Nel deserto della Namibia c’è una musica che suona per l’eternità. Non esiste destinatario se non lo scricchiolio della sabbia e il boato del vento. Come si affronta un palco senza pubblico? Siamo partiti da questa impressione per addentrarci in quegli spazi che abbiamo conosciuto come terremoto di persone esultanti e che ritroviamo oggi nella loro vuotezza desolante. I locali in questi mesi di lockdown ci appaiono come deserti enormi in cui la musica, unica superstite, si propaga in un’eco di silenzio, in attesa che gli amplificatori tornino a respirare.
«Mi colpisci direttamente al cuore con questa domanda», racconta Stefano Astore, direttore artistico dei Magazzini Generali. «Per noi questa è l’immagine della tristezza, vedere il nostro glorioso locale che tanto ha dato alla città di Milano vuoto e silenzioso direi che è quasi un’emozione indescrivibile. Di solito si respirava questa immagine di quiete appena prima di un grande evento, quando tutto doveva essere perfetto e i Magazzini Generali da lì a poco avrebbero ospitato l’ennesimo show dove tante persone si sarebbe emozionate e spesso noi con loro».
Se per molti il DPCM del 25 ottobre ha portato la notizia di una chiusura insperata e inaspettata, per altri ha semplicemente confermato il protrarsi di una situazione stantia da marzo. Il settore della musica e del clubbing è quello che ha maggiormente sofferto in questi ultimi mesi, spesso non avendo potuto contare su un’apertura, seppur fugace, estiva. «Siamo inattivi da fine febbraio 2020, lo saremo fino all’estate. Forse potremo riaprire stagionalmente solo da settembre 2021» prosegue Astore. La notizia di fine ottobre è arrivata al settore musicale come «l’ultima sberla in faccia», «una presa in giro» che ha annientato i timidi sintomi di possibile ripresa di un comparto già fortemente provato. «Nei mesi estivi abbiamo creato una bella rete», racconta Luca Borsetti gestore della Latteria Molloy. «Abbiamo organizzato una stagione dentro le regole, per poter avere un bacino di introiti da reinvestire ed essere motore trainante. Siamo stati tra i primi club in Italia a riaprire. Avevamo dato piena fiducia alla parte politica del nostro settore che ci aveva garantito che un nuovo lockdown sarebbe stata l’ultima ipotesi da prendere in considerazione in questo momento». La chiusura improvvisa ha spiazzato molti, rivelando falle e contraddizioni nel sistema di comunicazione che ha reso poco comprensibile e ambigua la decisione di sacrificare i luoghi della cultura. «La comunicazione è stata incoerente e di tipo paternalistico, perché tende a nascondere la verità dei fatti», spiega Corrado Nuccini, direttore artistico del festival musicale Ferrara Sotto le Stelle. «Visto che dobbiamo convivere con questa pandemia per altri mesi, un comparto fragile come quello musicale ha necessità di non essere preso in giro, di aver una visione che possa andare al di là di qualche settimana».
Nella complessità del settore musicale ciascuna realtà ha le proprie necessità strutturali, e tali differenze rendono ancora più complesso il sistema di ripartizione dei contribuiti. «Il mondo musicale è frammentato come un puzzle» prosegue Nuccini. «Quando si parla del nostro comparto, saltano fuori una miriade di priorità, necessità, prospettive. Quindi la possibilità di sostenere questo settore è molto variabile e complicata». Come conferma Borsetti: «Ci sono realtà che prendono soldi dal FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), ma tutto il circuito del clubbing e dei piccoli teatri non può attingere a quei fondi. Noi, ad oggi, non abbiamo tipologie di sostegno se non l’extra-FUS, ma è insufficiente. La Latteria ha perso l’80% del fatturato. E chiuderemo preventivamente con la perdita del 90%. Ci aiutiamo con altre entrate secondarie, come le attività della Distilleria Molloy, ma di fatto il club dal 23 febbraio è fermo e lo sarà fino al 2021. Abbiamo fatto poco più di un mese di programmazione in un anno».
Una situazione critica, quella odierna, che ha portato all’estremo una crisi della cultura che era già in atto da tanto: «Il problema è che viviamo in un Paese senza cultura, e quindi il ministero è inutile», spiega Gianluca Gozzi, direttore artistico del TOdays Festival. «L’ente professionale che fa spettacoli dal vivo è equiparato a una discoteca commerciale o a un locale ARCI. Occorre fare differenza. La cultura, come la sanità, la scuola, il lavoro, è un bene essenziale per le persone e non qualcosa che riguarda il tempo libero. La verità è che in Italia da anni la cultura è innocua: asservita al potere, finanziata da amministrazioni, regioni, istituzioni. Se si dipende dal potere, gli si concede di poter fare tutto ciò che desidera. È un mondo autoreferenziale».
