Ispirata al romanzo di Ken Kesey Qualcuno volò sul nido del cuculo, e in particolare sul personaggio dell’infermiera Mildred, Ratched, su Netflix dal 18 settembre con la regia di Ryan Murphy, è un abbagliante affresco di alcuni aspetti della società americana degli anni ‘40 con inquietanti parallelismi con l’attuale di tutto il mondo.
Un canto liturgico accompagna la funzione religiosa in una chiesa. Così si apre Ratched per poi cambiare subitamente tono con un efferato pluriomicidio completo di dettagli macabri e raccapriccianti che darà il via a tutti i meccanismi della storia.
Questo è il ritmo che caratterizza la serie, che procede per contrapposizione, soprattutto tra male e bene, il cui confine appare rarefarsi sempre di più nel corso degli episodi.
Inoltrandosi nella serie si ha l’impressione di entrare nel teatro di marionette che compare nella serie: colori sfavillanti, dialoghi serrati, personaggi iper-caricaturali, di cui viene costruita la complessità emotiva e psicologica episodio dopo episodio.
La protagonista stessa, Mildred Ratched, interpretata da Sarah Paulson, risponde a questa descrizione: abiti perfetti e inamidati, rossetto rosso (inspiegabilmente anche al risveglio), pettinatura ineccepibile, mai esitante nelle sue asserzioni. Un personaggio profondamente controverso, con cui si fatica a empatizzare, per la perenne distanza emotiva che la accomuna agli altri personaggi, anche quando (con diversi gradi di candidezza) esternano teatralmente i loro sentimenti, e per le subitanee mutazioni di carattere, indole e intenzioni.
Solo gradualmente attraverso dei flashback si riesce ad avvicinarvisi un po’, ma senza mai essere in grado di inquadrarli chiaramente.
La dialettica eroe/anti-eroe sparisce anche di fronte al fratello di Mildred, killer feroce, di cui però, una volta svelato il passato, si tende a comprendere le azioni. Eppure rimane sempre un personaggio profondamente ambiguo, di cui non si sa se prendere le difese.
Nonostante le perplessità destate, i personaggi sono magnetici: come non essere ammaliati da Lenore Osgood e dal figlio, o dalla capo infermiera Betsy.
La fotografia concorre alla sensazione di essere entrati in uno strano macabro teatro: grazie al trucco e ai costumi, ogni singola scena potrebbe sussistere anche in assenza di trama. I colori sono lontani dai toni pastello, ma riflettono la stessa logica degli altri elementi: colori accesi si contrappongono tra loro formando una sorta di caleidoscopio che concorre a ingrovigliare i nodi della trama.
Il colore è usato per esprimere stati emotivi estremi di alcuni personaggi, filtrando la scena ora di rosso, ora di verde, ora di blu, riportando la mente al Deserto rosso antoniniano.
L’unico elemento privo di colore è l’ospedale psichiatrico, sfondo principale delle vicende, quasi a simboleggiare un candore e una purezza lontani in tutto e per tutto dai personaggi e nascondendo all’interno tutti i grovigli di una trama brillantemente studiata.
Peculiare è anche la rappresentazione di disturbi psicologici e psichiatrici, affrontati a momenti in modo semi-serio, in altri in modo assolutamente umoristico: come nel caso di Charlotte, una paziente affetta da disturbo dissociativo dell’identità, divisa fra l’identità di una musicista famosa, un contendente di Hitler e di Eva Braun, una bambina ed infine del dottor Hannover, dirigente dell’ospedale psichiatrico e morto per sua mano durante una delle sue crisi.
Ogni episodio sembra rappresentare una parodia di un genere cinematografico: si parte con il thriller/horror, passando per il film sentimentale e lo splatter, fino ad arrivare alle atmosfere del road movie dell’ultimo episodio.
Nonostante l’ambientazione negli anni 40, satirico è anche il modo di trattare alcuni argomenti, come omofobia, pena di morte, rifiuto della diversità o politica, che ci riporta volutamente e tristemente alla realtà attuale.
La serie nella tua interezza sembra essere troppo perfetta, troppo curata. Forma senza sostanza o una perfezione prorompente e disturbatrice come quei colori sfolgoranti e come uno schiaffo o un secchio d’acqua gelida che destano dall’apatia e dissestano l’animo spalancandoci gli occhi?