Scriveva George Steiner che la critica letteraria dovrebbe scaturire da un debito d’amore. Questa asserzione, l’incipit di Tolstoj o Dostoevskij, è forse tanto più vera quando l’autore o l’opera trattati sono presi in esame non da un critico bensì da uno scrittore, un artista, che in quanto tale si approccia all’oggetto dei suoi studi con nerbo e passione oltre che con metodo, fino a fare del proprio lavorio non soltanto uno studio critico o biografico ma anche un omaggio e in alcuni casi una prova di vicinanza e di consanguineità. Il critico scrive di un artista innanzitutto per studiarlo, mentre l’artista, se è tale, se non è spinto da piaggeria o, peggio, da acrimonia, spesso si risolve a scrivere di un altro artista al fine di celebrarlo, raffrontandosi in tal modo a quel debito d’amore di cui scriveva acutamente Steiner. È il caso di Paul Auster con il suo Ragazzo in fiamme, vasto saggio che, come recita il sottotitolo, vaglia la vita e le opere di Stephen Crane.
Auster comincia a scrivere il libro nell’ottobre del 2017, probabilmente subito dopo aver concluso 4321, un romanzo. All’inizio doveva essere un lavoro breve, tuttavia le pagine si sono andate accumulando e alla fine Ragazzo in fiamme è diventato la sua opera più lunga, o comunque l’unica in grado di rivaleggiare con l’altresì estesa 4321, perché, tolte le oltre sessanta pagine dedicate alle fonti e all’indice analitico, Ragazzo in fiamme consta “solo” di 940 pagine, contro le 951 di 4321. Si tratta in ogni caso di un saggio a un tempo ambizioso e avvincente e per nulla prolisso; il materiale infatti è tanto, nonostante la brevità della vita di Crane, che nasce nel 1871 e muore nel 1900, di tubercolosi, a soli ventotto anni.
Nell’esistenza di Crane ci sono avventure di ogni sorta, amori, disastri, mezzi successi, guerre, scandali, fughe e sofferenze. Nella fotografia in copertina del libro di Auster lo si vede ad Atene nel 1897, vestito da corrispondente di guerra, cioè per l’appunto da avventuriero. Tutte le fotografie contenute in Ragazzo in fiamme sono descritte meravigliosamente; nella fattispecie, riguardo a questo scatto, Auster scrive: «Nessuna foto di Crane offre un’immagine più elegante, più memorabile di questa. Seduto a gambe accavallate sulle rocce finte dello studio fotografico, indossa un cappello a tesa larga, una giubba con il colletto sollevato e una cinghia sul petto a cui è appeso il fodero in cuoio appoggiato sul fianco, e un paio di stivali di cuoio. Lo sguardo è fermo, addirittura penetrante, i baffi più folti che in altre foto e, con la sigaretta fra pollice e indice, dà l’impressione di un uomo magro affamato d’azione.» Un uomo magro affamato d’azione. Questa vitalistica brama d’azione potrebbe riportare al titolo del saggio, Ragazzo in fiamme, che proviene, spiega Auster, da un libro di Claude Bragdon in cui Crane viene descritto con le seguenti parole: «Un giovane sincero e ardente, con un fuoco dentro più vivo di quello che consuma altri uomini, così vivo, di fatto, da divorarlo sotto i nostri occhi.» Donde: Ragazzo in fiamme, in originale Burning boy.
Ma non solo di avventure tratta Ragazzo in fiamme, giacché, come scrive Paul Auster, se oggi vale la pena di esaminare la vita di Crane è solo «per le opere che ne sono venute fuori». Oltre che della travagliata esistenza di Crane il libro racconta dunque delle sue opere, riportandone ampi brani, tanto che – con la straordinaria complicità di Auster – si ha l’impressione di leggerle e non di studiarle. Questa è forse la sola critica che si potrebbe muovere ad Auster, perché ogni opera, dai romanzi ai racconti fino agli articoli e alle poesie, viene descritta dettagliatamente e di conseguenza si toglie al lettore il piacere di leggerle per la prima volta. Nelle intenzioni dell’autore, infatti, il saggio è rivolto a chi non ha mai letto Crane; Auster vuole “comunicare l’esperienza della lettura di Crane, l’effetto che fa incontrare la sua opera per la prima volta”; tuttavia in tal modo rende impossibile al lettore inesperto la scoperta solitaria dei libri di Crane. Va però detto che molte delle opere di cui scrive Auster sono inedite in italiano e punto o poco conosciute anche negli Stati Uniti. Ragazzo in fiamme è pertanto un’opera necessaria che (si spera) farà avvicinare le prossime generazioni ai libri di Stephen Crane, non di rado dimenticati.
