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Deutschland, trilogia cinematografica della Guerra Fredda



Con Deutschland 89, da poco pubblicato sulle piattaforme Sky e Now TV, si chiude un po’ in sordina l’ambiziosa trilogia dei coniugi Anna e Jeorg Winger, partita con clamore con Deutschland 83 (2015), normalizzata nei suoi effetti sul pubblico col secondo capitolo Deutschland 86 (2018) e completata ora con quella che, per dichiarazione degli autori, è stata l’ultima stagione.
La saga della giovane e semi-imberbe spia della DDR Martin Rauch, spedita di controvoglia all’Ovest nel 1983, all’ “inizio della fine” del regime, è stata di tutta evidenza condizionata nel suo divenire successivo dalla ricezione iniziale, di alterne fortune fra paese d’origine e resto del mondo occidentale: concepito e sviluppato da UFA Fiction come prodotto da prestige tv di molte speranze, la prima stagione ha tanto goduto di unanimi entusiasmi all’estero, prima serie tedesca trasmessa da un network U.S.A., nonché vincitrice di un Peabody Award, quanto di un imprevisto tonfo in patria, dove l’etichetta di “flop dell’anno” attribuita da Bild si è sedimentata nell’opinione pubblica nazionale a detrimento dell’operazione.

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Singolare risultato, in particolare considerando che Deutschland 83 era più che accattivante, muovendosi – manco a farlo apposta – su due fronti: una storyline storico-politica, basata sul reale possibile scoppio di una terza guerra mondiale per i fraintendimenti, i magheggi e l’atavica paura dell’altro che hanno circondato l’operazione Able Archer, e il racconto di formazione dell’acerbo Martin, mite e indottrinato abitante della DDR ritrovatosi suo malgrado spia in Occidente, a contatto con stimoli e questioni mai considerati precedentemente. Sullo sfondo, una ricostruzione ambientale di superba eleganza, una desaturazione della fotografia calibrata al millimetro e una cura maniacale per la colonna sonora, originale pur nella rivisitazione di un’era della musica pop molto saccheggiata nei decenni a venire.
Il progetto di Anna e Joerg Winger, pur fra molteplici implausibilità narrative, si librava in equilibrio imprevisto e mirabile fra verosimiglianza psicologica e estetizzazione formale, con un occhio benevolente ai twist narrativi e ai tocchi di humour. Ma, come elaborato da Jeorg Winger a posteriori, gli spettatori tedeschi avevano un approccio “deferente” verso la loro storia recente, e non sono riusciti ad accettare un approccio “a ruota libera e umoristico”. Dunque, nonostante i Winger abbiano dichiarato di aver concepito sin dall’inizio una seconda stagione come rivolta al mondo al di fuori delle due Germanie, non si può negare che lo spostamento dell’azione di Deutschland 86 su Sudafrica, Angola e Libia abbia di certo contribuito a mitigare gli effetti di svariati trigger emotivi.

Deutschland 86 è il racconto della crisi conclamata all’interno del regime, di come la DDR abbia provato a salvare se stessa e l’idea del comunismo diventando di sottobanco capitalista, un capitalismo feroce e senza regole, addirittura “mafioso” come viene definito a un certo punto nei dialoghi stessi. Ma se in Germania Est i cittadini diventavano cavie per gli esperimenti scientifici delle aziende farmaceutiche dell’Ovest, col beneplacito acquiescente delle autorità, la maggior parte dei plot intrecciati della stagione è legato a cause e conseguenze di illeciti traffici sul continente africano.

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Sono stati disinnescati così gli aspetti più problematici e controversi della Germania Est per la società tedesca a tutt’oggi: lo spiare gli altri, quelli al di là del Muro, una volta fratelli, e lo spiare i propri parenti e amici al di qua del Muro, per quanto alcune conseguenze paranoidi negli individui non vengano affatto sottaciute. Il progetto Deutschland si è trasformato in una storia di spie più tradizionale, seppur sempre godibile, con uno stacco deciso verso l’azione e una trama più macchinosa anche se non per questo più appassionante. Se il capitolo 1983 voleva indagare nelle ragioni e nei sentimenti di tutti, il 1986 è saturo di personaggi dagli oscuri motivi i cui voltafaccia servono solo a una legittima quanto semplicistica titillazione patemica dello spettatore.

