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La tumultuosa natura della massoneria italiana

Dal Settecento ai giorni nostri, il puntuale lavoro di Manenti sulla massoneria italiana



Il libro di cui si discute analizza la parabola secolare della massoneria italiana, dal Settecento ai nostri giorni, osservata nella cornice europea e colta nei suoi risvolti particolari. Impresa, questa, che richiede competenze che spaziano dalla storia culturale alla politologia, passando per le minute questioni, comprensibili appieno solo se collocate nel più ampio contesto geografico, che hanno segnato il tragitto di un’associazione molto chiacchierata ma, a ben guardare, poco conosciuta.

Luca G. Manenti, dottore di ricerca in Storia contemporanea all’Università degli Studi di Trieste e direttore scientifico della Società internazionale di divulgazione Manlio Cecovini, già autore di saggi e monografie in argomento e relatore in convegni che della massoneria hanno trattato, si cimenta coraggiosamente con un tema la cui semplicità del titolo stride con la sua intima natura, che invece è tumultuosa, difficilmente riassumibile. L’opera – La massoneria italiana. Dalle origini al nuovo millennio (Carocci, 2024) – sicuramente deluderà l’eventuale acquirente innescato da prurito scandalistico, bramoso di conferme per le sue fole complottistiche. Qui si parla di altro, e se ne parla altrimenti.

massoneria italiana

Il libro non è per questo pubblico, all’evidenza, ma per una platea di pensatori maturi, alla ricerca di una solida base storiografica cui agganciare, a mo’ di prontuario ineccepibile, le loro eventuali inclinazioni esoteriche e la loro legittima sete di conoscenza. Ed è ovviamente anche per lettori profani, adoperando un termine che si imparerà a conoscere nel volume, che troveranno comunque appagante la logica espositiva e la completezza argomentativa. Chi approcci la lettura con questo criterio, troverà soddisfazione, perché la ricerca di Manenti, sorretta da una prosa essenziale e addirittura gradevole, non lascia spazi vuoti. Dinanzi alla domanda nuova, che il lettore si facesse di volta in volta, dinanzi a fatti di cui avesse ignorato l’esistenza, esisterebbe nel libro la risposta anche a quella, in un gioco di specchi condotto con onestà, autodisciplina e criterio. Che cos’è la massoneria? Una setta dagli obiettivi innominabili, una moda perniciosa, un gioco sofisticato per adulti in cerca di facili emozioni, una società iniziatica protesa al miglioramento dell’uomo? Perché gode di così cattiva stampa? Ha a che fare col diavolo, con la politica, col potere occulto gestito dai grandi della terra? Quanto peso ha oggi e quanto ne ha avuto ieri? È segreta? Non lo è? Se non lo è, perché si pensa che lo sia? A questi e ad altri quesiti il volume fornisce risposte esaurienti ed equilibrate, sfatando leggende e informando col tatto necessario.

Lo scrittore che abbia fatto della (semplice) narrativa il suo oggetto letterario, ben sa che oltre la frasetta e la trama ci sono fatica, tempo e sacrificio: perché nulla scaturisce dalla nuda e cruda fantasia – se non l’ispirazione – ma anche, pesantemente, dalla ricerca e dallo studio. Quello stesso scrittore, quindi, conscio dell’energia spesa nelle retrovie, e non visibile al lettore che gode del solo frutto ultimo del suo lavoro, si può addirittura spaventare dinanzi all’opera di Manenti, perché ben più della sua (semplice) narrativa, presuppone valanghe di ore, giorni, settimane e mesi di impegno per ciascuna pagina, per ciascuna frase. I rimandi, l’indice, l’indicazione di specifiche e puntuali fonti, la concordanza di affermazioni e conclusioni che impegnano lo spazio di una riga, sono soltanto l’esternazione riassuntiva e grafica – e apparentemente striminzita – di notti insonni e dubbi, di esplorazioni intellettuali nelle molte diverse direzioni possibili. Ci sono treni che sono stati presi per un pelo, per andare a vedere dal vivo un documento; rincorse telefoniche al tale che poteva riferire dove si trovasse l’edizione di un certo libro, le trafile burocratiche per farsi aprire archivi, il sonno perduto, e l’accettazione dignitosa che l’opera non avrebbe scalato le classifiche, ma sarebbe stata comunque apprezzata solo in circoli ristretti. Del resto, Eraclito disse «non per tutti scrivo, ma per chi può capirmi, uno vale per me centomila, e nulla la folla». Si appaghi dunque Manenti di questa eletta schiera, perché è ciò che gli tocca, ma sia felice perché i pochi sono davvero contenti di lui e del suo lavoro.