Scrive Auster nelle pagine conclusive del libro:
«Fu dimenticato. Ricordato. Ridimenticato. Di nuovo ricordato e adesso, mentre scrivo le ultime frasi di questo libro ai primi del 2020, i suoi libri sono di nuovo dimenticati. È un periodo nero per l’America, un periodo nero ovunque, e siccome succedono tante cose che minano le nostre certezze su chi siamo e dove stiamo andando, forse è venuto il momento di disseppellire il ragazzo in fiamme dalla sua tomba e cominciare a ricordarlo di nuovo.»
Quindi ricordiamolo anche noi. Il Crane letto e studiato da Auster è uno scrittore mirabilmente novecentesco, un capostipite del saper descrivere un’emozione o un avvenimento senza trascurare né il “fren dell’arte” né soprattutto lo stile e il lessico. L’influenza della sua opera riguarda molti grandi autori in lingua inglese del Novecento, da Conrad a London, da Sherwood Anderson a Faulkner, da Pound a Hemingway, da Willa Cather a Robert Frost e via di seguito. Auster, forse lasciandosi prendere dall’entusiasmo per l’autore che ama, scrive persino che l’ultimissimo Crane, quello di War Memories e dell’incompiuto The O’Ruddy, in qualche modo fa un primo passo verso il Viaggio al termine della notte di Céline o addirittura, se portato agli estremi, potrebbe prefigurare la prima parte della trilogia di Beckett, Molloy. Di fatto Auster è persuaso che il futuro della prosa di Crane, se non fosse morto così giovane, sarebbe stato nella prima persona; a suo avviso è lì che avrebbe trovato le vette più alte.
Ragazzo in fiamme si divide pertanto fra la vita e l’opera di Stephen Crane. Tuttavia, come avverte Auster riprendendo il Proust del Contre Sainte-Beuve, «i passi falsi nella vita quotidiana di un uomo possono trasformarsi in canti e capriole nella sua opera», e peraltro l’opera stessa può anticipare e addirittura plasmare la vita dell’artista che crea; si pensi per esempio al fatto che Crane, che in seguito avrebbe fatto esperienza dei maggiori conflitti del suo tempo, ha scritto Il segno rosso del coraggio senza aver mai assistito a nessuna guerra. Aveva solo ventitré anni.
Per uno scrittore o aspirante tale Ragazzo in fiamme è un libro prezioso, sebbene Auster di certo non voglia insegnare a scrivere. I suoi lettori più fedeli sanno come la pensa riguardo alle scuole di scrittura, non soltanto nella vita («Figurarsi, laurearsi in scrittura!» scrive Auster a J. M. Coetzee, in Qui e ora) ma anche nelle opere. Basti ricordare questa pagina di 4321: «Niente corsi di scrittura creativa. Una decisione difficile, da cui Ferguson non intendeva recedere. […] Ferguson era contrario per principio all’insegnamento della scrittura creativa, perché era convinto che la narrativa non fosse una materia che si poteva insegnare, che ogni futuro scrittore dovesse imparare da solo, tra l’altro, in base alle informazioni che gli erano giunte sul modo in cui venivano tenuti quei cosiddetti “laboratori” (la parola lo faceva inevitabilmente pensare a una stanza piena di giovani apprendisti che segavano travi e piantavano chiodi nel legno), gli studenti erano incoraggiati a commentare il lavoro dei colleghi, cosa che gli sembrava assurda (i ciechi guidati dai ciechi!)…»
No, l’unica scuola possibile, sembra dirci Auster con Ragazzo in fiamme, è una scuola di lettura che nasca dall’incanto per ciò che si è letto e che magari ci racconti pure come hanno fatto i grandi autori che amiamo a tenere nella vita il passo infuocato del loro talento, facendone arte e opera. Anche un genio precoce come Crane ha dovuto combattere per diventare ciò che era. Riprendiamo una lettera citata nel libro: «Se mi fossi attenuto al mio stile ingegnoso alla Rudyard Kipling, forse la strada sarebbe stata più breve, però, ah, non sarebbe stata la strada vera. Due anni di lotte sono stati ben spesi. E ora sono quasi alla fine.» Un anno dopo aver scritto queste righe, nel 1895, Crane avrebbe pubblicato Il segno rosso del coraggio, quel famoso e “dannato libro” (così lo definiva lui stesso) che tuttavia, chioserebbe Auster, è soltanto uno dei tasselli che compongono la sua opera.
Concludiamo questa nota di lettura con un dettaglio non minore riguardante la traduzione. Tutti gli ampi brani delle opere di Crane contenuti in Ragazzo in fiamme, con la notevole eccezione di Il segno rosso del coraggio (per il quale si è usata la versione di Michele Mari), sono stati tradotti anch’essi dalla traduttrice del libro, Cristiana Mennella, che già aveva affrontato 4321 e che in seguito avrebbe tradotto Baumgartner. È stata una scelta felice, che dà alla lettura più unità e un ottimo ritmo. Il ragazzo continuerà a bruciare.
In copertina Stephen Crane (credits Syracuse University Libraries via Roger Williams University)