Sono poche le persone attratte dalla rarità, ancora di più se si tratta di un libro praticamente introvabile, che, prima dell’attuale ristampa per il Saggiatore, si poteva acquistare per una cifra che si aggirava intorno ai trecento e i duecentocinquanta euro, nelle poche copie disponibili nel mercato dell’usato. Ma anche all’epoca della prima uscita il prezzo non fu un incentivo utile alla diffusione di The Recognitions, in italiano tradotto con Le perizie: il prezzo nel 1955, infatti, pare che costasse intorno ai 7,50 dollari, che sarebbero, circa, come i 35 euro di oggi.
Non solo questo, ci si metteva pure la mole del volume a spaventare anche il più coraggioso dei lettori: oltre mille pagine. Rovistando, si scopre che l’autore sconosciuto – di cui l’autore stesso si fa beffa nel romanzo, giocando sulla sua scarsa vendibilità –, successivamente ribattezzato Mr. Difficult, ovvero William Gaddis, fu apprezzato davvero poco dalla critica che, di fatto, non comprese la sua opera, e fu bollata dai più come «illeggibile» e incomprensibile. Tra le rare eccezioni positive, ricevette gli apprezzamenti di critici come Stuart Gilbert, uno dei primi a scrivere una opera critica, non a caso, sull’Ulisse di James Joyce. Per il resto, oltre a Joyce, di cui Gaddis dichiarò di non avere letto granché, le coordinate entro cui orientarsi prima di acquistare, oggi come allora, il volume rimandano a opere come The Waste Land di Thomas Eliot, questa sì una delle fonti riconosciute dall’autore nato a New York. I riferimenti qui menzionati già mettono in allerta il lettore: ci troviamo al cospetto di un romanzo dalla incredibile complessità, lungo e difficile.
Già dall’epigrafe, il lettore che non ha studiato il latino potrebbe essere tentato di riporre il volume nel suo scaffale, infatti un certo Ireneo autore di un volume contro tutte le eresie, recita: Nhil cavum eque sine signo apud Deum. Voltiamo pagina e ci imbattiamo immediatamente in un’altra citazione, questa volta in tedesco!, ma è tratta dal Faust di Goethe. Il romanzo appare, già dalle prime pagine, come un concentrato di riferimenti, dal mitraismo, al pelagianismo, al catarismo e Maria Egiziaca, giusto per citarne un paio. Da questi indizi possiamo intuire come, al tempo della sua prima pubblicazione, l’élite culturale dominante si trovò completamente impreparata ad accogliere un’opera di tale ambizione, ostile a tutto ciò che si presentava come innovativo, sperimentale, scritta da un outsider che non aveva legami con quel mondo consolidato. Per dare un’idea del contesto è utile sapere che anche opere ben più note di questa, come On the road di Jack Kerouac, non ebbero vita facile (quest’ultimo, infatti, dovette riscrivere il suo romanzo per renderlo pubblicabile); o William Burroughs con il suo Naked Lunch; Henry Miller con Tropic of Cancer, uscito in Francia nel 1934, ma negli Stati Uniti nel 1961.
Esiste, da sempre, una sorta di conservatorismo, di atteggiamento reazionario verso il nuovo, come se fosse sempre troppo in anticipo sui tempi. Anche in Italia i casi sono diversi, uno su tutti è rappresentato sicuramente da Antonio Moresco, esordiente all’età di quarantasei anni dopo un periodo di clandestinità da scrittore molto lungo.
