Nel volume di Giovanni Solimine, la lettura non è un’attività indifferente a come la si esercita e sembra avere un supporto privilegiato, sospeso tra il libro, lo schermo e l’audio
«Io mi sono informato molto sulla guerra tra Ucraina e Russia: ho ascoltato un sacco di podcast e guardato molti video di vari esperti». È una frase che forse abbiamo sentito o detto negli ultimi anni, magari non a riguardo della guerra in Ucraina, ma di altri temi che ci stanno a cuore e a cui siamo stati disposti a dedicare tempo per l’approfondimento. Il tacito presupposto è che ascoltare un testo audio sia una fonte di informazione, cosa in effetti innegabile. Però, solo vent’anni fa, probabilmente, se avessimo voluto capire più in profondità un argomento avremmo comprato o letto un giornale, forse un libro. Lo spiega Giovanni Solimine, esperto di biblioteconomia e docente della Sapienza di Roma, nel suo Cervelli anfibi, orecchie e digitale (Aras Edizioni, 2023). Ascoltare un podcast e leggere un libro sono la stessa cosa? Questo breve saggio risponde anche a questa domanda, partendo però da lontano, proprio dall’origine della lettura.
Leggere non è un’attività che l’uomo impara naturalmente, al contrario richiede sforzo e applicazione. Sembrerebbe l’affermazione più innocua e scontata del mondo ma invece racchiude uno dei grandi temi delle neuroscienze nonché dell’industria culturale contemporanee. Non siamo nati per leggere, come ha scritto la neuroscienziata Maryanne Wolf nei suoi libri, tanto che l’umanità ha iniziato a farlo solo seimila anni fa grazie a una parziale riorganizzazione del nostro cervello. In altre parole imparare a leggere non è come imparare a camminare o parlare – abilità del tutto innate, per cui esistono geni specifici – : essa richiede infatti un apprendistato molto più lungo e difficile. È stata «un’invenzione culturale», sostiene la Wolf nei suoi libri, ma resa possibile solo dalla capacità del nostro cervello di stabilire nuovi collegamenti tra le sue strutture preesistenti e di essere modellato dall’esperienza: si tratta di processi visivi, linguistici, cognitivi e affettivi che nell’atto di leggere vengono messi in connessione tra di loro per la prima volta. In altre parole queste connessioni neuronali sono molto più ‘artificiali’, e quindi più difficili da costruire, di quanto non lo siano quelle che permettono l’eloquio e la deambulazione.
Ma il punto fondamentale, sostiene Wolf, è un altro. Il circuito cerebrale della lettura rimane plastico tutta la vita. Possiamo rinforzarlo o perderlo. E molto di quello che sapevamo fare solo trent’anni fa ha iniziato a essere messo in discussione da quando è arrivato internet e la lettura si è spostata dalla carta agli schermi. Perché i modi di leggere, secondo Wolf, sono almeno due: c’è una lettura superficiale e una profonda, quest’ultima costituita da una serie di processi cognitivi molto complessi,che vanno dall’analogia, all’inferenza, al pensiero metaforico, alla deduzione e l’analisi critica. Processi che non si attivano quando leggiamo un articolo sul monitor di un pc o di uno smartphone. Per non parlare poi dell’empatia: la lettura profonda ci permette, come poche altre esperienze, di capire cosa pensano e sentono gli altri e quindi trasforma e muta radicalmente la nostra visione del mondo. È proprio questa abilità che, sempre secondo Wolf, i lettori nati nel periodo pre-digitale rischiano di perdere e i nuovi lettori – nativi digitali – rischiano di non ottenere mai. Questo perché sembra che gli schermi ci obblighino a far scorrere più velocemente i nostri occhi sulle parole. È il cosidetto skimming: un saltare da una parte all’altra del testo cercando così di trattenere le informazioni più importanti.
Etel Adnan, Untitled, 2015
Ma non solo di emozioni si parla: ci sono ricerche – continua Wolf – che registrano livelli di attenzione e memoria molto più bassi nella lettura su schermo che in quella tradizionale. Oramai su questo tema esistono molte ricerche che sono state raccolte e sintetizzate da Naomi Susan Baron nel libro Come leggere. Carta, schermo o audio?(Raffaello Cortina) che testimoniano, per esempio, come per lo studio siano molto più adatti i testi cartacei. Su un punto c’è dunque un accordo: la lettura profonda ha le sue esigenze e tra di esse c’è la disconnessione. Come affermano il neuroscienziato Adam Gazzaley e lo psicologo Larry D. Rosen nel loro libro Distracted mind: cervelli antichi in un mondo ipertecnologizzato, la sola presenza di internet, lì a portata di mano, costituisce un sovraccarico cognitivo che riduce necessariamente le prestazioni della nostra mente: siamo infatti curiosi per natura, e internet non fa che eccitare al parossismo questa curiosità: la consapevolezza del flusso di informazioni che passa dai social e da Google è uno stimolo continuo e incontrollabile, che porta anche a stress. Dicono addirittura i due studiosi che la presenza di uno smartphone li vicino a noi, nella stessa stanza, basta per accendere eccitazione e curiosità nel nostro cervello.
