Sedici scrittrici per sedici grandi donne. È da poco in libreria Musa e getta, a cura di Arianna Ninchi e Silvia Siravo, edito da Ponte alle grazie, una sorprendente raccolta nella quale alcune tra le più apprezzate scrittrici italiane raccontano altrettante muse: artiste, letterate, modelle, cantanti, spesso relegate nell’ombra e private della parola. Attraverso i racconti di Ritanna Armeni, Angela Bubba, Maria Grazia Calandrone, Elisa Casseri, Claudia Durastanti, Ilaria Gaspari, Lisa Ginzburg, Chiara Lalli, Cristina Marconi, Lorenza Pieri, Laura Pugno, Veronica Raimo, Tea Ranno, Igiaba Scego, Anna Siccardi e Chiara Tagliaferri tornano a prendere vita le indimenticabili (ma a volte dimenticate) esistenze di Lou Andreas-Salomé, Luisa Baccara, Maria Callas, Pamela Des Barres, Zelda Fitzgerald, Rosalind Franklin, Jeanne Hébuterne, Kiki de Montparnasse, Nadia Krupskaja, Amanda Lear, Alene Lee, Dora Maar, Kate Moss, Regine Olsen, Sabina Spielrein.
Per Limina le due curatrici del volume raccontano la genesi del progetto editoriale in una doppia intervista dal gusto teatrale che ribalta i ruoli e il punto d’osservazione.
ARIANNA: Un’antologia al femminile. Non te l’aspettavi, eh… O invece sì? Cosa rappresenta Musa e getta per te?
SILVIA: Sono sempre andata alla ricerca di testi tutti al femminile per il teatro, mi hanno sempre incuriosita. Così quando hai tirato fuori dal cappello questa bellissima idea, questa necessità di parlare di muse, di dare luce a donne nell’ombra, ho pensato che mi sarebbe piaciuto esserti accanto nel concretizzarla. È stato bellissimo farlo in questo modo. Musa e getta rappresenta questo desiderio, così come la possibilità di fare rete, creare sinergie, aprire un dibattito su questo tema delicato. Aggiungerei anche che è un atto creativo che poi ti ritrovi tra le mani, cioè più materico delle battute recitate in un teatro, quindi per me una nuova emozione! Tu ed io siamo le curatrici, ma credo che questo libro si sia anche un po’ preso cura di noi. È stata un’esperienza rigenerativa.
A: Perché ti sei lasciata contagiare dalla mia ossessione per Lizzie Siddal, la modella dei preraffaeliti (ossessione da cui il progetto trae origine)?
S: Perché le ossessioni m’incantano, sono spesso sintomo di qualcosa che vuol venire alla luce. Questa storia così dolorosa mi ha turbata. All’epoca mi raccontasti che Lizzie era rimasta a lungo immersa in una vasca da bagno per fare da modella e che, quando si era rotta la lampada che riscaldava l’acqua, aveva continuato a restare lì, immobile, perdendo la salute. Tutto questo per rappresentare la morte di Ofelia, personaggio che tra l’altro credo sia invece la mia ossessione. Ecco, forse c’è stato un incastro di ossessioni. Insomma ho sentito il desiderio che Lizzie uscisse dalla vasca e si salvasse. Alla fine non è entrata nel libro, ma sicuramente la sua resistenza, la sua caparbietà e le sue fragilità sono evocate da tutte le nostre muse.
A: Sarebbero felici della raccolta le nostre muse? Ti sei posta il problema del diritto all’oblio? Abbiamo disturbato il sonno, la veglia, o la vita di qualcuno?
S: Sono così piene di sfumature, le loro nature così diverse. Provo ad immaginare. Laure forse si schermirebbe, magari Luisella Baccara aprirebbe il “viso olivigno” ad un sorriso, Kate Moss rimarrebbe in silenzio, perché lei è la regina del silenzio, Zelda sarebbe entusiasta di stare in copertina oltre che in uno scritto e comunque ci dedicherebbe uno di quei suoi motti di spirito così arguti e… chissà le altre. Mi fermo qui, quello di cui sono certa però è che amerebbero la sensibilità, la sapienza e la fantasia con cui sono state raccontate dalle nostre autrici e sarebbero felici di un progetto che dà la parola a tante donne, parola che a loro è stata spesso negata.
A: Perché un uomo dovrebbe comprare e leggere Musa e getta?
S: Prima di tutto perché è l’occasione per leggere un bel libro, poi per ascoltare la “versione di lei” e scoprire l’altra metà della storia.
SILVIA: Hai trovato questo efficace titolo, Musa e getta, per l’antologia. Da che necessità nasce?
ARIANNA: Direi che è il titolo ad avere trovato l’antologia. La mia ossessione per le muse inizia infatti da lì, da quando nel 2013 inventai questo calembour, uno dei tanti giochi di parole che sono per me un’abitudine, o forse proprio una necessità. Però questo mi piaceva particolarmente e mi ero riproposta di utilizzarlo. In quello stesso anno avevo poi letto la biografia della Siddal e la mia attenzione sempre più spesso e istintivamente andava verso le vite delle compagne di artisti celebri. «E lei?», mi chiedevo. La mostra antologica su Dora Maar, vista al Centre Pompidou nell’estate del 2019, mi ha fatto capire che era giunto il momento del fare (sempre torno da Parigi con una gran voglia di fare). Poi, come sai, sono un segno d’aria e funziono in team, anzi… in équipe. È stato affascinante e fondamentale averti accanto in questa avventura.
