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Scissione. Come gli spazi imprigionano la nostra identità

Chi sei? Gli spazi che attraversiamo ci interrogano, e impongono una risposta che rivela contraddizioni e condizionamenti

«All’interrogativo di ispirazione gnostica: dove siamo quando siamo nel mondo?, è possibile dare una risposta competente e all’altezza dei tempi. Siamo in un esterno che supporta mondi interni.» 

Il filosofo Peter Sloterdijk, nelle prime pagine del suo importante volume Sfere I – Bolle (Raffaello Cortina editore), ci introduce in un dilemma al quale, per certi versi, riesce a trovare anche una qualche risposta e non da poco. Dove siamo quando siamo nel mondo? Ma è possibile riferirsi a un mondo al singolare? Mundus per i latini era il luogo visibile, pulito, ordinato e illuminato (dal sole), così il predicato verbale mondare equivale a ripulire e l’aggettivo immondo si riferisce all’impuro, al turpe, al peccaminoso. 

Ma coincide ancora con tutto questo il mondo in cui viviamo? I meccanismi che implicano interazioni con spazi articolati, immateriali, liminali e che oramai abitiamo, agiamo bene o male e affrontiamo da entità plurime, complicano la riflessione del filosofo tedesco in un’affermazione che potrebbe più o meno suonare così: siamo una proliferazione di mondi interni che interagiscono con un flusso eterogeneo e cangiante di esterni. Siamo nel pieno dell’epoca delle libertà nevrotiche. Alle prese con impegni e sollecitazioni sempre più ingombranti e implacabili, non troviamo materialmente uno spazio neutro, una pausa di decantazione, il silenzio placido della noia che possa sparecchiare l’isterico susseguirsi di stimoli. Come se ne esce? Pillola blu o pillola rossa? Bisogna forse scindere, suddividere, separare per poter ridurre il carico e affrontare con più consapevolezza la complessa alterazione degli eventi che ostacolano il panorama che chiamiamo futuro. Mondare, per l’appunto. Quasi si tratti di una questione depurativa, uno sciogliere nodi e vincoli tra esterno e interno, tra necessario e superfluo. Forse allo stato attuale, in un burnout collettivo e compulsivo, non riusciremmo nemmeno a comprendere da dove partire, dove e cosa scindere, come ripartire nel duplice senso di dividere e riprendere il via.

La serie Scissione del 2022, creata da Dan Erickson e diretta da Ben Stiller e Aoife McArdle, ci pone il quesito di partenza in un ambito, quello lavorativo, di estrema attualità, riducendo, per modo di dire, la crisi tra le molteplicità instabili con cui dobbiamo fare i conti in due essenze dipendenti e indipendenti allo stesso tempo. In breve, la trama si potrebbe riassumere così: un’azienda alquanto misteriosa, la Lumon, impone ai suoi dipendenti una bizzarra operazione chirurgica in grado di sdoppiare i loro ricordi tra quelli della vita “fuori” dall’ambito/ambiente lavorativo e quelli “interni”. Ovviamente questa procedura rende i due mondi dei dipendenti separati come compartimenti stagni. Il plot narrativo ruota attorno al protagonista Mark, leader di un gruppo di lavoro della Lumon, che dovrà fare i conti con un ex impiegato che è riuscito a ricompattare i due sistemi di ricordi. 

Un ordine imposto non può sottrarsi alla crisi che lo sostiene. Tutte le tensioni sono temporanee, per quanto si possano estendere nel tempo e nello spazio. Ed è proprio nel punto di rottura che si rivelano tutte le contraddizioni dei sistemi che ci vogliono sicuri, efficienti, consenzienti, puliti, brillanti e leader in carriera. 
I dipendenti della Lumon infatti svolgono un lavoro pressoché incomprensibile e surreale. Davanti al loro pc devono evidenziare, in un reticolo di numeri, quelli che insieme sarebbero da considerare “spaventosi” (non si comprende bene secondo quale motivazione) e spostarli in cartelle preordinate. Il lavoro svolto con diligenza viene premiato con gadget improbabili e buoni premio per assurde consumazioni di waffle. 