Per entrare davvero in un libro e soprattutto dentro la vita di un’altra persona (fittizia spesso, come nei romanzi) e quindi in noi stessi, dobbiamo disconnetterci per qualche ora (Wolf raccomanda almeno venti minuti al giorno) e tenere aperto solo il libro, di carta. Infatti il disaccordo emerge sul medium: Wolf sostiene che la carta rimanga, almeno per ora, sempre e comunque il mezzo migliore per leggere in profondità. Baron e Solimine invece sostengono che anche su schermo (per esempio un e-reader, ma non solo) si può farlo: basta attivare una serie di strategie che permettono di mantenere attiva la mente durante la lettura – per esempio la scrittura di appunti, o la sottolineatura (se possibile) –, oltre ovviamente alla disconnessione. Ma qui sorge un grande problema della vita contemporanea, che è per sua stessa natura immersa nelle reti digitali: si può leggere in profondità nel nostro presente iperconnesso?
Secondo Solimine di certo non con audiolibri e podcast, che sono in costante crescita negli ultimi anni mentre la lettura tradizionale non fa che declinare. Nel 2022 solo un terzo degli italiani aveva letto più di quattro libri all’anno e il giornale almeno tre volte a settimana, nel 2010 erano il 44%. Tutti i quotidiani vendono ogni giorno circa 1 milione e mezzo di copie, che 10 anni fa era erano vendute dai soli Corriere della Sera e La Repubblica. A prenderne il posto sono stati, così sembra da alcune ricerche, i contenuti video e audio fruibili attraverso piattaforme di streaming online: le serie televisive per esempio. Ma, argomenta Solimine, non ci si può fermare a questo: lo testimoniano la diffusione dei podcast su larga scala (si stima che un italiano su cinque ascolti uno degli 11.000 podcast prodotti annualmente in Italia). L’audiolibro è del tutto coerente con il nostro stile di vita abituale: il fruire della cultura liberamente dai palinsesti. Possiamo leggere mentre guidiamo o mentre facciamo le pulizie in camera… E lo possiamo fare ovunque, a patto di avere il nostro smartphone con noi. Il numero di ascoltatori di podcast cresce di circa 1 milione all’anno in Italia, nel 2022 eravamo a 15 milioni e mezzo, l’aumento di audiolibri è del 10% all’anno. Non è un caso quindi se le grandi piattaforme digitali siano attratte da questo mercato in cui hanno investito soprattutto Audible (Amazon) e Spotify. Ma, ancora una volta, il punto è che chi ‘legge’ storie, saggi o notizie attraverso podcast o audiolibri ha ricordi meno precisi di chi invece legge su carta. L’ascolto di un libro ci allontana dalla lettura profonda: è una lettura semplificata e leggera.
«L’ascolto di un libro ci allontana ancora di più dalla lettura profonda praticata sui testi scritti e dalla complessità del libro: è una lettura ‘semplificata’ e ‘leggera’, il cui ritmo è deciso dal narratore e non dall’ascoltatore (che di fronte a un testo particolarmente difficile o impegnativo, può tornare indietro con lo sguardo e rileggere), praticabile con ‘un’attenzione distratta’ e non esclusiva, esposta al rischio di ‘divagazione mentali’, spesso praticata su testi non particolarmente impegnativi, senza possibilità di soffermarsi, che assimila la lettura all’intrattenimento, e che quindi va nella direzione del multitasking (…) alcune indagini hanno rivelato che chi ha letto storie di cronaca o brani narrativi su carta aveva ricordi più precisi di chi invece aveva ascoltato l’audio degli stessi brani.»
Etel Adnan, Landscape, 2015
Dunque Solimine ci mette in guardia: leggere un saggio o un giornale non è la stessa cosa che ascoltarsi un podcast o una serie di podcast. Anche Marco Marzano, docente di sociologia all’università di Bergamo, da professore ha sottolineato sul Domani la stessa cosa: ascoltare le lezioni registrate in classe non è come leggersi il manuale dalla prima all’ultima pagina. Non lo sono nemmeno lo studio degli appunti o delle slide. Leggere e studiare un libro è infinitamente più efficace per l’apprendimento che gli altri metodi.
Allo stesso modo non bisogna demonizzare lo streaming online: spiega Solimine che esso lavora per avvicinare alla lettura persone che precedentemente erano dei non-lettori. Ci sono poi vantaggi per ipovedenti, dislessici, persone che hanno deboli competenze di lettura o non conoscono bene la lingua del testo: «In questo caso la fatica che si è costretti a fare per decodificare la scrittura finisce col distrarci dal contenuto; viceversa, l’accompagnamento della lettura a voce alta migliora il riconoscimento delle parole e l’assimilazione del testo. Il libro parlato non è necessariamente alternativo al libro scritto. Esistono anche prodotti combinati, specie per bambini, che favoriscono una ‘lettura immersiva’, in cui abbiamo una sincronia tra il testo scritto e la narrazione audio. Gli psicologi ritengono infatti che una ridondanza e il doppio canale, scritto e orale, favorisca la ricezione». Quindi informarsi con i podcast o gli audiolibri può andare benissimo, ovviamente anche leggere giornali online, l’importante è essere consapevoli dei limiti legati alla fruizione di questi prodotti culturali, limiti che la vecchia carta invece non ha (pur mantenendone altri, diversi).
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