Paul Dalla Rosa ha pubblicato diversi racconti sulle riviste più autorevoli in ambito di narrativa breve, quali The Paris Review, Granta, e il New York Tyrant, tuttavia ha all’attivo un solo libro, An Exciting and Vivid Inner Life, pubblicato nel 2022 e portato in Italia da Pidgin quest’anno, nella traduzione di Stefano Pirone.
Il libro è composto da dieci racconti, la maggior parte dei quali apparsi sulle riviste menzionate: nello specifico Contatto (Contact, su Forever Magazine nel 2022), Comme (COMME, su Granta nel 2018), Storia di un master in Fine Arts (An MFA Story, su Electric Literature nel 2020), La cosa più dura (The Hard Thing, su New York Tyrant nel 2018), Sotto una luce vivida (In Bright Light, su Granta nel 2021) e La sento (I Feel It, su The Paris Review nel 2022).
Noi tutti, fra sogni colorati ed esistenze grigie
«La maggior parte del suo lavoro si svolgeva a casa, alla sua scrivania in un angolo del soggiorno. La situazione di Emma poteva essere descritta come “flessibile”, anche se spesso a Emma sembrava di lavorare in continuazione e che niente di ciò che faceva fosse arte. Non c’era stato un instante preciso in cui avesse deciso di non fare più arte, semplicemente non la stava facendo in quel momento. E quel momento durava da tre anni.»
Una florida ed eccitante vita interiore è una raccolta di dieci racconti che vedono al centro – pur in contesti ovviamente diversi – ragazze e ragazzi sulla trentina (o poco meno o poco più) fotografati in momenti di stasi nella propria vita. La stasi che li configura sembra riguardare, all’inizio delle storie, perlopiù l’ambito lavorativo ma poi, attraverso una indagine che sembra collegare i vari punti come luoghi di una mappa, puntualmente si arriva a intuire la questione generale: la stasi concerne la vita intera del protagonista, che spesso ha perso l’orientamento e non sa destreggiarsi fra passato e presente. I giorni passano, scivolano via in modo quasi automatico e poco o niente sembra cambiare.
Nel primo racconto per esempio, intitolato La cosa più dura, il protagonista si è trasferito a Dubai per trovare un lavoro e cambiare la propria vita. «Ero andato lì per fare soldi e diventare qualcun altro» dice, e poco dopo aggiunge «Volevo vedere se potevo essere una persona nuova». Ma i mesi passano e nulla cambia. Le giornate si ripetono, fra lavoro, alcol e tentativi di dimenticare un ex di cui non si sa quasi niente. Quando si arriva al finale ci si aspetta una epifania che però non avviene. Il protagonista non è cambiato molto rispetto all’inizio della storia non avendo imparato dai propri errori.
Un lettore potrebbe pensare che l’assenza di una redenzione, di una epifania o di un percorso di cambiamento sia una pecca ma in questo caso è esattamente l’opposto. Il messaggio è chiaro: non si può semplicemente andare altrove, lasciarsi tutto dietro, per ricominciare. Non si può trovare la propria bussola morale all’esterno di sé. Bisogna essere pronti e ricettivi al cambiamento, altrimenti ogni possibilità finisce per essere ignorata.
Una lezione simile la apprendiamo dal terzo racconto, Mucchietto, nel quale Sam non può permettersi di pagare delle spese mediche in quanto senza assicurazione e senza un lavoro abbastanza redditizio, e tuttavia non fa granché per risolvere la questione. Al lavoro è distratto e quando rientra a casa trascorre il tempo a giocare a Grand Theft Auto o a frequentare siti porno nel tentativo di stabilire una comunicazione con i ragazzi dall’altra parte dello schermo. Poche riflessioni e pochi pensieri sembrano passare per la mente di Sam, che scivola suo malgrado in un vortice di autodistruzione dal quale è difficile uscire.
Nulla sembra esserci alla fine del viaggio per i protagonisti di Dalla Rosa. L’oggi è un orizzonte indefinito che tutto assorbe, mentre il passato è una nebbia densa da cui i ragazzi e le ragazze delle varie storie sembrano appena usciti. Sappiamo che c’è un passato – più per una forma d’abitudine che altro: tutti ne hanno uno, anche i personaggi delle storie – ma non sappiamo né quanto abbia influenzato il presente né cosa l’abbia contraddistinto. I personaggi sono spesso preda di istinti e desideri che non sanno spiegare e non sembrano perseguire uno scopo ultimo o degli obiettivi da adulti. C’è una grande promessa, o forse una vaga forma di speranza, che riguarda la possibilità che tutto un giorno vada per il meglio. Eppure resta appesa sul finale, come qualcosa di malamente incollato sulla parete di una stanza vuota.
Una voce che ci rappresenta
Questo senso di spaesamento, di perdita di qualcosa che non si è mai avuto veramente fra le mani, è ben rappresentato dallo stile di Dalla Rosa. Tranne in rari casi in cui il ritmo frenetico degli eventi richiede una struttura delle frasi più articolata, l’autore australiano ha una voce che fa ampio uso di paratassi, con frasi brevi e coordinate fra loro che trasmettono il senso di asetticità tipico delle narrazioni dei documentari.
Quasi sempre siamo all’esterno, spettatori in terza persona di ciò che sta capitando al protagonista, spesso incapaci persino di empatizzare con chi non vuole farsi neanche aiutare per raggiungere degli obiettivi a breve termine. Le cose accadono, poi ne accadono altre, in un tempo così rapido che non si riesce a digerire ciò che sta accadendo. Il tempo della riflessione è ridotto al minimo, quasi come se ogni momento della vita fosse parte di un grande sistema meccanizzato industriale. Dopo ogni soggetto e predicato verbale c’è un punto. Segue un altro soggetto, un altro predicato verbale, a volte dei complementi, poi la frase termina con un altro punto. E così via, per pagine che descrivono giornate intere di vuoto.
Eppure – e qui sta la potenza della scrittura di Dalla Rosa – nonostante si fatichi a empatizzare con le storie che ci vengono raccontare con questo stile clinico, non è difficile entrarci in sintonia. L’immedesimazione è subitanea e questo per un motivo metanarrativo: tutti noi che leggiamo queste vicende abbiamo – almeno una volta nella vita – vissuto momenti simili a quelli dei protagonisti. Magari con accadimenti diversi, non nei modi che ci vengono presentati. Abbiamo vissuto giornate vuote, lavori senza futuro, prospettive azzerate, esistenze leggere e destinate a schiantarsi contro i pilastri in cemento della realtà. Sappiamo cosa Dalla Rosa ci sta raccontando e comprendiamo perché quelle frasi brevi, quel ritmo serrato che impedisce quasi di stare al passo con gli eventi. È il ritmo di mesi interi di nulla fatti di casa, lavoro, casa, sonno, risveglio.
Paul Dalla Rosa esordisce con un libro meraviglioso, crudele e sofferto. Un libro che forse è costato fatica a chi l’ha scritto perché, se leggerlo vuol dire partecipare a certi destini, scriverlo è certamente cosa complessa.
Copertina: foto di Matteo Basile