La storia che i viaggi princìpino sempre con un piccolo, misero passo (i proverbi dell’Oriente siderale) è verissima ma inaccurata. Ogni inizio comincia prima nel sangue; piccole stille introverse, a volte solo nascoste. Le isterocomiche avventure di Martino l’uterino (Rizosfera e WwwEdizioni) hanno emorragie continue. Kubrickiane. Essenziali per procedere – nella fluttuazione dell’esistenza, dove le piastrine non conoscono stasi. E deliziano una pace “diversa”, come quella d’Emanuela Biancuzzi (friulana, artista visiva, illustratrice a tecnica mista) che nell’andarsene ha lasciato in vita la sublimazione della malattia, resti di essa, a testimoniare che le fatiche organiche possono tanto ma non certo tutto.
La sua audio-graphic novel auto-istoriata, tradotta a parole da Vittore Baroni (giornalista musicale, scrittore tentacolare) è lo scarto giovane, la preziosa ganga aggrappata a una lotta lunghissima, ruggente, orgogliosa e incazzata. Ne dà un tentativo di sinossi l’ensemble creativo (segnalata è la “significativa partecipazione” di Enrico Chisari, Ferruccio Giromini, Ishmael Korthlas, Andrea Landini, Alda Teodorani, Jules Verme), di lavori fondanti e fondenti prolungatisi dal 2016 a ieri:
«Espulso per cattiva condotta, scampato alla radioattività, inconsapevolmente fuori posto in un mondo che non sa che farsene della sua specificità, Martino è un uterino ingenuo e irascibile che viaggia nel tempo e nello spazio mentre tenta di fare ritorno a casa. Nell’adattarsi ad un habitat a lui sconosciuto, il piccolo anti-eroe trasfigura nei panni di personaggi a fumetti (da Tintin a Mafalda, da Dylan Dog ai supereroi Marvel/DC), diviene cantante trap e vocalist di una band hardcore punk, incrocia noti artisti contemporanei tra influenze e riferimenti d’autori cult: da Mary Shelley ad Albert Camus, sfiorando Gilles Deleuze, Kurt Cobain, Piermario Ciani…».
La sonorizzazione del volume, su CD allegato, è opera dei dadaisti del pop Le Forbici di Manitù, collettivo musicale sperimentale e mutante born in 1983; Manitù Rossi, Vittore Baroni, Ignazio Lago sono «la spina dorsale sonora di Martino» e costruiscono un breviario di blasfemie mormorate nella distorsione del bruitismo più semantico. Occorre leggere assieme a questi idiomi sonori, sopra di loro, alzando il volume della voce in testa per rendere ancor più spessore a deliri, lussazioni cerebrali, intime falsificazioni.
«Perché i nostri corpi dovrebbero finire con la pelle?», domanda Donna Haraway, in Manifesto Cyborg. Pelle d’uomo, certo, che Hubert disegna con la perizia d’un cartografo. Mentre Philip Roth diventa un seno e in Lezioni di anatomia le viscere (il rene di Annie Freud, per esempio) troneggiano senzienti. Di spunti, in Letteratura, tanti. E nulla che rassomigli all’alvo dipinto da Biancuzzi – miniato di fibrosi fasci, tra occhi, pigne, piume e gangli spugnati –, parlato da Baroni, in uno sleale stream of consciousness agito sulla mulattiera della patologia. Questa è una granata sballottata, con lunghissima spoletta, capace di deflagrare mentre si dorme o si sta al cesso o, peggio, quando si dribbla il vicino di casa. Perché Martino insiste (moltissimo) sulle intromissioni sociali negl’intimi temi, sulle pressioni degli sguardi e dei bisturi (stessa cosa) nelle case altrui, dove “casa” è la cosa, preziosa, che ci tiene insieme: fisico, fisco e fischio d’anima.
L’utero espiantato vagola, mica alla cieca, e la sua consapevolezza è demiurgica («tecnicamente, non dovrei neppure essere vivo. Sono solo un pezzo di carne macellata, agglomerati di cellule abbarbicate tra loro che si aggrovigliano in terra come il lungo nastro di una telescrivente organica»), l’avvertimento penoso («capirete come mi sento: come se non avessi niente sul collo o dentro il petto»). La comicità sposa pigmenti rossastri, negando il nero all’ugola che squarcia bene a ridosso di qualche rima, vignetta, farneticazione; campiture e geometrie tridimensionalizzano le pagine tanto che la pupilla supera il rigo e affonda in scacchiere di carne, in spermatozoiche fissure, botanici diademi e maschere di teatri avariati. Nella mappa senza senso e direzione possono estrapolarsi a caso – uguali ai cento moncherini (mani, stomaci, intestini, gambe, orecchie e vulve) – didattiche illuminanti di saggi luminari. Le meglio apprezzate, quelle psichiatriche: «Quando un organo lascia la sua abitazione, in modo più o meno conflittuale ma inevitabilmente cruento, la sua “famiglia” può rimpiangerlo o essere sollevata dalla sua partenza (o entrambe le cose)»: un faro per il (sotto)vuoto.
A Biancuzzi piace quel che piace e nel ventriloquio col proprio utero abbonda in sincerità, essenziale a capire il primigenio “chi sono”, a evitare colpevolizzazioni: «Forse perché non coltivo marmocchi per barbose coppie sterili, forse perché non ho mai neppure lontanamente pensato di lasciar dietro di me una qualche progenie, forse perché ho forti dubbi sulle mie inclinazioni sessuali e gastronomiche (…)». La maternità è una vite acuminata che gli autori inchiodano al muro per appendervi affreschi dallo stile medievale, ove i putti sono orrendamente demoniaci, velatamente deformi, rosse le loro «orecchie a sventola». Martino produce esclamazioni che accerchiano le menti dei meno consenzienti («non sono buono a fare nulla, eppure vorrei spaccare in due l’universo»), dei più resilienti, gli umilmente umani, i socratici. Le centottantaquattro pagine biancuzziane producono così un forte zefiro, la corrente necessaria a percepire la scossa di chi sta scomodo sul confine, a raccontare, a far vedetta, sotto sferzate avverse e controverse; il male è rannicchiato di fianco, né amico né nemico: un fatto, cui si è data forma, favella.
L’abnorme M. possiede un abc che la sa lunga, almeno fino alla zeta, e finisce per spaventare chiunque creda d’aver tutto a posto mentre nulla è in ordine, e nel nuovo protestante scompiglio pasce, s’affeziona alla sacca “luterana” e al suo esilio goccioloso. «Viene quasi da pensare che, in realtà, abbia qui sede il vero cervello umano», sì-sì. Shh-shh… perché si «fluttua, e questo momento di assoluto silenzio è pura estasi».