Quello che molto spesso è venuto a mancare sono state le condizioni affinché tali opere, e autori, prosperassero. Le perizie è un romanzo intriso di oscenità, profanazioni, blasfemie. I fanatici religiosi sono stigmatizzati, come fa uno dei personaggi del libro, tale Anselm, il cui vero nome è Arthur ma che decide di cambiarlo in onore di Sant’Anselmo, un poetastro che ridicolizza il cristianesimo ogni volta che fa la sua apparizione. Il reverendo Gwyon, padre del pittore Wyatt, o Gilbert Sullivan, o ancora Stephen, cerca di sollevare il velo di Māyā che ricopre la religione, e in particolare il cristianesimo inteso come una sorta di contraffazione di tutte le religioni precedenti. «L’illustre romanziere» Ludy, per esempio, a un certo punto del romanzo ha un attacco di diarrea e per pulirsi non trova di meglio che le pagine del libro di tutti i libri… Inoltre, vi è una discreta presenza di personaggi queer, che per i tempi era una rarità, alcuni si sposano pure, altri ancora fanno un uso massiccio di droghe pesanti, viene raccontata una promiscuità dilagante, ci si sofferma sulla masturbazione, addirittura c’è un caso di zoofilia, come nella sequenza in cui la serva Janet viene colta in flagrante con un toro. Insomma, siamo alle prese con uno strano oggetto narrativo non identificato, che di certo non sarebbe potuto fuggire agli anatemi del suo tempo.
L’Accademia, la stessa che idolatrava autori come Faulkner e Joyce, non riconobbe in The Recognitions il suo effettivo valore. Il fatto è che, per arrivare alla consacrazione, come molto spesso avviene, bisognava superare il cosiddetto test of time: un classico del Novecento come l’Ulisse non fu accolto altrettanto bene quando uscì, tra censure preventive e cause giudiziarie, o ancora penso a capolavori come Under the volcano di Malcolm Lowry, o Samuel Beckett, tutti autori di culto che, alla loro prima apparizione, non furono compresi dalla critica ufficiale.
Le perizie era troppo in anticipo sui tempi, e sarebbe stato ignorato per molti anni ancora prima di essere riconosciuta come opera seminale del postmoderno in letteratura – ufficialmente, la sua consacrazione avverrà ben vent’anni dopo con la vittoria al National Book Award per il suo secondo romanzo: JR. Gli anni Cinquanta di Eisenhower non erano un bel periodo per pubblicare un romanzo di oltre mille pagine che, inoltre, fosse dissacrante verso la società americana, e che ne smascherasse le ipocrisie e falsità, le menzogne e le sue contraffazioni. Il tutto condito da uno stile erudito, che mescola più lingue, dal tedesco al francese, al latino, passando per un simbolismo onnicomprensivo che permea l’intera opera di rimandi nascosti, trasformandola in una sorta di bosco per iniziati, per cui ogni pagina diventa come un enigma da decifrare.
È come se l’autore fosse sceso dall’alto dell’Empireo e, come un messia, avesse intimato alla sua nazione che quello che stava facendo fosse completamente sbagliato. Come avrebbe potuto ricevere una buona accoglienza? Citazionismo spinto all’estremo, un lavoro sulla lingua da autentico funambolo letterario, a volte il ritmo è talmente sincopato che sembra di ascoltare una improvvisazione jazz tra le pagine. Oggi possiamo affermare con certezza che William Gaddis fece, nella letteratura, il corrispettivo di quello che le avanguardie artistiche avevano fatto con l’arte contemporanea del ventesimo secolo.
Dieci anni dopo la sua prima apparizione, il clima era già cambiato. Basti pensare al successo di un romanzo altrettanto lungo e stratificato come V., di Thomas Pynchon, romanzo–mondo che racconta le vicissitudini di Benny Profane e Herbert Stencil. Un romanzo che ebbe una notevole diffusione e che diede il via a una grande stagione di letteratura postmoderna. In Italia in molti credevano che sarebbe stato quasi impossibile rivederlo tra gli scaffali delle librerie; infatti la prima edizione italiana risale agli anni Sessanta per Mondadori, divisa in due volumi. La seconda ristampa avvenne soltanto nel 2000, quarant’anni dopo. Da allora più niente. Senza contare gli altri libri dell’autore, pubblicati per Alet, una estinta casa editrice padovana a cui dobbiamo la pubblicazione nel 2009 di JR e di Gotico americano, per esempio, da allora diventati introvabili e costosi.