La ricerca storica non è selezione a estro di ciò che concordi con una tesi, ma disponibilità a cambiare strada dinanzi a documenti che contraddicano una sperata linea logica che ci si era illusi di poter condurre a compimento. La ricerca storica è coraggio, forza di ricominciare, lavoro operaio e faticoso: a volte delusione, ma più spesso appagamento: quella soddisfazione che l’atleta prova quando conclude una gara di durata, e il ricercatore analogamente apprezza, alla fine di un siffatta complicatissima, estenuante distillazione. E quando scarseggiano le fonti, che sono i mattoni con cui lo storico costruisce il suo edificio narrativo, egli, se è in gamba, esplicita le criticità della situazione e vi rimedia con le ragioni meditate di un robusto quadro indiziario, salvo astenersi da assurdi voli pindarici. Si pensi a una delle due maggiori famiglie massoniche della penisola, la Gran Loggia d’Italia, che tiene gli archivi sigillati, a differenza del Grande Oriente d’Italia, più liberale nel mettere a disposizione le sue carte, che l’autore ha sfogliato, assorbito e riproposto con rigore interpretativo.

Quel rigore, fatti due conti, è proprio la merce preziosa che il lettore deve apprezzare, il vero in se dell’opera. A Manenti va anche riconosciuto il merito, non scontato, di aver saputo offrire la panoramica di una questione complessa in un numero di pagine non spaventevole: 150 facciate di testo suddivise in 7 capitoli e 25 paragrafi, più 50 di note fitte, accurate e aggiornate, in italiano, inglese e francese. Pregio di non poco conto e sicuramente elemento atto a invogliare l’acquisto e la lettura. Una volta conclusa, e questo è caratteristico dell’opera scientifica, il libro non andrà su uno scaffale sperduto, a prendere polvere, ma potrà rimanere in vista, pronto alla consultazione, come un elenco del telefono, un oggetto utile perché intrinsecamente concepito per fornire risposte.

Della libera muratoria italiana apprendiamo così le origini nella Toscana settecentesca, le influenze straniere dovute all’assenza di uno Stato nazionale che facesse da centro di riferimento, lo scontro immediato e virulento con la Chiesa cattolica, le vicissitudini del periodo rivoluzionario, la reviviscenza nell’epoca napoleonica, l’inabissamento durante la cosiddetta Restaurazione, la trasmigrazione verso nuove forme associative risorgimentali, la rinascita a ridosso dell’unificazione, la fase aurea nell’Italia sabauda, le lotte combattute dentro e fuori il parlamento in nome della laicità dell’insegnamento, del progresso scientifico e dell’emancipazione delle fasce disagiate, la soppressione imposta dal regime mussoliniano, l’antifascismo militante di una parte dei fratelli, la ricostituzione nell’Italia repubblicana, i problemi connessi e le soluzioni adottate. Né mancano accenni alla dimensione iniziatica dell’istituzione, ai suoi miti e ai suoi riti, osservati con la lente del ricercatore attento e immune dal cattivo vizio di cedere al sensazionalismo, moneta corrente quando si parla di ciò di cui Manenti parla. Il libro non è, attenzione, un’apologia della fratellanza, né una denigrazione per partito preso, ma una disamina sincera, portata avanti coi documenti alla mano, una lettura intelligente di dati destinati sennò a rimanere grezzi, composti in un mosaico che, visto a debita distanza, acquista senso pieno e compiuto.

Il corredo bibliografico, la veste editoriale, l’assenza di sgrammaticature e refusi, assieme a fruibili e completi indici, completano l’assetto di un libro che, sicuramente, merita l’apprezzamento del lettore e la stima dei cultori della materia. Si ricorderà che tutte e tre le cantiche della Divina Commedia si concludono con la parola «stelle». Lungi da noi, va da sé, l’intento di stabilire parallelismi insostenibili fra il capolavoro dantesco e il volume di Manenti, eppure ci piace pensare che, forse in ossequio al linguaggio simbolico tanto caro alla massoneria, egli non abbia fatto cadere in maniera distratta l’ultima parola del testo. Ci sia concesso pertanto terminare come il libro termina: «l’universalità della libera muratoria continuava a coniugarsi, alle soglie del terzo millennio, con il mai sopito amore per l’Italia».


In copertina immagine della massoneria (credits L’identità di Clio)

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