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Dall’adolescenza verso l’ignoto, il viaggio sulle Alpi di Franco Michieli



Inizia oggi la collaborazione editoriale tra Limina e UNIMONT – Università della Montagna, polo d’Eccellenza dell’Università degli Studi di Milano a Edolo, nel cuore delle Alpi, specializzato nella promozione dello sviluppo delle montagne attraverso attività di formazione, ricerca e terza missione specifici per questi territori. A UNIMONT sono attivi il corso di laurea triennale in “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano” volto a formare specialisti del sistema montano e il Centro di Ricerca Coordinata per la Gestione Sostenibile della Montagna (Ge.S.Di.Mont.), in cui lavorano attivamente numerosi giovani ricercatori per innovare e rendere competitivi i territori montani. Dal 2017, negli spazi di Unimont va inoltre in scena “RacCONTA LA MONTAGNA”, una rassegna letteraria dedicata alla saggistica e alla narrativa di montagna che vuole metterne in risalto il “potere” culturale ed evocativo.
Con l’obiettivo condiviso di raccontare la montagna, l’ambiente, la natura, le mutazioni del paesaggio e della società, i modelli economici sostenibili, i nuovi stili di vita e la crescente sensibilità green, la redazione di Limina e Unimont percorreranno insieme il lungo sentiero del racconto di un cambiamento nel quale è giunto il momento di essere protagonisti, interrogando le voci di studiosi, scrittori, docenti, pensatori e studenti riuniti nella consapevolezza che non sono più rinviabili un dibattito e una riflessione, letteraria, critica e formativa, sul futuro del pianeta e di chi lo abita.

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Il mese scorso Franco Michieli ha presentato il suo ultimo libro L’abbraccio Selvatico delle Alpi (Ponte alle Grazie) in Unimont, all’interno della rassegna “racCONTA LA MONTAGNA”. Penultimo di una serie di libri che ha visto tra gli autori di quest’anno Marco Albino Ferrari, Sara Loffredi, Enrico Camanni, Telmo Pievani, Raffaele Nigro, Giuseppe Lupo, Giorgio Vacchiano. Il libro di Michieli racconta il viaggio di Franco all’indomani della sua maturità al liceo Einstein di Milano dal 23 luglio 1981 al 12 ottobre 1981, un itinerario sulle Alpi, dal mar ligure all’Adriatico, da Ventimiglia a Trieste. Tre mesi a piedi, senza pernottamenti in tenda o in rifugio, che segnano profondamente la sua vita futura e il suo modo di vivere e rapportarsi all’ambiente e alla montagna. Lo abbiamo incontrato per chiedergli di quei giorni, e di come abbiano influito nella sua storia personale.

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In L’abbraccio selvatico delle alpi racconti di un viaggio speciale. Dall’adolescenza verso l’ignoto, un viaggio di iniziazione. A distanza di quarant’anni, cosa ha significato per te quell’esperienza?
È stato un viaggio particolare perché ha seguito l’esame: la mattina l’orale della maturità, e nel pomeriggio la partenza in treno per Ventimiglia insieme ad Andrea, il mio compagno di banco. Il bivacco sulla spiaggia di Ventimiglia, il primo di tantissimi che sarebbero seguiti; subito, la mattina dopo, è iniziato il nostro cammino su per le montagne, dove avrei poi camminato per ottantun giorni.
Siamo partiti da Ventimiglia perché avevo in mente le Ultime lettere di Jacopo Ortis scritte da Ugo Foscolo, studiate al liceo; la prima era la famosa Lettera da Ventimiglia. In questo modo il viaggio integrava la cultura da liceali col mondo vero. Eravamo molto motivati, non era una scelta improvvisata. Da almeno un anno sognavamo, soprattutto io, di provare un’esperienza di montagna diversa da quelle precedenti: non più le classiche ascensioni o escursioni rapide, nelle quali si sale una montagna, si scende e poi ci si sposta da un’altra parte, continuando a interrompere l’esperienza; ma la ricerca della continuità, di una durata. La mia grande aspirazione era poter fare un viaggio tra le montagne che non si interrompesse. Le esperienze delle estati precedenti mi avevano convinto che mi mancava questa dimensione; avevo notato che quando mi fermavo a lungo tra le montagne prima di tornare a valle la mia capacità di muovermi, il mio rapporto con il paesaggio, migliorava. Tra le montagne mi sentivo a casa. Cambiava lo spirito.
Nella scelta del viaggio abbiamo voluto cogliere un’occasione offerta dalla natura stessa: osservavo le catene montuose sugli atlanti e le vedevo come delle vie naturali. Come gli alpinisti amavano individuare delle linee naturali sulle pareti delle montagne e sognavano di percorrerle, per me questa dimensione si è spostata nella geografia, in una vastità orizzontale. Ho visto le Alpi come una via naturale, dotata di ambienti più selvaggi grazie alla sua asprezza, che offriva la possibilità di seguire le montagne facendo anche alpinismo, non per un giorno ma piuttosto per tre mesi. Un’occasione per immergermi interamente nella vita delle montagne, e trarne qualcosa.

