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A corpo libero. L’événement di Audrey Diwan in concorso a Venezia 78



Due scene che non ti aspetteresti in un film che parla di aborto clandestino:
1. una studentessa di liceo che si dichiara scontenta di non aver mai avuto incontri sessuali all’improvviso, nel mezzo di una conversazione nella sua stanza al dormitorio femminile, decide di mostrare alle compagne di scuola «un trucco su come muoversi»: si sfila gli slip, si mette a cavalcioni di un cuscino sul letto sfatto e comincia a muovere lentamente il bacino strusciando la vulva contro il cuscino fino a raggiungere l’orgasmo (che nessuna nomina) davanti agli occhi delle amiche mute (ma non scandalizzate, **SPOILER ALERT** si scoprirà poi che diversamente da lei hanno entrambe avuto esperienze con uomini);
2. la protagonista che si abbandona a un amplesso intenso contro una finestra (è già incinta, ha già deciso di abortire, il partner non è il padre del bambino, né i due hanno una relazione).

Diwan

L’événement di Audrey Diwan, selezione ufficiale in concorso a Venezia 78, è la trasposizione cinematografica del mémoire autobiografico della premiata autrice francese Annie Ernaux. Pubblicato in Francia da Gallimard nel 2000, ma in Italia solo nel 2019 nella traduzione di Lorenzo Flabbi per L’orma, il libro di Ernaux è ambientato nella Francia del 1963 e nel raccontare la storia personale dell’autrice costituisce una testimonianza di che cosa volesse dire per una studentessa ventitreenne e nubile in questo passato recente, in questo luogo prossimo, cercare di ottenere un’interruzione illegale di gravidanza.

Dal film la personalità di Ernaux scrittrice ormai matura che ricorda la giovane se stessa è espunta, la Anne protagonista di Diwan è più giovane di qualche anno, sta per diplomarsi al liceo e vuole iscriversi alla facoltà di lettere. Quello che di Ernaux invece è conservato è lo stile: l’essenzialità, la concisione, la scarna durezza della sua scrittura si traspongono in un racconto per immagini altrettanto asciutto e concentrato. L’événement è un film sull’aborto clandestino, ma prima ancora è un film sul corpo. Il corpo che è stato scelto per portare in scena questa storia è quello sottile e bianchissimo della splendida attrice Anamaria Vartolomei, classe 1999. Diwan insiste con la macchina da presa su questa protagonista, lo sguardo è implacabile: la segue (continuamente è inquadrata di spalle, in particolare la nuca), la assedia. In cento minuti di lungometraggio forse non c’è nemmeno un campo lungo, raramente qualcuno medio. Dominano i primi piani di Anne; spesso tutto ciò che la circonda, il resto, rimane sullo sfondo fuori fuoco.

La regista ha dichiarato: «ho cercato di trovare il modo per catturare la natura fisica dell’esperienza, di tenere conto della dimensione corporea del percorso. La mia speranza è che l’esperienza trascenda il contesto temporale della storia e le barriere di genere».
Il risultato è coerente con le intenzioni, un’opera di una coerenza stilistica assoluta: l’insistenza esasperata su Anne, il suo stagliarsi nitida su uno sfondo sfocato inchioda anche lo spettatore nell’impasse in cui si trova la protagonista, in una condizione non voluta che aliena da tutto perché tutto la nega, la ignora, la rifiuta. Si tratta di commettere un reato, certo, ma tante cose costituiscono reato eppure parlarne non è tabù, qua il come appare tanto urgente quanto irraggiungibile perché indicibile: il primo ostacolo è comunicativo. Trovare un modo è come brancolare nel buio e nel chiedere indicazioni non ricevere risposta, essere sviati di proposito, mentre si imboccano diversi vicoli ciechi. E intanto i cartelli neri scandiscono il tempo del film, lo scorrere delle settimane di gravidanza, la finestra utile per l’interruzione che si chiude.

