«Un tempo ero la preferita tra i sette figli di papà.
Prima che tra noi accadesse qualcosa di terribile.»
Violet Rue Kerrigan, protagonista del romanzo Ho fatto la spia (La nave di Teseo, traduzione di Carlo Prosperi) di Joyce Carol Oates, è la figlia minore di una famiglia proletaria americana: cattolici di origini irlandesi, i Kerrigan sono un corpo tenuto insieme dal giuramento di lealtà parentale. Violet Rue, prodotto di una «gravidanza casuale», è la favorita del padre Jerome e, come una mano, un fianco, un lembo di pelle non potrebbero riconoscere la propria obbedienza a una specifica forma di vita, così, fino ai suoi dodici anni, Violet Rue accoglie le funzioni in potenza per cui è venuta al mondo: assistere all’allevamento brutale dei fratelli maschi e diventare, quando sarà il momento, una femmina seducente – «ma non in maniera troppo ostentata».
Il futuro di Violet subisce un dirottamento traumatico il 2 novembre 1991, giorno in cui la dodicenne denuncia i fratelli Jerome Jr. e Lionel, colpevoli di aver aggredito, picchiato e ridotto al coma irreversibile uno studente afroamericano. La morte dell’innocente Hadrien Johnson e la testimonianza di Violet – che per un caso ha visto i ragazzi lavare l’arma del delitto e li ha ascoltati progettare di nasconderla lungo la riva del fiume – sono l’apparato propulsore del dramma. Macchiatasi di tradimento, Violet viene disconosciuta dalla sua famiglia, affidata agli assistenti sociali e costretta a vivere in un’altra città insieme a una coppia di parenti senza figli, iniziando a scontare la pena che toccherà anche ai suoi due fratelli, ma in carcere: tredici anni di esilio forzato.
«Esiste un decimo cerchio dell’Inferno dantesco», ha scritto Julia Scheeres per il New York Times, «ed è collocato nella mente di Joyce Carol Oates». Il cerchio che ospita Violet Rue Kerrigan trova la sua prima forma come racconto apparso in un numero di Harper’s Magazine del 2003, stampato in un’antologia nel 2004, e successivamente ampliato da Oates attingendo a un’ampia collezione di appunti prodotta nel corso degli anni. Il risultato è un romanzo di quattrocento pagine che racconta la tensione disperata di Violet Rue verso il ritorno all’incantesimo familiare, ma anche, e forse soprattutto, una storia che ci parla di quanto può accadere quando gli individui sono chiamati a votarsi a una lealtà distorta e mostruosa.
«Prima che tra di noi accadesse qualcosa di terribile», dirà Violet Rue, spiegando a se stessa la ragione per cui il padre non vuole più vederla, né sentire la sua voce, né accertarsi che lei sia davveroal sicuro. Nessuno chiederà a Violet il perché della sua confessione, le sarà negato il diritto di provare paura di fronte alla minaccia del fratello Lionel: i Kerrigan – Jerome, la madre Lula, i fratelli Les, Rick, Miriam e Katie – sono l’organismo che agisce per reazione immunitaria, negando all’appendice disfunzionale nutrimento, aria, sangue. Il «qualcosa di terribile» cui Violet fa riferimento non è l’omicidio commesso da Lionel e Jerome Jr., ma la scoperta terrificante di un senso di appartenenza compreso a pieno solo nel momento in cui lo si perde per sempre.
Dal 2 novembre del 1991 Violet inizia a portare la traccia della diserzione dai codici familiari, e altre estremità del corpo originale tenteranno alternativamente di inglobarla e annientarla. Ci sarà un professore di matematica ossessionato dalle misure dei corpi femminili adolescenti, dai barbiturici e da Adolf Hitler, ma anche un medico ricco, alcolista, ammalato dal desiderio di controllo assoluto. Per la quasi totalità del suo esilio, il mondo di Violet Rue sarà la furia animale di una carne gengivale, bianca e poi paonazza, abbrutita dalle gravidanze come quella della madre, ma anche posseduta dalla bellezza inevitabile e violenta del padre.