Chi sei? è l’inquietante domanda che nella prima puntata della serie viene posta da un interfono a una delle protagoniste, risvegliatasi su un tavolo all’interno di una stanza vuota e sigillata, senza finestre e senza via di scampo. Chi sei? La domanda rimbomba tra le pareti, come se venisse diretta proprio a noi. Non abbiamo indicazioni e ci sentiamo sperduti, come la giovane dipendente che sta per effettuare «l’esame attitudinale» per essere assunta dalla Lumon. Chi siamo in effetti negli spazi angusti delle nostre abitazioni, delle nostre stanze di lavoro, uffici, sale riunioni, supermercati, ascensori, corridoi? Cosa comporta su e dentro noi lo spazio che ci manipola, ci influenza? Come interagiscono le illuminazioni, i colori, gli odori, gli spigoli, le porte?

Scissione è in tal senso un’attentissima disamina del rapporto tra spazi ed esseri umani. Corridoi come dedali di luce. Sterminate aride sale di lavoro in stile anni Settanta con variazioni di colori pastello, spesso sul verde militare, per rendere ancora più evidente l’obiettivo di struttura disciplinante dell’azienda che traffica in loschi affari. In certi passaggi, torna alla mente il geniale Fantozzi di Paolo Villaggio, per i paradossi grotteschi o per i personaggi dall’evidente fattezza macchiettistica e caricaturale nei volti, quasi pupazzi pirandelliani, ma anche per la costruzione di interni architettonicamente funzionali ad una produttività alienante da boom industriale. 

Orient, 2011. Still da video, HD 9 min. Courtesy la Biennale 2011 Austria. © VBK, Wien 2011 

La questione identitaria, partendo dalle considerazioni del filosofo Sloterdijk e passando attraverso la serie Scissione, è fortemente vincolata allo spazio inteso come elemento agente, ambito dotato di una sua forte caratterizzazione stringente e determinante. Che si tratti di mondo in chiave ordinata e ri-pulita, o che si tratti di spazi operativi, ricreativi, musealizzati (basta pensare alla casa museo del fondatore della Lumon all’interno della smisurata azienda), o di passaggio, l’essere umano si trova a fare i conti con la sua inadeguatezza straniante, proprio in virtù della sua mancata aderenza al rigore dell’ambiente.

Un’indagine, questa, che era già stata al centro di un lavoro presentato al padiglione austriaco della Biennale di Venezia del 2011 Markus Schinwald, quando di alterare completamente lo spazio interno dell’edificio. L’obiettivo, spiegava nelle note curatoriali era: «dilatare lo spazio delimitandolo: un paradosso». Per farlo, introduceva un’insolita partizione orizzontale, all’altezza dei piedi. Questa cesura, fisicamente percepibile e quindi fastidiosa, diventava «il momento torcente tra l’incontrollata ampiezza e la coreografica ristrettezza». 

L’azione di dividere in due lo spazio espositivo, costruendo due labirinti dalle candide pareti divisorie in cui l’unica apertura si trova all’altezza dei fianchi dei visitatori, ribalta l’idea stessa di parete e impone una differente percezione di sé in relazione con un’alterazione percettiva. Lo spazio diventa dunque uno strumento di denuncia della nostra condizione di reclusione o di contenimento. Il movimento diviene allora l’unico canale che, potremmo dire, ravviva i corpi nello spazio concreto: lo stesso fanno i corridoi della serie Scissione in cui il protagonista Mark corre e la parete da cui cerca di liberarsi uno dei protagonisti del video Orient di Schinwald (sempre all’interno del progetto per la Biennale), e finanche il moltiplicarsi di ruoli a cui è costretto Fantozzi per supplire all’assenza dei suoi colleghi durante l’ispezione del direttore. Lo spazio è opportunità ma soprattutto fatica, forse proprio perché l’attraversamento è di per sé inevitabile sforzo vitale, affermazione di resistenza, ricerca di ordine temporaneo nel dramma di una domanda che risuona continuamente dentro ognuno di noi: chi sei? 

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