L’insostenibilità del momento risulta accentuata dall’inevitabile mancanza di progettualità, dalla difficoltà di spingere lo sguardo verso un futuro più certo. Perciò si tenta di abituarsi al provvisorio e renderlo strategia. Ne è un esempio il festival Linecheck, che si è da poco concluso con una apprezzata versione digitale. «Sicuramente le difficoltà sono state molte, anche per l’incertezza generale e le misure adottate di settimana in settimana che presuppongono necessari aggiustamenti in corsa e cambi di direzione anche radicali», spiega Jacopo Beta, head of booking di Linecheck. «Siamo consapevoli dell’importanza della sfida, e speriamo che questa situazione di crisi possa essere un detonatore positivo di innovazione perché, nonostante la tecnologia fosse disponibile già da tempo, ancora non ci si era mossi con abbastanza convinzione verso una reale possibilità di fruizione online dei contenuti che possa essere interessante, bella, non riduttiva, anzi più approfondita».
In questi mesi molti artisti hanno portato i propri live sui social network, come dimostrano le performance dei Radiohead, Damon Albarn, James Blake e molti altri. Guardare allo stato attuale delle cose come un’opportunità per compiere una rivoluzione che era già in nuce è un tentativo di sopravvivenza che porta a risultati originali, come il network TOurDAYS, ideato dal TOdays festival. Una piattaforma che permette a chi fa cultura di «parlarsi di più e meglio, mettendo in rete le proprie competenze e le proprie azioni. Non potendo fare concerti, il festival va in tour co-progettando insieme a varie realtà torinesi». Un’azione in prospettiva è anche quella dei Magazzini Generali che hanno da pochi mesi attivato Phygital Spaces,«un progetto di eventi in streaming digitali. Un’esperienza che ha dato da subito buoni risultati in termini economici, ma che in questo momento abbiamo dovuto sospendere a fronte delle nuove normative in merito alla situazione sanitaria».
In un frangente in cui il presente si nega e l’imprevedibilità del futuro è l’unica realtà possibile, creare rete, supportarsi tra realtà diventa una strategia per ripensare il settore musicale. «Dobbiamo superare le competizioni tra festival, club e artisti e stringere un patto pro tempore per cercare di andare tutti in una direzione comune. Portare avanti una sopravvivenza e l’identità di ciò che facciamo» suggerisce Nuccini.«Non sostituzione ma compenetrazione. La musica in questo è sempre stata al centro di grandi trasformazioni. I caratteri di Gutenberg non hanno ucciso gli amanuensi. YouTube non ha distrutto la TV. I modelli sono integrati, il problema è riuscire a trovare un pubblico fedele che ti segua e che comprenda i cambiamenti in corso. In Italia non manca la possibilità della cultura ma spesso manca un pubblico che la segua, citando Umberto Eco “L’uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il figlio”. Nuove frontiere si delineano con maggiore definitezza in questi mesi, premettendo cambiamenti fortemente innovativi che possono influenzare il modo in cui abbiamo sempre inteso la musica. «Credo che il live streaming non rimpiazzerà mai il live show tradizionale, ma dovrà diventare un’esperienza in più da poter affiancare a quella del tour come lo abbiamo inteso fino ad ora», spiega Beta. «Una dinamica che ora manca al live stream è proprio l’impatto del pubblico presente in sala, ma questo sarà un valore aggiunto una volta che l’emergenza sarà rientrata e il live stream non sarà più una soluzione temporanea ed emergenziale ma una nuova dimensione di cui speriamo potremo tutti godere al meglio».
Futuri cambiamenti a cui corrispondono anche nuove consapevolezze: «Le persone comuni hanno forse intercettato che dietro a un artista c’è una filiera intera di lavoratori, dai facchini ai driver, da chi monta il palco ai tecnici», aggiunge Gozzi. «Questo fa comprendere allo spettatore che esiste un lavoro delle maestranze che è necessario. Un pubblico consapevole è un pubblico che sa scegliere. Il futuro è fatto di scelte, non c’è spazio per tutti».
Nonostante si prospetti un percorso ancora lungo e faticoso per il mondo della musica e del clubbing, è bello scoprire che la tenacia non si è persa e che il grande augurio per il futuro sia lo stesso, con una grande voglia di ripartire, di riempire le sale e di lasciarsi investire dalle tempeste di musica, facendo tesoro degli insegnamenti impartiti da questo anno complesso. «Speriamo che questa esperienza, l’immagine di un palco vuoto in una piazza vuota, possa farci capire meglio il senso di ciò che facciamo», rivela Nuccini. «Nel nostro mondo si correva sempre e non c’era tempo per la riflessione. Oggi il tempo lo abbiamo ritrovato e dobbiamo uscirne con un bagaglio di idee nuove». Una tregua, una sosta, perché quando il presente non si può cambiare non ci rimane che prestargli ascolto: «Spero che da questa situazione il mondo musicale tragga consapevolezza della propria fragilità» aggiunge Gozzi. «Dichiariamo spesso cose che non esistono, è un modo irreale, basta leggere i comunicati stampa dopo gli eventi. Per il futuro mi auguro meno individualismo e network più attivi sui territori. È importante capire chi si è per capire chi si vuole diventare. Spesso negli anni ho pensato che bisognerebbe riflettere più sul silenzio che sul rumore della musica, per raggiungere nuova consapevolezza».