Oggi non ci sono più dubbi nell’affermare che Gaddis fu il vero padre spirituale di autori come Don DeLillo, David Foster Wallace, e lo stesso Pynchon. Un romanzo che venne schiacciato dai tempi, allo stesso modo in cui, nel libro, la chiesa di Fenestrula schiaccia il pianista e organista, devoto e cattolico, Stanley, mentre suona come fosse posseduto da un demone, ignorando deliberatamente gli avvertimenti precedenti del prete: «Niente bassi… niente strane combinazioni di note, capisce…». Ma, profeticamente, Gaddis sapeva che i suoi libri sarebbero sopravvissuti, «e in seguito venne recuperata anche la maggior parte della sua opera, e se ne parla ancora, quando il discorso cade su di essa, con molta considerazione, anche se la si suona di rado», come scrive nelle pagine conclusive del romanzo – e la ristampa attuale de il Saggiatore ne è la prova fattuale.
«Falsificare è calunniare […] Ogni pezzo che lei fa è una calunnia per l’artista che falsifica».
Di cosa parla Le perizie? L’opera gira intorno a Wyatt Gwyon, che non verrà più chiamato per nome dopo la prima parte, un giovane artista che dipinge quadri falsi di pittori fiamminghi per vivere. Sullo sfondo, una folla di personaggi, le stesse che entrano ed escono dalle tele di Peter Bruegel, o di Hieronymus Bosch, allo stesso modo nel romanzo assistiamo a una giostra di dialoghi e situazioni tra le più assurde e improbabili, tra cui le vicende di Otto Pivner, un aspirante drammaturgo autore dell’opera La vanità del tempo che non riesce a trovare una collocazione, ed è considerato un po’ da tutti come un plagiatore; poi incontriamo Recktall Borwn, il cui gioco di parole allusivo non è di certo casuale, critico d’arte e mercante di quadri, finanziatore di falsi dipinti che colloca sul mercato mefistofelicamente – sarà proprio l’incontro con quest’ultimo, come nel patto con il diavolo di Faust, che sancirà l’inizio dell’attività mistificatrice di Wyatt –, accompagnato dalla figura ambigua di Basil Valentine:
«Lei si preoccupa straordinariamente della sua originalità, non è vero?»
«Originalità! No, io no, io…»
«Via, mio caro amico, è proprio così. Ma in realtà lei dovrebbe dimenticarla, o cederle e godersi la vita. Oggi lo fanno tutti […]. L’originalità è un artificio di cui si serve la gente priva di talento per fare colpo su altra gente priva di talento, e per difendersi dalla gente di talento… ».
In un’epoca dove tutto è corruzione, e la cui unica cifra dominante entro la quale misurare il valore delle cose è il denaro, che spazio rimane per l’arte e il gesto creativo? Intesa come attività disinteressata, senza un utile come fine:
«C’è sempre una immensa congregazione di individui incapaci di creare qualcosa personalmente che in cerca di conforto si rivolgono ai critici per screditare, sminuire e denigrare coloro che ne sono capaci».
William Gaddis, sul tema della falsificazione, utilizzò come fonte la storia vera del falsario olandese di nome Han van Meegeren, pittore ignorato dai critici che, per farsi notare e ritagliarsi un posto, decise di plagiare le tecniche e gli stili di pittori ben più famosi di lui, tra cui i quadri di Johannes Vermeer, spacciandoli non per riproduzioni ma per opere autentiche. Ci troviamo nella prima metà del Novecento, e van Meegeren arriva a produrre ben quattordici dipinti con lo stesso identico stile di Vermeer, tutti venduti, questi falsi lo resero ricco molto in fretta, ma il suo trionfo fu interrotto perché fu arrestato per collaborazionismo con i nazisti – infatti, vendette un Vermeer addirittura a Hermann Göring –. Fu costretto a confessare, ammettendo di essere un falsario. Questo raccontò arrivò a Gaddis che, proprio in quei momenti, stava scrivendo Le perizie, e, pare, che prese proprio da questa storia alcuni dei dettagli ricorrenti sulle tecniche pittoriche che ritornano, e i materiali impiegati, tra cui il famigerato profumo di lavanda più volte evocato.