S: Il progetto editoriale ha avuto un notevole riscontro e ha stimolato un ampio dibattito sulla condizione femminile. Pensi che la declinazione teatrale del progetto riuscirà ad avere lo stesso impatto?
A: Lo spero. Al teatro torno sempre con amore, forse anche perché rappresenta un legame con la tradizione della mia famiglia. Ma negli ultimi anni, lo confesso, molte delle sue logiche mi sfuggivano e sentivo una tendenza “alla nicchia”, al parlarsi addosso. A me interessano gli scambi, le aperture, le sinergie. Penso a Ginzburg (Natalia, Lisa è con noi), a Moravia, a Flaiano, a Pasolini, a quanto il teatro in Italia sia stato un interesse centrale anche per gli scrittori. E invece leggendo romanzi di autori contemporanei mi capita di pensare «questo romanzo è scritto per il cinema» e raramente «questo testo è perfetto per il teatro». Forse Musa e getta è solo una goccia in un mare, ma il fatto che ci sia stato un entusiasmo così grande da parte delle nostre scrittrici, che sapevano in partenza delle future prospettive teatrali del progetto, mi riempie il cuore di gioia. Quanto al pubblico del teatro, quando si potrà infine tornare al teatro, mi auguro che possa capire anche quello che c’è dietro, e cioè questa volontà di fare da ponte fra due ambiti, quello dell’editoria e quello del teatro, che non si parlavano più molto. La tematica è vicina al sentire comune, non ho dubbi su questo. Così come sulla qualità dei testi. Ne approfitto, anzi, per ringraziare ancora pubblicamente tutte le nostre stupende autrici: hanno scritto pagine di grande bellezza.
S: Tu segui con grande cura le pagine Facebook e Instagram dedicate al libro. Che contributo stanno dando i social al dibattito che ha aperto?
A: Sì, la mia laurea in Scienze della Comunicazione ora ha un senso! Battuta a parte, ci tengo intanto a dire che accanto a me, nel lavoro per le pagine social, c’è Andrea Cannizzaro, web social manager che mi ha ricordato una cosa fondamentale per il linguaggio digitale: si può sempre dire con meno parole. Ora però ne uso di più, e doverosamente perché, così come c’è Andrea per i social, accanto all’antologia c’è da subito stato Vincenzo Ostuni, che ha sposato l’idea e l’ha spiegata per noi a Ponte alle Grazie e ad alcune autrici che non conoscevamo.
Tornando invece alla tua domanda, la cosa più interessante dei nostri profili social sono gli scambi con le lettrici e i lettori. È un pubblico molto attivo, e non solo a livello di condivisioni, commenti, stories. No, ci scrivono proprio e il dibattito fra loro è molto acceso. Mi fa piacere rispondere sempre e intervenire quando riesco.
Non so invece dire quanto questo genere di contributo influenzi il dibattito aperto dal libro, anche perché non so quanto il mondo social sia rappresentativo della realtà dei lettori, ma so che queste riflessioni mi portano a riflettere. Quindi influenzano me che poi ho occasione, come ora, di parlarne.
Chiudo andando sugli esempi: una ragazza ha fotografato un ramoscello di rosmarino accanto alla nostra citazione in esergo («Ecco il rosmarino per la memoria; ti prego, amore, ricorda», ed ecco ritornare Ofelia) e allora io penso «davvero la bellezza è contagiosa, wow!». Oppure una signora ci scrive che a volte, nella vita di coppia, la coperta le sembra “troppo corta”, e con questa espressione riassume un concetto enorme che è un problema molto sentito dalle donne in Italia. Queste testimonianze, questi contributi, mi fanno sentire davvero accanto alla gente. E torno a usare la parola “accanto” perché è il cuore dell’antologia, che parla di rapporti, di relazioni. E lo fa in un’epoca che invece ha visto trionfare, per usare un altro mio calembour, il vivaio del viva-io… Con Musa e getta mi pare di avere detto, finalmente, viva noi!
S: Quali sono le altre muse che avresti voluto includere nel libro? Ci sono altre storie che avresti voluto condividere? Visto il successo del progetto pensi che questa esplorazione nel mondo femminile possa continuare nel futuro?
A: Sicuramente il fatto che Lizzie non sia nell’antologia mi dispiace. Però non è l’unica di cui amerei sentire la voce. Un’altra musa adorata è Berthe Morisot, straordinaria pittrice, modella e compagna di Manet, di cui vidi una mostra a Parigi tanti anni fa. Ho sperato fino alla fine che ci fosse anche Anna Karina, per tante ragioni e per una foto in particolare di lei in una pausa sul set: lo sguardo sul suo Godard è lo sguardo di chi presente l’addio e s’interroga già… Comunque, con l’iniziativa “Scrivi la tua musa” diamo modo ai lettori (la scadenza è oggi) di celebrare con noi i talenti delle donne e ci saranno magari delle sorprese che finiranno in uno speciale eBook di Musa e getta. Di certo, l’ipotesi di una seconda raccolta è già ventilata nella nostra prefazione, perché sono tantissime le muse rimaste fuori dal gruppo. Ho anche altre idee, come sai, sempre di esplorazione nel mondo femminile. Vuoi aiutarmi a metterle su pagina? Io mi lascerò guidare dalla grande esclusa Lizzie, credo. E dall’amore.
Illustrazione di copertina: Sofia Bonati