I Nascosti (minimum fax, con un testo di William T. Vollmann), della fotografa milanese Valentina Tamborra, è un libro che soffia sul respiro della vita una brezza che viene da lontano. Una testimonianza, artistica e umana, per la quale l’aggettivo preziosa descrive al meglio ciò che evoca, indica, racconta. Valentina conosce e viaggia il mondo, lo racconta soprattutto per immagini. Ma non solo. Si mette in gioco, come ha fatto per alcuni anni tornando nell’Artico, a Sápmi, la terra del popolo indigeno Sami, che vive tra Norvegia, Finlandia, Svezia e Russia: circa ottantamila persone, metà delle quali nell’area norvegese di quella che abbiamo sempre conosciuto con il nome di Lapponia.
Questo libro è una creatura peculiare, non un trattato, non un pamphlet, più un fermo immagine che evidenzia una cultura e una bellezza uniche e che si inserisce con una voce cristallina nella lunga tradizione di chi ha dedicato al viaggio, con sguardo sensibile e senza idee preconfezionate, il Nord del mondo, un’ultima Thule spirituale fondamentale per tutti noi, come lo sono le culture e i diversi modi di percepire il mondo dei popoli indigeni della Terra. Evitando la trappola del troppo o del troppo poco, la vasta selezione di immagini e i testi trovano un miracoloso equilibrio e credo sia questo l’orizzonte più profondo che Valentina porta dentro. Diciamo subito che molte di queste fotografie possiamo ammirarle all’edizione 2024 dei Boreali, al Foyer Alto del Teatro Parenti di Milano, da giovedì 1 marzo, anche questo un modo per avvicinarci al suo nuovo libro.
Come per ogni popolo nativo, a noi tocca scrivere che fanno parte di nazioni moderne, ma la loro terra era Sápmi, non Norvegia, Svezia, Finlandia, Russia. E Sápmi per quel popolo esprime qualcosa che va sperimentato di persona, in una regione artica di profondo fascino e sottili racconti poetici. I Sami devono vivere affrontando di continuo scelte geopolitiche mai dipendenti da loro e questo nonostante determinati riconoscimenti politici ottenuti nel corso della storia recente. Ma tutto ciò pare servire poco: riconosciuti come popolo indigeno, oggi i Sami si trovano ad affrontare problematiche di portata globale che non solo mettono a serio rischio la loro attività legata alla renna e alla sua transumanza, ma anche un’identità culturale che resta difficile cogliere anche per molti norvegesi. Il diritto alla terra, resta nel campo della teoria: per quanto si oppongano da decenni all’esproprio dei terreni tradizionalmente dedicati al pascolo delle renne, che poi vengono dedicati allo sfruttamento delle risorse minerarie o alla costruzione di infrastrutture e parchi eolici, le cose non migliorano.
Parlando con Valentina, ho voluto partire dalla sua abilità narrativa che non viene utilizzata per completare le immagini, ma per tracciare un sentiero più profondo:
«Mi viene in mente una conversazione con Guido Harari, un grande fotografo che amo moltissimo per la sua capacità di cogliere l’essenza delle persone che un giorno mi domandò “Se improvvisamente perdessi la vista, cosa faresti?” e senza esitazione gli risposi che io ascolterei e racconterei. Per me fotografia e parola sono narrazione che si esprime in ogni forma possibile. Ho sempre amato leggere, ho sempre amato scrivere e penso che sia bellissimo unire media diversi senza che l’uno prevalga sull’altro ma facendoli dialogare, creando una sorta di scrittura estesa che possa toccare e muovere più corde. Anche perché io uso molto anche il suono e il video: registro conversazioni, rumori, musiche. Tutto è suggestione».
E dunque per lasciarmi cogliere da questo flusso, portando dentro le mie memorie di Finnmark (la prima geografia nella quale ho viaggiato, nel lontano 1997) ho provato ad ascoltare la narrazione visiva lasciandomi guidare dalle mie percezioni e “leggendo” I Nascosti solo attraverso le immagini, evitando i testi, per poi tornare all’inizio e leggere cosa aveva scritto lei. È stata un’esperienza vibrante, intensa. Forte. Sono emerse memorie e connessioni con altre geografie meravigliose che anch’io amo e frequento. Ma anche con l’amore e la conoscenza delle questioni indigene di tutto il globo, da quelle Inuit a quelle Nordamericane, Sudamericane e oltre. Le fotografie non sottraggono esperienza a chi le osserva, perché l’occhio di Valentina Tamborra non impone, neanche dove offre ritratti indimenticabili di persone o situazioni geografiche.
