I’m tired of the war
I want the kind of work I had before
with a wedding dress or something white
to wear upon my swollen appetite
[Leonard Cohen – Joan of Arc]
In casa gli adulti tracciavano i confini fra stanza e stanza, comparivano lucchetti alle porte, la risoluzione delle controversie passava per le urla, in attesa del giorno in cui i vecchi sarebbero schiattati.
Sotto il portico di casa ci sono due gigantografie di Pippa appese lì da mio padre. Un’espressione del lutto formato 2×3. Se non altro, oggi sono un po’ scolorite. Due anni prima del loro arrivo mi trovavo a parlare sotto quel portico con Pippa. Da dentro casa giungevano le consuete urla, lei fumava la pipa e ascoltava, davanti alle braci di una recente grigliata. Per un adolescente trovare un adulto che lo ascolti è un fatto raro. Passammo buona parte di quel pomeriggio di primavera così, vicini alle braci che si spegnevano.
Pippa amava parlare con le persone, conosciute o sconosciute, e a chi non l’avesse ancora, rifilava la sua spillona: “Sono innamorato/a di Pippa Bacca chiedimi perché”. Quando le persone erano lontane telefonava o scriveva lettere e cartoline con la sua calligrafia piena di svolazzi, in inchiostro verde. Ma chissà cosa avrebbe detto di queste gigantografie…
A febbraio 2008 la nonna era morta da poco e un nuovo fronte si apriva fra quelle mura. Una sera Pippa venne a casa mia: sembrava stanca, parlammo poco. Ero così preso dall’ansia per la verifica imminente. Le dissi che avremmo potuto aprire un profilo social al suo ritorno, poi una domanda svogliata su questo viaggio in autostop. Fu un incontro che avrei certamente dimenticato se non fosse stato l’ultimo fra me e Pippa.
– Torno a studiare, buon viaggio. Ciao!
– Pippa non risponde più da tre giorni.
Quando il nonno Ettore morì, io avevo un anno e sette mesi e lo cercavo dietro la sua poltrona, sai mai che si fosse nascosto.
In quelle due settimane di attesa provai a telefonare a Pippa. Sai mai.
Era sera e da solo in auto percorrevo la solita strada che mi riportava a casa. Ero già davanti al portone quando mi chiamò:
– Hanno trovato Pippa.
La voce di mio padre veniva da un altro mondo, non l’avevo mai sentito così. Ma la formulazione era ambigua e io sono ascendente vergine e per un ultimo istante volevo concedermi di sperare ancora:
– … Come sta?
Il tono si fece violento.
– È morta.
Sono grato alla giustizia turca che, condannando l’assassino, ha graziato me dalla pena del rancore. Le prime pagine dei giornali turchi avevano titoli come “Perdonaci Pippa”, in Italia, invece, l’informazione apparecchiava la notizia perché venisse comodamente elaborata dal sistema di valori nostrano: un’artista, insomma, una che non lavora. Nipote di un famoso artista, col doppio cognome e, ancora peggio, milanese. E cosa fa? Fa l’autostop in Turchia che è piena di terroristi. Sì, anche in Iraq ci stanno i terroristi, ma se ammazzano gli uomini questi sono eroi, se uccidono le donne, dispiace, ma se la sono cercata.
Questa l’opinione base. Bigotta, ripiena di maschilismo e con una spolverata di pietismo cattolico. Quella servita dalla tv dei contenitori pomeridiani. Nel 2008 la tv italiana ignorava internet. I ventenni no. Mi bastò digitare “Pippa Bacca” su Google per scoprire la loro esistenza: ecco gli haters.
Oggi l’hater è una specie di maschera da commedia dell’arte, un cattivo triste negli spot del panettone. Dodici anni fa non era così e io non ero pronto: la violenza delle parole che usavano contro mia sorella, la gratuità degli insulti mi ferì e mi fece arrabbiare. Allora scrissi un post di risposta su uno di quei forum: cercai di spiegare che cos’era Brides on Tour. Mio padre si imbatté in quel post su internet, lo stampò e appese pure quello, ma in formato A4.
Cercando di spiegarlo oggi direi che è fondamentale riconoscere i simboli cristiani che ricorrono nel progetto: la fiducia nel prossimo è un atto di fede, di servizio e di sacrificio, l’autostop allora diventa uno strumento per mettersi nelle mani del Prossimo e quindi della Provvidenza. Pippa sapeva viaggiare e ammetteva anche l’eventualità, seppur improbabile alla luce dei numeri, di un epilogo diverso da quello programmato. A differenza della Giovanna d’Arco di Cohen, sarà proprio l’abito da sposa la sua armatura, abbandonato il mestiere e il colore di un tempo, con cui diventare un simbolo aldilà della morte.
Non so se gli haters mi abbiano preso sul serio, non mi firmai, non volli leggere le risposte. Ma la grande partecipazione del quartiere Garibaldi e della città al funerale di Pippa mi consolò: capii che non sarei stato solo a difenderla. Insieme la accompagnammo un’ultima volta attraverso Corso Garibaldi, insieme piangemmo, insieme festeggiammo, perché lei voleva che il suo funerale fosse una festa.
Ancora oggi Pippa continua a viaggiare a fianco delle persone che l’hanno conosciuta, dopo la sua scomparsa, e se ne sono innamorati.
Fra questi ricordo Alda Merini che per prima scrisse per lei e non di lei, Giulia Morello, Joel Curtz, che per la realizzazione del documentario La Mariée (2012) recuperò la videocamera di Pippa e deframmentò l’intero girato cancellato dall’assassino, Simone Manetti con il suo ultimo lavoro Sono innamorato di Pippa Bacca (2019), un film che esce in un Paese in cui maschilismo e patriarcato non sono stati sconfitti, ma sono più riconoscibili e stigmatizzati rispetto al 2008. Manetti racconta in modo approfondito e fedele chi era Pippa Bacca e cos’era Brides on Tour. Finalmente,
quando mi chiedono perché sono innamorato di Pippa, posso rispondere: è lunga
da spiegare, guardati il film di Manetti. Solo una cosa non dice: quel nome
gliel’ho dato io.