A che genere culturale appartiene la produzione artistica di Zerocalcare? Si è sempre sottolineata la sua capacità di mescolare i generi e i riferimenti. Eroi dei cartoni animati alla pari coi miti classici, cultura pop usata per far emergere drammi esistenziali. Nel rifiutare la distinzione alto-basso e nel mettere al centro la propria autoironia in un continuo flusso di meta-riferimenti e stacchi dalla cornice narrativa si potrebbe pensare a un gioco di disseminazione iper-postmoderna. Questa visione, sostanzialmente corretta ma anche troppo rassicurante, permetteva di apprezzare il divertimento così come l’estremo citazionismo pop. Si è anche detto, soprattutto a partire da Kobane calling, che Zerocalcare si fosse spostato verso temi più impegnati, dalla guerra e dall’esperimento sociale del Rojava, fino a questioni di riflessione culturale, come il dovere, nonostante la difficoltà di usare una lingua neutra e non discriminatoria. Ma questa immagine – una riflessione divertente e amara sulle proprie incapacità che si riscatta aprendosi a forme di impegno – è limitante e colorata a tinte pastello. Non solo perché i temi politici emergono prepotenti già dalle prime opere di Zerocalcare, ma anche perché la riflessione sui propri fallimenti personali è sempre accompagnata da una riflessione più generale su ciò che significa l’impegno umano e politico al giorno d’oggi.
Questo tema, presente ma forse sottovalutato sinora, diventa la questione centrale nell’ultima produzione: la serie animata Questo mondo non mi renderà cattivo, recentemente uscita su Netflix. Senza voler ammorbare il pubblico con un riassunto inevitabilmente schematico in cui il succo narrativo si scioglie in digressioni piatte, e senza pretendere di non fornire uno ‘spoiler’ (vero spauracchio contemporaneo), si può dire che il tema narrativo dell’ultima serie è il dramma della divaricazione delle esperienze di vita. La serie ripercorre i pochi giorni in cui Zerocalcare reincontra un ex compare di giochi dell’adolescenza che era scomparso dalla sua vita a causa di un problema di droga che lo aveva portato in comunità. L’elemento drammatico attuale, oltre al senso di fallimento individuale e collettivo, è scoprire che l’ex amico (Cesare) simpatizza per i ‘nazisti’ (nella serie i gruppi neofascisti vengono chiamati nazisti per sottolinearne adeguatamente l’abisso umano e morale dopo anni di riabilitazione del fascismo). Qui il tema politico è l’abusata, ma non del tutto irreale, deriva a destra delle periferie, di cui la serie mostra la tentazione, ma anche l’effettivo impatto (non inesistente ma minore della strumentalizzazione mediatica). Di fronte alle proteste orchestrate dai ‘nazisti’ contro l’accoglienza di un piccolo gruppo di rifugiati, la periferia si spacca e la politica segue gli istinti peggiori. Senza indulgere in facili populismi, i politici locali sono equanimemente animalizzati come trichechi (la destra), ornitorinchi (M5S) e giraffe (la ‘supposta’ sinistra). Corpulenti, aggressivi ma anche molto pigri; ibridi incomprensibili e a loro volta incapaci di linea condivisa; altezzosi e interessati a un maneggio presuntuoso, i rappresentanti non fanno una bella figura. Ma l’elemento interessante è che oltre alla bassezza dei politici, nessuno ne esce molto bene.
Questa vicenda personale non fa partire una geremiade su tutta una serie di problemi che ci si aspetterebbe. Il disagio delle periferie, la ferocia della destra nello strumentalizzare la sofferenza altrui, la miseria morale dei mezzi di comunicazione nel mostrare il peggio delle persone. Tutti questi temi sono presenti ma l’autore non indulge nel raffigurarli e gli spettatori non sguazzano nel vedere confermati i propri pregiudizi. Il tema realmente originale della serie è lo spaesamento del nostro antieroe. Zerocalcare vede continuamente frustrata la sua presunzione di giustizia e correttezza, l’impegno politico che ne deriva emerge in maniera antieroica e dimessa, ma non meno importante. Lo spaesamento di Zerocalcare è una sfida continua alla sua presunzione di avere il punto di vista giusto, frutto della sua esperienza di vita ma anche della sua posizione di persona ormai arrivata e soddisfatta. Arrivata perché vive del proprio talento artistico, e riconciliata con sé perché abita ancora nel proprio quartiere periferico, dando così soddisfazione alla propria presunzione anti-elitaria. Ma nonostante Zerocalcare cerchi di posizionarsi in maniera dimessa, la frustrazione arriva dai suoi amici più cari.
Il primo è Cesare che rivela le sue simpatie fasciste. Di fronte alla freddezza di Zerocalcare nell’accoglierlo nuovamente nella comunità, Cesare svela una insospettabile consapevolezza: la sua assenza dal quartiere e la sua permanenza nella comunità di recupero non era dovuta a una ventennale dipendenza dall’eroina, ma si era trasformata in un impegno nei confronti dei nuovi membri della comunità di recupero. Di fronte a questa scoperta, Zerocalcare si trova incapace di accogliere nuovamente Cesare, il quale schernisce la presunzione di chi si sente arrivato.
