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Qual è il senso delle cose? Le Lettere dalla fine del mondo di Parente e Vallortigara



Lettere dalla fine del mondo si presenta come un epistolario a due voci (più una, scopriremo): quelle di Massimiliano Parente e di Giorgio Vallortigara, con la breve ma significativa aggiunta in postfazione di Giulia Bignami, la quale usa le ultimissime pagine per svelarci come ha accompagnato, influenzato, arginato il dirompente dialogo dei due, giocando a ricordarci che scherzo, delirio, procedere senza un piano prestabilito, la mancanza di un indice, il concentrarsi sugli aspetti apparentemente meno rilevanti della stesura di un’opera possano in realtà stimolarne le pagine più interessanti. I densi argomenti delle lettere che si scambiano lo scrittore-(non)giornalista e il neuroscienziato-etologo-divulgatore infatti turbinano attorno a molteplici poli di attrazione, sebbene forse a loro volta tutti gravitanti attorno a un unico centro. Quale sia questo centro viene lasciato al lettore il compito di capirlo, o forse di sceglierlo, ma è certo che il gioco composto e autorevole di Vallortigara è in grado di rimandare sempre in campo le palle più oblique servite da Parente.

Se c’è un filo con cui i due intessono la trama dei loro scambi, forse questo è la domanda fondamentale che nasce con la stessa filosofia e che si sviluppa per millenni: qual è il senso delle cose? E, subito a seguire: visto che la scienza delle risposte a tale domanda ce le ha fornite, che aspettiamo a riversarne le conseguenze nell’arte, nell’etica, nell’estetica, nei comportamenti della vita di tutti i giorni? Una delle ricorrenti esortazioni di Parente verso lo scienziato Vallortigara è, soprattutto, quella di prendere posizione contro le religioni, in grado solo di fornire un palliativo di senso a una cosa che il senso non ce l’ha: la nostra presenza nell’universo.

Parente Vallortigara

Secondo Parente qualsiasi discorso consolatorio – provenga esso da un parroco o da un artista – non fa che allontanarci dalla corretta percezione della realtà, dove per corretta egli sembra intendere nichilista, qualità che si attribuisce rivendicandola. All’ottimismo, alla bellezza e alla speranza contrappone la missione dello scienziato, il quale attraverso il metodo sperimentale, il linguaggio matematico e gli strumenti logici e interpretativi è in grado di costruire modelli e teorie che restituiscono un’idea di mondo, di uomo, di natura, di universo, se non reale, quantomeno non fondata su illusioni, credenze, speranze o paure.
Lo schema argomentativo che ricorre in Parente parte da un campionario delle più disparate scoperte scientifiche degli ultimi due secoli: dalla teoria sull’evoluzione della specie di Darwin – una sorta di anno zero da cui vengono datate le lettere dello scrittore – alla scoperta del DNA, dalla meccanica quantistica alla relatività di Einstein, giusto per citarne alcune. Nell’epistolario egli mette quindi in relazione, anzi contrappone tali esempi a una rassegna di casi letterari, artistici, musicali: da Leopardi a Proust, da Duchamp a Fontana, da Giotto a Raffaello, da Sartre a Camus, da Freddy Mercury a Vasco Rossi, e a decine di altri insomma, per ribadire essenzialmente: cosa è o cosa sarebbe stato di tali autori e delle loro opere di fronte alla potenza e allo smarrimento che conseguono da stravolgimenti così epocali, quali quelli portati dalle scoperte scientifiche di cui oggi siamo a conoscenza?

Veniamo a Vallortigara. Alle scapestrate, provocatorie, turbinose missive di Parente, il neuroscienziato replica sempre con un pacato tono da divulgatore. Nelle sue risposte emerge non solo una conoscenza profonda della materia, per esempio quando descrive le differenze nelle preferenze sessuali di maschi e femmine da un punto di vista delle asimmetrie gametiche e dei condizionamenti socio-culturali, quando racconta gli studi sperimentali sulla scelta del partner negli animali, o quando spiega la nozione di libero arbitrio in relazione alle misure dei sincronismi tra onde di attività cerebrale e gesti motori, ma anche uno stile dialogico che – sebbene riconoscibile nel ruolo accademico che ricopre – è in effetti sempre estremamente piacevole e personale.

Le lettere di Vallortigara ancorano gli scambi non solo scientificamente, ma anche tematicamente. Le risposte infatti non si limitano a rimandare la palla nell’altra metà campo, per restare nella metafora precedente, ma propongono un gioco dialettico che porta il discorso su questioni e argomentazioni di natura estetica. Gli interrogativi che fa emergere chiedono se, per esempio, la comprensione scientifica della natura ne alteri la bellezza, se questa ne venga accentuata o sminuita. Più in generale, lo scienziato interroga lo scrittore su cosa sia per lui la bellezza e il mistero. E proprio lo scienziato su questo propone una lettura della bellezza come stato di imminenza e attesa.
Se le persone muoiono, se l’umanità è destinata all’estinzione, se la Terra verrà inglobata dal Sole, se la bellezza sta nella fragilità delicata di evanescenti attimi di sospensione, allora, la salvezza esiste o è ridicola?




Foto di copertina: Impatto meteorite del 2035, Raffaele Zanin

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