Modella bellissima, musa di Man Ray, fotografa talentuosa, reporter di guerra e cuoca pluripremiata, ma chi era veramente Lee Miller?
Nel libro La vasca del Führer, pubblicato lo scorso novembre, Serena Dandini ci racconta, con una ricerca quasi ossessiva nei confronti del dettaglio storico, di questa donna straordinaria, protagonista dei momenti più intensi del Novecento fino al 1977, che ha rivestito i ruoli di modella e di fotografa, di amante e di moglie, di rivoluzionaria artista e inviata di guerra.
Lee Miller rappresenta oggi uno di quei personaggi in grado di essere sempre nel luogo e nel momento giusto. Nacque nel 1907 a Poughkeepsie, cittadina statunitense appartenente allo stato di New York, uno dei tanti luoghi che Lee ha intriso con la sua energia.
Come una trottola vedremo questa giovane donna saltare da un continente all’altro mossa da curiosità e da un irrefrenabile senso di libertà. Fu così che, appena trasferitasi nella vivace New York, Lee s’imbatté nel primo di una lunga serie di incontri che segneranno la sua vita.
Lo sconosciuto con cui Lee Miller letteralmente si scontrò mentre attraversava la 5th Avenue è nientemeno che Condé Nast, imprenditore molto influente nell’editoria dell’epoca, proprietario di Vogue, Vanity Fair e The New Yorker. La fortuna vuole che la giovane ragazza di provincia in pochissimo tempo raggiunse la copertina della rivista americana Vogue, all’epoca ancora illustrata.
Tuttavia solo un paio d’anni più tardi la giovane modella «si stancherà di questo ruolo» per passare dall’altro – e più intrigante – lato dell’obiettivo. Ciò che davvero le interessava era «scattare una fotografia, piuttosto che essere una fotografia» – amava ripetere a chiunque la interrogasse sull’argomento.
Serena Dandini inizia la sua ricerca proprio perché colpita e mossa da uno scatto in particolare, un’immagine forte che ci mostra Lee Miller immersa in una vasca, all’interno di un bagno completamente asettico, in cui riconosciamo solo una fotografia incorniciata raffigurante Adolf Hitler e degli scarponcini su un tappetino impregnato di fango. Quello che inizialmente può sembrare uno scatto spontaneo, nasconde in realtà una mise-en-scène con un vero e proprio studio del dettaglio. Nulla è lì per caso, non lo sono gli scarponi con cui la fotografa ha imbrattato il tappetino, né la stessa Lee Miller, immersa nella vasca da bagno di uno degli sterminatori più abominevoli del Novecento. Quel gesto di sfregio era stato progettato e voluto, un gesto liberatorio per sfogare i turbamenti della giornata, già segnata da una serie di scene che resteranno indelebili per gli occhi di Lee. Gli orrori nascosti all’interno dei campi di concentramento, e rivelati a lei in anteprima quello stesso giorno, segneranno profondamente la sua vita.
Come ci è finita tuttavia una modella di Vogue, che incarna l’ideale di donna e di bellezza degli anni Venti, nei campi di battaglia e di sterminio della Seconda guerra mondiale? La Dandini, nei panni di Lee Miller, ci fa volare e viaggiare, nel tempo e nello spazio, da New York a Parigi, da Il Cairo alle campagne del Sussex, dalla Costa Azzurra ai paesi dell’est Europa, fino ad arrivare ai campi di concentramento e alle città, ormai desolate, di Berlino e Vienna. Si susseguono nel libro una serie di eventi in un ordine non lineare, che procede in avanti per poi indietreggiare; un tempo brutalmente frammentato, proprio come i quadri e le opere tipiche del dadaismo e del surrealismo.
Le due correnti artistiche non a caso avranno un peso rilevante nel percorso di formazione di Miller. La donna, infatti, a cavallo tra gli anni Venti e Trenta lascerà la vivace New York, a lei ormai stretta, per trasferirsi nella fresca e avanguardistica capitale francese, dove incontrerà l’artista dadaista Man Ray, ben presto suo mentore e amante. Proprio in questo contesto apprenderà quelle tecniche che doneranno un inconfondibile aspetto artistico ai suoi scatti, mantenuto anche durante gli anni da inviata di guerra. Quale luogo e momento migliore per acquisire competenze e conoscenze artistiche poteva esserci, se non la Parigi degli ultimi anni Venti? Man Ray la rese protagonista di numerosi scatti fotografici, alcuni evoluti in opere d’arte come Les larmes e À l’heure de l’observatoire – Les amoureux, nei quali il corpo di Lee Miller è in un certo senso dissezionato proprio alla maniera dei surrealisti. Non ci è mostrata la sua figura per intero ma ora possiamo ricostruire e dedurre a chi appartengono quegli occhi e quelle labbra così iconici nell’œuvre dell’artista.