La solitudine di Anne costringe allo scontro sconcertante con una società che di fronte all’evidenza della sessualità femminile finge che non esista. Per questo le scene della masturbazione e dell’amplesso, che non costituiscono snodi di trama, sono così importanti, perché il corpo di Anne – e quello delle sue amiche – è messo al centro non solo in relazione alla gravidanza, ma anche in tutta la sua sensualità, e senza che il punto di vista sia morboso, la regia non oggettifica, al contrario: indugia sul desiderio, sulla sessualità impetuosa di queste giovani donne che sono molto più emancipate e libere del contesto sociale che le circonda, che pur nel loro essere acerbe, poco consapevoli e non politicizzate, solo per il fatto di esistere e seguire un istinto sfidano le leggi che le privano del diritto di autodeterminarsi e decidere per il proprio corpo.

Quattordici anni fa, nel 2007, vinceva la Palma d’oro a Cannes 4 mesi 3 settimane e 2 giorni di Cristian Mungiu, che raccontava la storia di un aborto clandestino nella Romania di Ceausescu. Successo di critica mondiale, il film di Mungiu ha segnato la cinematografia più recente ed è il titolo con cui inevitabilmente si misura ogni opera successiva che tocca il tema aborto. L’événement di Diwan si dimostra pienamente all’altezza nel confronto con questo cult cinefilo: dove Mungiu firmava un film cupo, politico e di denuncia sociale, Diwan ci presenta un’opera che riesce a far convivere l’angosciosità della situazione e la gravità del tema con uno slancio di rivendicazione, dedicando spazio anche alla bellezza dell’abitare un corpo e di goderne.

Diwan

Questo aspetto appare evidente anche nel confronto con gli altri film presentati quest’anno alla Mostra: in diversi titoli nella selezione ufficiale di Venezia 78 si indugia sui maltrattamenti inflitti ai corpi. Ci sono scene di tortura e mutilazioni ferocissime sia nel russo Kaptain Volkonogov Bezahal (interrogatori con «metodi speciali») di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, sia nell’ucraino Vidblysk di Valentyn Vasyanovych, ma anche in film non realisti e dai toni più leggeri come Mona Lisa And The Blood Moon di Ana Lily Amirpour e Freaks Out di Gabriele Mainetti non viene risparmiata la violenza sui corpi di chi è percepito come diverso e strano e vive ai margini, che si tratti di freaks, «fenomeni da baraccone», o di chi soffre di disturbi di salute mentale o di sex worker.

Il confronto più impietoso però con la cura e la consapevolezza che Diwan riserva alla sua protagonista si riscontra guardando la La scuola cattolica di Mordini. All’adattamento del romanzo di Albinati è dedicata solo la prima parte del film, la seconda è una ricostruzione del massacro del Circeo e appare molto controversa sia la scelta di far interpretare Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, le due vittime, rispettivamente al volto noto di Benedetta Porcaroli e a Federica Torchetti, due attrici dai corpi conformi e canonici. In particolare il nudo plastico di Benedetta Porcaroli, intatto nonostante le violenze, incorniciato da un salotto con arredo di design in alcune inquadrature sembra uno scatto patinato da rivista di moda, nelle sequenze nella villa fino all’epilogo il sangue è quasi assente, la violenza quasi mai mostrata andando a comporre una messa in scena molto controversa, che estetizza i corpi delle vittime (i cui personaggi non sono stati approfonditi e che quindi allo spettatore si presentano come due figure prive di storia, connotate appunto solo dai loro corpi) e quelli degli aguzzini e attenua la violenza che si sta consumando.

Nel panorama di carni martoriate di Venezia 78, Audrey Diwan con L’événement pur senza pudori e senza rifuggire anche gli aspetti più concreti e raccapriccianti, mostra (ma non esibisce) allo spettatore un modo potente e rispettoso di trattare il corpo che pone al centro della scena, di renderlo soggetto della sua storia. È una storia che sarebbe bello appartenesse solo al passato e invece conserva una sua urgenza e continuerà a conservarla finché il diritto di chiunque a decidere del proprio corpo sarà negato, minacciato o messo in discussione.

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