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Quel viaggio che inizia tornando. Le altritudini di Francesca Camilla D’Amico

Le parole di una contastorie selvatica, dagli Appennini al Circolo Polare Artico

Lo afferma nel sottotitolo del suo primo libro, Francesca Camilla, di essere «una contastorie selvatica in cammino». Raramente una definizione di se stessi calza con tale eleganza alla persona che l’ha escogitata, a una vita ancora giovane eppure già antica, che ha saputo scavare nel profondo del tempo per aprire spazi vasti nel proprio raccontare, nel proprio teatro, il più grande che c’è: la vita.
La differenza con una “cantastorie” D’Amico ce la spiega nelle pagine di Altritudini (Ediciclo Editore, collana Biblioteca del Viandante diretta da Luigi Nacci) dentro le quali riesce a trasformare un’autobiografia in una vicenda talmente unica da farsi universale, perché leggendo le sue parole è facile immedesimarsi anche se si è lontanissimi da ciò che fa lei e dalle sue geografie. Ma questo, dopotutto, è il magico mondo del “mettere in scena” senza mai tradire la verità di fondo. Il che, a pensarci bene, è anche ciò che facciamo scrivendo un libro.

Altritudini è quindi una storia universale, ma anche la storia di una donna che ha percorso andate e ritorni dalla sua terra d’origine, l’Abruzzo, un cuore nordico conficcato nel centro d’Italia e la cui geografia spesso ai più sfugge: una geografica selvatica, dove mare e montagna convivono in un dialogo continuo e che nella selvatichezza trova una chiave di lettura fondamentale per capire anche il rapporto di Francesca Camilla con la sua ricerca di storie da raccontare nel DNA d’Abruzzo, della sua Storia spesso negata, quasi sempre poco conosciuta.
Un’artista che cerca se stessa emigrando prima a Roma per studiare teatro, poi tornando per seguire slanci meno mediati, più carnali, nel rapporto tra chi racconta e mette in scena, con chi ascolta e pesca nella propria esperienza per identificarsi. Slanci in avanti senza dimenticare cosa non deve mai restare indietro: «Sono scomparsi i contesti sociali in cui raccontare le storie. Storie che non canto, ma che riporto alla luce grazie alla tradizione orale: per questo sono una contastorie, con la o», leggiamo.

altritudini

Altritudini, oltre a essere testo fluido e accattivante, ha il pregio dell’energia – dell’odore – del selvatico. Ha la rara capacità di suscitare in noi la voglia di assecondare il richiamo dell’Avventura, del Viaggio più grande, di non avere paura del coraggio di vivere, perché la nostra esistenza arriva sempre, prima o dopo, su una linea d’ombra che dobbiamo affrontare tutti. Lei lo ha fatto, per esempio creando il Bradamante Teatro dopo avere ascoltato e arricchito una galleria umana che è parte di lei, della sua visione, della sua creatività, con uno sguardo di carnale potenza offerto dalla montagna che ha eletto a sua ispirazione. Così D’Amico ci accompagna nel viaggio in cui gli incontri fisici o immaginari che l’hanno resa ciò che è oggi si fanno testo: come quello con Mimmo Cuticchio, attore e regista teatrale, erede della tradizione dei cuntisti siciliani e dell’Opera dei Pupi, supremo narratore che a Francesca Camilla insegna che «la tradizione è come il letto di un fiume: l’acqua che vi scorre dentro non è mai la stessa». Per questa donna, l’oralità si fa presente continuo e così dopo un personale cammino di ascolto degli ultimi narratori contadini d’Abruzzo, e aver deciso di andare a vivere in montagna in un paesino della Maiella a mille metri di altitudine, trova il suo sentiero lungo il quale trasformare in realtà narrativa un incontro mai avvenuto ma che la cambierà profondamente, quello con la meravigliosa figura del biologo-poeta abruzzese Paolo Barrasso, al quale lei già aveva dedicato il podcast Lama Bianca. E così il Lupo diventa un discorso sul ritorno della consapevolezza collettiva del simbolo selvatico. Un podcast che lei presentò con queste mai dimenticate parole: «Le storie sono nel vento. Girano tra gli alberi e, a volte, chiedono di essere ascoltate». Perché è questo il lavoro di Francesca Camilla D’Amico, anche con le narrazioni di teatro in cammino: dopo il lungo ascolto, lei ha magicamente forgiato figure e visioni inserite in una narrazione originale e allo stesso tempo saldamente radicata in una tradizione che viene dalla fatica quotidiana del vivere, dall’esperienza.

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Francesca Camilla D’Amico

Così nel fluire di Altritudini tutto appare nel suo scorrere naturale di una vita libera, la vita di uno spirito viandante: viaggi che sembrano scaturire da un’irrefrenabile volontà di squarciare l’oscurità che cala sul racconto, come quando va in Mongolia o nella contea di Troms in Norvegia a respirare la luce artica,  per poi tornare lì dove la sua terra le ha donato il senso sconfinato dell’essere lei stessa, un viaggio. Storie che possono essere il mormorio delle steppe mongole o il sibilare degli altipiani abruzzesi e che hanno tutte in comune la ricerca della luce che le chiama a essere testimoni del grande viaggio, affidate alla contastorie-con-la-o. Ecco dunque che ci ricorda le parole di Pirandello ne I giganti della montagna: «Ho visto giganti, neri, enormi, in quella fiamma prodigiosa. Spostavano, ad ogni minimo gesto, tutta la notte, come se dalle tenebre volessero ricreare il mondo». Come non sentirsi in sintonia con Francesca Camilla – come non vederla lì su un palco, in un borgo, in cammino nel bosco, che riflette sul potere della creatività: «Mentre pronunciavo quelle parole nell’oscurità pensai che era questo che volevo fare: vivere di più. Mi sembrava di vederli, quei giganti, spostare la notte ad ogni minimo gesto. L’arte è in grado di fare questo: spostare la notte».

È da questa partenza che nasce il ritorno continuo a chi siamo: esseri umani in cammino che si aggrappano alle storie: «Se il popolo della montagna si risvegliasse, se il popolo del margine di tutto il mondo si ridesterà, non sarà più possibile ignorarne il corpo, la geografia, il suo potente immaginario, la sua carne viva, ostinata», scegliendo di essere narratrice con la lucida coscienza che «tutto è dappertutto». Francesca Camilla non cesserà di sorprenderci, lo si capisce da come tutto zampilla in queste Altritudini. Perché la sua è una cultura viva, sensoriale, incapace di abbandonare ciò che l’industria culturale continua a ritenere “marginale” – finendo essa stessa ai margini del discorso pubblico, distaccata com’è, troppo spesso, dalla realtà di ogni giorno.




In copertina: dettaglio di copertina, Fabio Consoli ©Purple Rain Illustrators

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