Il tocco surrealista caratterizzerà anche il suo stesso modo di fare arte: i suoi crop e close up fotografici porteranno lo spettatore ad entrare nel vivo della fotografia distinguendosi invece dall’inquadratura cruda e distante che vediamo spesso nei reportage di altri fotografi del tempo.
Lee Miller non si limiterà a documentare la realtà, vorrà piuttosto far riflettere e porre l’attenzione sui dettagli che lei per prima ha notato nelle scene immortalate. Negli anni parigini strinse amicizie fondamentali, tra cui Max Enrst, Pablo Picasso e Jean Cocteau, figure presenti e ricorrenti nella sua biografia. Tuttavia in seguito troverà la stessa Parigi soffocante e, anche per via di un amore opprimente, deciderà di allontanarsi la «capitale delle illusioni» e lanciarsi in una nuova avventura imprenditoriale tutta newyorkese. Aprirà così una propria attività come fotografa con il supporto del fratello, a cui insegnerà i segreti appresi dal sodalizio con Man Ray. Lo stesso Man Ray invece verrà lasciato “indietro” e col cuore in frantumi, simile al destino che è toccato e toccherà ad altri amanti che Lee Miller incontra e attira a sé come il più potente dei magneti, ma senza mai farsi fermare nel suo percorso di soddisfazione e crescita personale.
È stata una donna indipendente perché raramente lasciava che qualcuno influenzasse le sue scelte; una donna libera, proprio perché di tutte queste scelte lei è sempre stata padrona; una donna coraggiosa perché ha preferito le scene della guerra ai servizi fotografici di moda. In tutto ciò non dimentichiamoci che era una donna nata nei primi anni del Novecento, dove tali caratteristiche erano ben difficili da portarsi dietro.
Invece lei le indossava tutte con un’innata eleganza, altra qualità alla quale lei non ha mai rinunciato, persino in tempo di guerra. Quando il suo corpo arrivò al limite della sopportazione, stremata dalla pesantezza dei viaggi, dal pericolo dietro l’angolo e dalla mancanza di cibo, non osò comunque rinunciare ad un elemento considerato “frivolo” da molti: il rossetto sulle labbra. Dettaglio che ci rimanda non solo ai servizi di moda dai quali si era voluta distaccare in tempo di guerra, ma anche e soprattutto ad un quadro iconico che il giovane Man Ray le aveva dedicato, santificando quelle stesse labbra e aiutando a consolidare la figura di Lee Miller come donna più bella dell’epoca. Tuttavia non ci pensa due volte a liberarsi di quell’oggetto così simbolico e prezioso quando attraversa, stentando a credere ai suoi occhi, un campo di concentramento e incontra una giovane donna completamente rasata e denutrita. Ed è così che il rossetto si fa carico di un significato simbolico forte, diviene l’emblema di una femminilità perduta e calpestata per via della guerra e delle torture: queste donne sopravvissute hanno perso tutto, tutto ciò che le connota come tali e come esseri umani e pertanto la visione di un rossetto ci appare qui quasi come un’ostia innalzata durante una messa.
Tornando nuovamente alla fotografia scattata nell’appartamento di Adolf Hitler, l’hotel di Monaco al 16 di Prinzregentenplatz, vediamo una Lee Miller guardare fisso in camera senza tuttavia mostrare i tratti e la posa della modella da copertina. Piuttosto nel suo sguardo intenso, in direzione del reporter americano David Scherman, troviamo lo specchio degli orrori visti e vissuti, troviamo una figura tragica che non si è piegata ma ha appreso da ogni esperienza e sofferenza. Quello sguardo racchiude in sé una storia bellissima e terribile, la donna che è diventata non è altro che il frutto degli eventi che l’hanno segnata. Evocando quasi la figura di Jean-Paul Marat l’immagine giunge fino a noi pregna di storia del Novecento, di storia dell’arte ma soprattutto di attualità.
In copertina: Lee Miller in Hitler’s apartment, Lee Miller e David E. Scherman, 1945, Lee Miller Archives
Les larmes, Man Ray, 1932, Wikiart
Fire Masks, Lee Miller, 1941, Lee Miller Archives