La seconda sfida all’orgoglio morale di Zerocalcare è quella di Sarah. Amica di sempre e faro morale di Zerocalcare, vacilla nel proprio impegno di inclusione per paura che l’accoglienza dei rifugiati porti alla chiusura della scuola in cui finalmente pare aver trovato un posto di lavoro. Zerocalcare si sente abbandonato e la richiama all’ordine, alle sue aspettative, di fronte alle quali Sarah reclama un sacrosanto diritto di badare alle proprie esigenze.
Il terzo è Secco. Amico fraterno, apparentemente scevro dall’impegno politico e incline a un rifiuto anarchico fine a se stesso, nel momento di scontrarsi con i nazisti sbugiarda la presunzione di Zerocalcare facendogli vedere che lui non è speciale e che ogni persona presente nel presidio è a sua volta lì con mille problemi e contraddizioni.
Il nostro eroe, quindi, affronta la lotta che finisce in un niente politico e in un tran-tran mediatico: la polizia sa, ma non interviene finché non arrivano le ‘persone normali’, i media ripropongono la bufala di uno scontro tra opposti estremismi, i migranti vengono dimenticati, e il solo problema è dovuto al coinvolgimento di un figlio di un politico importante. Al di là delle sfumature caratteriali e di posizione politica, ciò che emerge è la difficoltà di fare critica sociale. La sfida è impegnarsi politicamente in una condizione di assenza di referenti politici credibili, scoprendo di non avere ricette di analisi e di soluzione e nemmeno un piedistallo cognitivo o morale superiore agli altri. Tutte le parti in causa rinfacciano a Zerocalcare la sua presunzione: non ha una conoscenza maggiore degli altri, non può facilmente assumere che gli altri siano solo vittime di manipolazione mediatica, non può vantare purezza morale, e nemmeno mostrarsi privo di dubbi (nessuno lo è, a parte i nazisti, i politici e i giornalisti).
Zerocalcare tocca dal vivo una questione che è oggetto di ampia riflessione nella filosofia sociale recente. Una famiglia di approcci, che si raggruppa sotto il nome di post-critica, si interroga da qualche anno su come sia possibile fare critica e teoria sociale nel contesto degli ultimi decenni. Come ha ricostruito molto chiaramente Mariano Croce in un suo volume (Postcritica. Asignificanza, materia, affetti, Quodlibet) , una parte della teoria sociale e della critica letteraria più recente ha abbandonato il paradigma tradizionale in cui il critico si ergeva su un piedistallo cognitivo, politico ed esistenziale da cui pontificava sulla società vittima di inganni e manipolazioni. Il paradigma della critica tradizionale presupponeva che il ‘corpaccione’ della società fosse manipolato dai media e dagli interessi capitalistici, e quindi vittima di falsa coscienza. Ma questa presunzione è a sua volta fasulla non solo perché al giorno d’oggi sembra mancare una teoria sociale che mostri il lato nascosto della manipolazione sociale, i meccanismi profondi del funzionamento sociale, ma anche perché gli attori sociali mostrano più coscienza di quanto previsto della vecchia critica riguardo al funzionamento della società, al loro ruolo, agli inganni cognitivi e alle trappole politiche in cui tutti, critici compresi, siamo incastrati.
È necessario quindi ripensare il ruolo del critico/attivista, di modo che il suo pensiero e il suo agire siano a livello degli altri attori sociali. La postcritica ha elaborato diverse considerazioni teoriche su questa svolta politica e culturale, sostenendo, tra le altre cose, il bisogno di avvicinare l’analisi a luoghi e persone specifiche, e di fatto abbandonando le macroanalisi che spiegano tutta la società in una formula da decodificare. In quest’ottica la riflessione di Zerocalcare mostra in concreto cosa significa scendere dal piedistallo e accettare la possibilità dell’errore conseguente. Smonta anche la faciloneria della fallacia pessimistica che sembrerebbe implicare l’accettazione supina della realtà di fronte ai dubbi e alla mancanza di un piano cognitivo e politico pienamente convincente. Una sfida non facile, come mostrano i tormenti e gli schiaffi all’amor proprio di Zerocalcare, ma che può essere percorsa da ciascuno con le proprie capacità e nelle occasioni che si presentano. Il tema teorico, ma anche pratico, è l’agire per senso di giustizia in un mondo parziale: parziale come il legittimo punto di vista di ogni attore sociale, e parziale perché la completezza – di senso esistenziale e giustizia sociale –, sembra impossibile e non può nemmeno baluginare come riscatto ideale.
Immagini tratte da Questo Mondo non mi renderà cattivo di Zerocalcare (Netflix)