happy New Year, Jim, che usa come unica ambientazione quello stesso mondo digitale su cui si interroga, porta con sé altre implicazioni, alcune delle quali in apparente contrasto con il tono cupo e pessimista della narrazione.
La città in cui è ambientata la prima sequenza del film non è reale secondo nessun canone tradizionale. Saint Denis, replica digitale della New Orleans di inizio secolo, è stata disegnata e costruita dagli artisti e dai programmatori di Rockstar Games con l’intento specifico di fare da sfondo alle avventure di Arthur Morgan, il protagonista di Red Dead Redemption 2.
Eppure Gatopoulos è riuscito, con ammirevole sensibilità e padronanza del linguaggio, a girarci una sequenza di cinema – totalmente slegata dalla narrativa del gioco.
La sequenza descrive sensazioni riconoscibili – l’aria carica di anticipazione prima di un temporale; evoca sentimenti reali – il senso di meraviglia davanti alla bellezza malinconica di una città del passato bagnata dalla pioggia; e racconta un ambiente ricco di dettagli e spunti narrativi.
E se un luogo lo si può usare per fare del cinema, non significa forse che è da considerarsi, oltre ogni dubbio, reale?
Anche il desktop spoglio e monotematico di Morten racconta una storia. È possibile che contenga più informazioni sulla sua vita della sua camera da letto. Mostra che è una persona creativa, o che cerca di esserlo, come testimoniano un documento chiamato “comic idea” e un’applicazione per utilizzare una tavoletta grafica. Mostra che è una persona che ama videogiochi riflessivi ed eccentrici come A Night in the Woods, ma anche giochi competitivi e adrenalinici come Battlefield 4. Mostra che è una persona alla ricerca di attività solitarie, come guidare un tir attraverso gli Stati Uniti in American Truck Simulator, ma anche esperienze collettive, come il gioco di squadra necessario per sconfiggere gli avversari in Rainbow Six Siege.
E non è quindi un luogo dove ha vissuto delle esperienze, e di conseguenza (escludendo per comodità che non si possano vivere esperienze fuori dalla realtà) reale?
Happy New Year, Jim non offre risposte su questi temi, né vuole cercarle. Il suo unico intento è quello di porre una domanda. Cosa succede se ci accontentiamo di una copia della realtà? Suggerisce, con cautela, una risposta non particolarmente incoraggiante per chi guarda al futuro con gli stessi dubbi di Morten. Ma pur mancando della profondità necessaria per affrontare davvero un tema così complesso, rimane una piccola opera affascinante e per certi versi importante.
Perché quello che può sembrare un gimmick, e un gancio facile da offrire ai titolisti dei giornali, ovvero “un corto interamente girato all’interno di videogiochi”, ha portato in realtà alla realizzazione di un film che non ha nulla da invidiare per presentazione, confezione e contenuti alla gran parte dei cortometraggi in live-action o in animazione che riempiono i cataloghi dei festival europei.
E se può aprire le porte a una nuova generazione di film che usano spazi virtuali a loro vantaggio, e che ragionano su questioni fondamentali come quelle qui accennate, tanto meglio.
Immagini: Gargantua Distribution