La denuncia di un sistema sempre più propenso all’alterazione del significato di giustizia è evidente. Dovrebbero esserci, ci dice Oates, leggi civili e morali superiori a una visione tribale di appartenenza familiare, ideologica o politica. In un saggio intitolato The Human Idea, comparso sul The Atlantic nel novembre 2007, Oates circoscrive nettamente l’idea catastrofica del «my country, right or wrong», secondo cui schierarsi sempre e comunque dalla parte del proprio Paese non è patriottismo nocivo ma un esercizio assennato e puro di etica. È questo impegno all’alleanza – right or wrong – sovrapposto alla fedeltà nazionalistica quanto al senso morale, che troviamo riproposto in scala nel microcosmo Kerrigan: per Violet Rue un padre è anche sempre un individuo deputato al potere; denunciare i tuoi fratelli assassini è anche sempre alto tradimento, e la famiglia è una nazione, una terra di appartenenza, l’ «albero gigantesco» e marcescente le cui «radici sono aggrovigliate sottoterra, inestricabilmente».
La forma narrativa pulita ed elastica di Ho fatto la spia è fisiologia del crollo sociale. Cosa succede quando cresciamo degli individui perché siano fedeli a un clan, cibandoli di orgoglio razziale, educandoli al machismo, all’alcolismo, costringendoli all’esposizione inesausta alla violenza? Oates ci mostra una delle molte possibilità di distruzione nelle vite dei Kerrigan, ma anche nella condanna di Violet Rue a emanciparsi nel modo più crudele dal potere egoista, invalidante, e al tempo stesso nutritivo, vitale, dei legami di sangue.
L’eroina di Ho fatto la spia è una creatura resistente, portatrice sana di alcuni dei tratti distintivi delle donne scritte dalla mutaforma Oates – scrittrice intensa, inesauribilmente prolifica e versatile, con all’attivo centinaia di titoli pubblicati, quasi sessanta dei quali romanzi. In Violet Rue troviamo un’altra giovane eroina, come giovani sono i protagonisti principali dell’Epopea americana, e sfioriamo il mito della realizzazione onirica positiva, che Violet sogna avverato nella gioventù dei genitori – cui lei non ha avuto accesso in quanto figlia minore. De Il giardino delle delizie ritroviamo il senso di malinconia che permea l’identità di Violet, ma anche il potere rivelatore dell’incontro con il maschile, vissuto attivamente dalla Clara de Il giardino e invece subìto da Violet Rue; l’imposizione violenta della volontà paterna e la rottura del legame familiare sono un altro punto comune che torna sia ne Il giardino che ne Il paese delle meraviglie; la dipendenza dal benefattore e forme di prostituzione proposte nelle figure di Jules e Maureen di loro si realizzano più o meno subdole anche nella vita della Violet Rue adulta. Altre suggestioni emergono da narrazioni parzialmente differenti per tematiche e generi: l’arma del delitto sembra riaffacciarsi da Zombie; da Il maledetto si allunga il fantasma dell’anatema della schiavitù nera; la riflessione sui mostri generati dall’umanità che si ritorcono contro di essa pare sgorgare diretta da Scomparsa. Impossibile numerare i potenziali e molteplici riferimenti interni alla produzione di Oates.
Ho fatto la spia accompagna Violet Rue fino ai suoi ventisei anni, presentandocela tesa verso un nuovo desiderio: «Vivere una vita in cui le emozioni arrivino lentamente, come le nuvole in un giorno senza vento. Vedi la nuvola che si avvicina, contempli la sua bellezza, la guardi passare, la lasci andare. Non ti soffermi su quello che hai visto, non lo rimpiangi. Ti accontenti di sapere che una nuvola identica non arriverà più, a prescindere da quanto sarà bella, speciale. Non piangi la sua perdita». Riuscirà Violet Rue, Vi’let, l’angelo preferito caduto da un’incredibile altezza, a esaurire la sua ricerca di una misura di pace?