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L’alba sulle Alpi Breonie, 1981

Una cosa simile a quello che poteva rappresentare per l’uomo preistorico, all’uomo di Similaun, che non essendoci le strade vedeva le montagne come luogo di una naturale percorrenza.
Così in qualche modo si diventa un abitante della montagna, un abitante all’aperto. Qualcosa di primordiale che però è sopravvissuto per molto tempo, se pensiamo ad esempio ai pastori che fino a non molti anni fa dormivano all’aperto: per loro era naturale passare le estati indossando un mantello e dormendo fuori. Da una parte dunque c’era il desiderio di due diciottenni di andare a scoprire il mondo, di trovare nell’incontro con la natura, reale e diretto, senza intermediari, le risposte a tante domande tipiche di quell’età. Una ricerca necessaria soprattutto nel periodo in cui al liceo si studiano tanti punti di vista e visioni della filosofia, della letteratura e della scienza; sorgono tante domande sull’esistenza, sulla vita, sulla natura, e si sentono tante ipotesi, alcune ottimistiche e altre pessimistiche, ma non si ha ancora avuto l’occasione di mettere alla prova questo sapere astratto. Per me dunque è stato fondamentale andare alla ricerca di risposte dirette; per me è un bisogno significativo ancora oggi. C’è grande differenza tra le risposte teoriche date da qualcuno, e quelle concrete date dall’esperienza diretta.
Allora, come oggi, la società non riusciva a dare molte risposte; ci si chiedeva dove stesse andando l’umanità, con un progresso che prometteva molto ma era già in crisi sotto tanti punti di vista. Vivevo a Milano, città caotica, inquinata, piena di incongruenze, piena di ipocrisie, e naturalmente vedevo tutto ciò con la passione e l’assolutismo tipico di un adolescente, che ha giudizi piuttosto netti. La nostra visione percepiva il mondo della pianura come qualcosa scarsamente credibile, mentre il mondo della montagna era avventuroso, valorizzava le fatiche dell’uomo, le difficoltà che tutti rifuggono. Un mondo di valore, virtuoso, che noi cercavamo di ritrovare non solo in montagna ma anche in città, facendo ad esempio atletica leggera. Essere corridori in mezzo a Milano era già una sorta di preparazione per ciò che avremmo poi fatto in montagna; anche in basso cercavamo le difficoltà, la pioggia o la nebbia, per prepararci a ciò che avremmo trovato sulle cime. Sentivamo una grande attrazione per l’idea di permanere a lungo in montagna. «Adesso entriamo nelle montagne e ci stiamo a tempo indeterminato, non dobbiamo pensare al ritorno». Ci dava forza e entusiasmo. Emozioni come la vista improvvisa di un grande panorama all’apertura delle nebbie, oppure valicare una cresta che ti offre la visione di un nuovo mondo dall’altra parte… momenti di straordinario entusiasmo, piccole scoperte che ci facevano crescere.