Un temibile spiegone geopolitico affidato all’animazione, perfetto per l’eclettismo espositivo di un documentario di Michael Moore ma del tutto spurio qui, una logica nelle relazioni fra i personaggi che nulla osa oltre il classico “Il nemico del mio nemico è mio amico”, una femme fatale uscita dritta da un film di James Bond come interesse sentimentale di Martin: Deutschland 86, pur nell’innegabile piacevolezza, nello sforzo di piacere a tutti ha finito per non risultare indispensabile a nessuno, ed è indubbiamente il capitolo più debole della trilogia. I momenti davvero memorabili restano quelli più audaci e inaspettati: l’irriverenza dell’attacco di Such A Shame dei Talk Talk subito dopo che una valigetta piena di denaro si è aperta, disperdendo una fortuna nell’aria tutt’attorno, o il totale all’alto di una scena dopo una strage, i corpi a terra come macchie di colore colato su un quadro espressionista astratto, un’estetizzazione al contempo affascinante e problematica nella misura in cui depotenzia la violenza.

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Ed arriviamo a Deutschland 89, che non è la storia di una vittoria (dei valori democratici o del sistema capitalista? Quantomeno della gente che libera affolla le strade gridando “Wir sind das Volk” – “Noi siamo il popolo”) ma è la storia di uno spiazzamento, di un’incertezza, di un riassetto del potere. Plateale è la scelta di rifuggire l’epica, non raccontando in un crescendo gli eventi che sono culminati nella caduta del Muro, ma focalizzandosi sui mesi successivi al grande evento. Dopo la ricezione contraddittoria della prima stagione, e lo spostamento di focus sull’azione per la seconda, i Winger recuperano il fattore umano nell’ultima, dove si concedono un approccio empatico verso personaggi seppur difettati o esecrabili, anche perché ormai prossimi alla caduta.
L’ex funzionario della Stasi che rapisce una sua prigioniera in un tempo passato, dopo aver intuito di essere stato riconosciuto per caso, è una figura spaventosa ma non ferale, che terrorizza la donna ma non ha cuore di ucciderla. Sembra in fondo un povero diavolo con una figlia malata da assistere, sorvolando però su come una persona desensibilizzata verso la sofferenza altrui dal mestiere che ha svolto per anni, possa poi provare compassione di fronte a uno sguardo spaventato. Ma non è l’assoluzione o la presa di posizione il fine dei Winger, quanto piuttosto il tema fondamentale della riconciliazione, in linea con la direzione il paese sta cercando di percorrere da decenni. Per questo Deutschland 89, nel continuare a raccontare la storia dalla parte degli sconfitti della DDR, risente di qualche inconsistenza argomentativa e di una tentazione da tragedia elisabettiana che ha già deciso però di non percorrere sino in fondo.

I personaggi di Deutschland si sviluppano a metà strada fra una visione pirandelliana in cui ognuno può essere solo la maschera che le circostanze gli hanno dato da interpretare senza appello, e un margine di manovra del libero arbitrio del singolo, in teoria limitato ma che può avere effetti significativi sugli eventi, come nel caso di Martin, sempre fortunosamente al centro della Storia. In entrambe le istanze c’è una potente logica assolutoria di fondo, in cui ognuno cerca di fare il meglio, ma solo viste e considerate le possibilità e le informazioni a disposizione.

È evidente l’intenzione di tutta l’operazione Deutschland di non raccontare la Guerra Fredda in bianco e nero, ma da una posizione di mediazione. Così “solidarietà” è la parola più invocata nella serie come valore identitario positivo di chi ha vissuto dal lato Est del Muro, ma al tempo stesso l’anti-individualismo, fulcro della odierna Ostalgie per quei tempi passati, non si nasconde nella sua doppiezza di più potente argomentazione a favore della preclusione delle libertà civili.

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