Un processo che somiglia a un cambiamento espressivo di paradigma, in atto, per arrivare a quella visione della totalità offerta dalla vita che proprio le popolazioni indigene hanno nel loro DNA, uno sguardo universale che parte dai loro particolari: che siano nella foresta amazzonica o nella tundra scandinava, loro sono custodi della terra, per dirla con N. Scott Momaday e sanno “come fare”. Ma noi, invece, come possiamo raccontare tutto questo?
«Ho sempre pensato a un racconto in immagine e dunque prendevo appunti, registravo, senza sapere esattamente che forma avrebbe preso questo lavoro: sapevo solo che volevo raccontare il più possibile nel modo più onesto e vicino alla storia dei miei soggetti. Spero di esserci riuscita. In qualche modo l’Artico mi abita, perché ciò che mi ispira di quel mondo è l’idea di assoluto, l’impossibilità di riconoscere un confine. È un luogo dell’anima».
Conosco bene questa sensazione, il senso artico e la luce sottile, l’idea di assoluto e il suo enigma, i fragorosi silenzi, gli orizzonti senza un limite preciso che appaiono e scompaiono come miraggi, soprattutto nella tundra artica. Terre impegnative, psicologicamente e fisicamente, nel senso che richiedono uno scatto, lo sforzo di abbandonare ogni categoria conosciuta alle nostre latitudini evitando di avere mete prestabilite, cose da fare e da vedere, come è tipico dell’ossessione turistica nel nostro, di paradigma. Perché lassù ogni dettaglio, ogni istante, è un messaggio: «La mia è stata una spedizione artica dal punto di vista fisico, sicuramente. La tundra è un luogo meraviglioso ma pieno di insidie e l’artico va rispettato e temuto. Lo è stata anche dal punto di vista del cuore e dell’anima: un percorso di scoperta di una realtà e di un popolo così vicino e allo stesso tempo percepito come “lontano” sia geograficamente che come stile di vita».
«C’è un destino nero che sembra perseguitare questo popolo. Un destino che lo vuole vedere combattere per il diritto alla sua stessa esistenza», scrive: perché è difficile comprendere le ragioni di questo sfruttamento del territorio Sami, considerando la vastità di terra e acqua e ghiacci della Norvegia, le piattaforme petrolifere, il recente avvio dell’iter per estrarre risorse minerarie dai fondali oceanici oltre al petrolio: il tutto nel Nord Norge, dove vivono, tra norvegesi e Sami, solo mezzo milione di persone sugli oltre cinque milioni dell’intera nazione. Tutto ciò mi ricorda il caso della diga di Alta, sempre in Finnmark, un atto di forza del governo norvegese contro i Sami, più che una reale necessità energetica, come dicono i numeri.
Eppure la testimonianza di I Nascosti va anche oltre tutto questo, l’alone di malinconia si stempera nella brezza artica, il “destino nero” di cui scrive Valentina è immerso in una luce potente, dal valore spirituale universale. Grazie alle fotografie, alle parole, al lavoro del curatore Giuseppe Creti, dal libro emerge un’altra immagine, quella del crinale sul quale si trova la storia di un popolo che chiama casa da millenni una terra sottoposta alle dure logiche della politica delle nazioni. Chissà se chi pensa alla geografia come a un’astrazione da sfruttare pragmaticamente, leggendo questo libro, riuscirebbe a riconoscere la tessitura senza cucitura artificiale tra geografie fisiche e umane che sa tracciare il sentiero delle differenze, del non detto, del “nascosto” talmente evidente da sembrare invisibile, nella luce del sole artico.
«C’è un punto fondamentale nel mio lavoro, quando dico che “tutto ciò che ho vissuto e provato a descrivere non riesco a chiamarlo Norvegia”. Questo è forse il messaggio più forte che volevo dare perché mi ha colpita sin dai primi momenti di lavoro in quei luoghi straordinari. Il Sápmi ha una geografia a sé: complessa, variegata, strutturata, stratificata. Diverse le lingue, diversi i luoghi dove vivono (dalla tundra alla costa il paesaggio varia molto e dunque anche lo stile di vita), diversi i colori dei gakti – perché anche i colori e i tessuti formano appartenenza».
Conosco questa tessitura. La mia lunga esperienza in Nordland, l’immensa regione che fa da cerniera tra tutto ciò che sta sotto il Circolo Polare Artico a sud, con le contee di Trøms e Finnmark a nord, mi ha raccontato le stesse cose, rivelate proprio dal sentire artico. Perché lo dice bene Valentina, quello che ci auspichiamo per tutti i nascosti del mondo: «Ho vissuto un mondo a sé seppur inserito perfettamente nel contesto e volevo che questo si comprendesse. Mi piaceva l’idea che un domani, chi si trovasse a voler raggiungere Capo Nord, fosse consapevole di attraversare secoli di storia e un territorio che ha almeno due anime, se non centinaia, se non migliaia – quelle di coloro i quali l’hanno vissuto abitato e amato».
In copertina: ©Valentina Tamborra