E infatti nel titolo usi la parola “abbraccio”, qualcosa di emotivo, di amichevole. In quello zaino, col quale parti da Ventimiglia, c’è tanta cultura, le letture che il ragazzo ha macinato nella scuola e nel rapporto con i propri insegnanti. Si parla di tanti autori, tra questi Leopardi, che torna spesso tra le tue pagine. Dici che è un autore di grande lucidità nel leggere il sentimento delle attese umane, e che l’amore per la natura arriva proprio da lui. Natura e cultura, due ingredienti fondamentali del tuo modo di viaggiare.
Chi arriva alla maturità vive un concentrato di letture e idee. Interrogativi molto coinvolgenti. Hegel spesso lo prendevamo in giro; con quella sua convinzione di incarnare il culmine della filosofia diventava a volte oggetto di scherno. Leopardi invece ci coinvolgeva molto, perché evocava il rapporto con una natura che da una parte mostrava un’incomprensibile bellezza, e dall’altra una forte indifferenza per il destino dell’uomo, in un ciclo di continua trasformazione che non si cura del benessere delle singole creature. Una visione contrapposta a quelle di altri autori cui si dedica molto spazio al liceo, e anche alla cultura biblica, nella quale si dà un valore positivo alle creature e alla vita naturale. Ci muovevamo dunque su un filo, una cresta, tra la possibilità di una natura quasi curativa verso le vicende dell’uomo e un’altra nella quale la meraviglia non ha spiegazione e quel che capita, capita a caso. Il viaggio era per me una sorta di prova davanti a queste grandi domande. Sapevo bene che sarei andato all’avventura incontrando situazioni alle quali non ero preparato. Attraversare le Alpi non era una passeggiata, stando sempre fuori di notte. Desideravo mettere alla prova il tipo di risposte che poteva fornirmi la montagna, all’interno di un coinvolgimento generale negli eventi della natura.

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Franco Michieli nel 1981 sulle Alpi, in salito sopra Zermatt

Ho amato molti dei tuoi libri precedenti e dopo la lettura di L’abbraccio selvatico delle Alpi mi rendo conto che questo viaggio è stato veramente il mettere alla prova e a sistema un tuo modo di essere nella natura che poi hai esperimentato e approfondito, vorrei dire radicalizzato, in ogni nuovo viaggio. È stato un primo esperimento di immanenza nell’ambiente, nella naturalità.
Man mano che si andava avanti, mi sono sentito sempre più a casa, sereno e abile nel muovermi. Ma soprattutto, sentivo una forte partecipazione del mondo naturale a ciò che stavo vivendo. Non è possibile descrivere scientificamente questa sensazione, sono impressioni sottili che di tanto in tanto emergono in modo talmente netto da togliere ogni dubbio. Andare alla ricerca di una montagna, e poi mentre stai pronunciando il suo nome si aprono improvvisamente le nuvole ed appare, come se ti dicesse «Eccomi, sono qui». Oppure, percorrere lunghi ghiacciai senza traccia, e dubitare di trovare la strada giusta, e invece scoprire di essermi mosso in modo corretto, anche nella nebbia, quasi come in una rivelazione, in un abbraccio delle Alpi nei nostri confronti. Tra tante avversità, ti ritrovi alla meta e in quel momento senti forte la partecipazione della natura.