La struttura delle Perizie è riconducibile alla medesima di un trittico rinascimentale, il cui pannello centrale è il più lungo, e il più largo, così come, nelle tre parti in cui è suddiviso il romanzo, la seconda è quella lunga quasi il doppio delle altre due, e, queste ultime, si riflettono l’una sull’altra come un cerchio che si chiude. Il romanzo si apre con l’affare spagnolo, ovvero la visita in Spagna del Reverendo Gwyon in compagnia della moglie Camilla, ma mentre sono in viaggio la donna viene colpita da un attacco di appendicite acuta, per sventare l’accaduto a bordo si aggira un falso medico, è Frank Sinisterra, il mercante di banconote false che, per fuggire e darsi latitante, ha cambiato identità ed è costretto a intervenire perché a bordo. Nella terza parte, Frank, diventato il signor Yák, prenderà con sé Wyatt, ora Stephen, per liberarsi del senso di colpa, mentre questo ultimo, ormai stufo della falsità del mondo dell’arte, è in viaggio alla ricerca di una autenticità spirituale, ormai impossibile da trovare Il medesimo contesto è lo sfondo delle vicende con cui si apre la terza parte, con le immagini, nuovamente, della Spagna e del mare, mentre nella sezione interna gli avvenimenti principali si svolgono a Parigi e New York.
Altro elemento in comune con la pittura fiamminga è riscontrabile nel disordine del tempo, che non rimanda solamente a una sfasatura nella cronologia degli eventi, ma evoca direttamente l’illusione delle tre dimensioni che i pittori fiamminghi riuscivano a imprimere sulle tele, anticipando di diversi secoli le tecniche e le inquadrature più proprie del cinema e della fotografia. Abbandonata l’unità temporale, il lettore si sente come trascinato nella febbrile corsa mentre insegue con l’animo del montaggista le vicende dei suoi personaggi, tra uno scambio di identità, una struttura ridondante che, per essere compresa a pieno, deve analizzata attraverso la lente di ingrandimento della pittura fiamminga del XV secolo. Come nei continui riferimenti agli archi gotici, gli stessi che abbelliscono la composizione, la facciata gotica del Real Monasterio de Nuestra Senora de la Otra Vez, o ancora gli ampi riferimenti agli occhi e alle mani disseminati un po’ ovunque, elementi pittorici ricorrenti rappresentati con innovazione.
Quello che Gaddis cerca di fare, divenendo a distanza, ma riuscendo infine nella sua impresa, è quello di svelare, o rivelare come nella migliore tradizione mitraica, l’ipocrisia su cui si regge la società occidentale, di smascherarne le sovrastrutture – e qui, salta all’occhio un altro dei suoi riferimenti bibliografici, ovvero Il ramo d’oro dell’antropologo James George Frazer: attraverso le religioni, i suoi modelli epistemologici, le strutture sociali, la forma d’arte che, a seconda del tempo, si è conferita, demolendo ogni abbellimento e tornare alla sua essenza, come in un carnevale orgiastico che ricorda l’ebbrezza dionisiaca delle Baccanti, la stessa raccontata da Euripide nella sua celebre tragedia. Le perizie sono il tentativo, attraverso la letteratura, di (ri)trovare e scoprire, se esiste ancora, l’autenticità in un mondo di simulacri e di falsi idoli.
In copertina: William Gaddis (credits foto WashU Libraries)