Hai parlato della tua abilità, man mano che procedevi. Ma anche di rispetto dell’introspezione, con riferimento ad alpinisti come Bonatti, Messner, Diemberger, forse il tuo alpinista di riferimento. Ti hanno dato forza?
Accanto a Leopardi o Manzoni, per noi c’erano i grandi alpinisti dell’epoca, che avevano saputo raccontare l’avventura con una visione e un modo di approcciare la montagna che non era banale e aveva delle novità rispetto al passato. Andare in montagna in un modo etico. In quel lontano 1981 si discuteva molto del tentativo di Messner di raggiungere tutti gli 8.000 con mezzi leali, una filosofia che avevamo fatto nostra. Noi volevamo essere ancora più radicali, in linea con Bonatti che si è sempre espresso per una rinnovata integrità del modo di affrontare la montagna. Queste figure ci hanno ispirato: il Monte Canin, per esempio, dovevamo salirlo perché è stato il primo scalato da Bonatti nella sua traversata delle Alpi.
Niente funivie e niente radio, così come oggi niente cellulari. Quando si è in montagna, non si può essere collegati per metà da un’altra parte. Kurt Diemberger spicca perché non è tanto preoccupato dell’etica, ma ha il dono raro di saper raccontare con poesia e molta ironia questo mondo. In lui si trova una sensibilità per gli eventi naturali e i rapporti umani, accompagnata da autoironia, che per noi faceva la differenza. Il suo volume Tra zero e ottomila lo conoscevamo quasi a memoria, una guida poetica alla visione della montagna e dell’avventura. Abbiamo deciso che l’arrivo sarebbe stato a Duino perché avevamo letto e riletto un bellissimo capitolo di Diemberger, a sua volta ispirato a Rilke.

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Al bivacco sul ghiacciao del Gorner, 1981

Proprio in questi giorni, dopo un incredibile e tribolato periodo, molti diciottenni chiudono una fase della loro formazione in attesa di affrontarne una successiva che li vedrà approfondire temi e discipline che indirizzeranno la loro vita futura. Vuoi dare loro un consiglio?
Il liceo è stato per me un tempo di ricezione di innumerevoli temi e stimoli, provenienti da culture e periodi storici diversi, che la mia curiosità cercava e faceva propri con avidità; penso che sia così per molti maturandi. Ma tutto questo mi appariva sempre incompleto e necessariamente da intrecciare all’esperienza e alla vita. Solo a contatto diretto col mondo la cultura diventa un continuo e vero arricchimento. Questo viaggio, questa traversata sulle Alpi è stata per me un primo banco di prova per mettere a confronto e far incrociare teoria e prassi, la cultura che arriva dalle mie letture di riferimento con il mondo e la realtà.  Ai ragazzi consiglio sempre di vivere esperienze di questo tipo, che abbiano la finalità di mettere alla prova ciò che si pensa. Non necessariamente nel modo con cui l’ho fatto io e non per forza sulle Alpi. In qualunque luogo e in molte forme si possono condividere concretamente, con amiche e amici, dei valori e un percorso di scoperta.

Fai riferimento all’amicizia, nel tuo libro è un legame che si sente forte. Consolidato dalle frequentazioni scolastiche ma anche dalla montagna e da quella Grigna che era la vostra meta e palestra in molti fine settimana. Molti gli abbracci, tappa per tappa con l’amico che se ne va e con quello che riparte con te.
Nacque una staffetta tra gli amici del nostro gruppo. Andrea ha raccolto dalla battigia una manciata di sassolini del Mar Ligure, chiudendoli in un sacchettino. All’incontro con Sandro, l’amico che l’ha sostituito dopo una settimana, glieli ha consegnati. E il viaggio è proseguito così, con questo scambio simbolico. Consolidamento di amicizie, che anche a distanza di quarant’anni sono ancora forti. Non c’era la rete, non c’erano cellulari, l’amicizia in presenza era tutto per la nostra generazione, e le amicizie virtuali per noi sono strane, distanti, perché difficilmente permettono di vivere avventure reali nell’autenticità della natura. La condivisione con le persone e con la natura stessa è per me impagabile, un valore fondamentale. Non c’è niente di più bello del lasciare entrare in noi qualcosa che appartiene all’universo, non programmata dagli esseri umani, non codificata. Qualcosa che arriva e che esisterebbe anche se non ci fossimo noi. Se restiamo chiusi solo tra i prodotti umani, rischiamo di pensare che il resto sia indifferente alla nostra vita. La montagna vissuta in intimità ci indica questa possibilità di partecipazione universale.

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