I vecchi consigliano di potare gli alberi in luna calante. Perché con la luna nuova o crescente la circolazione di linfa al loro interno aumenta, e così i rami una volta tagliati sembrano “piangere”, e questo pianto lungo e copioso rischia di provocare infezioni e malattie.
Aurelio Picca sono decenni che si ritrova costretto a potare i rami della letteratura italiana con qualsiasi clima, sotto qualsiasi luna. Costretto non dal mondo editoriale o culturale, ma dalla propria indole, dalla fedeltà feroce verso la propria natura più profonda, che comprende l’uomo antico e il fanciullo e disarciona, con forza, tutto il resto: tutto quel miscuglio di pose, calcoli e piccole strategie e meschinità rivendute come convinzioni che, messe assieme e vendute un tanto al chilo, vanno a formare il tipo di modernità contro cui Picca si scaglia da sempre e per sempre.
Ma allora perché Pinocchio, potreste domandarvi, perché Contro Pinocchio (da poco pubblicato da Einaudi)? Perché il burattino di Collodi per Aurelio Picca rappresenta l’avvisaglia di un atteggiamento divenuto estremamente comune. Comune e pericoloso. Quello di chi si illude di poter vivere nel mondo e di poterlo attraversare e modificare pur essendo sprovvisto di nozioni, e quindi di legami viscerali con la realtà che lo circonda. L’atteggiamento contro cui battaglia Picca è quello di chi, come Pinocchio, volutamente ignora la Storia e la Geografia, e dunque, sentendosi generato dal nulla e ritenendo di non dover nulla a nessuno, si convince di poter rimandare il confronto irrinunciabile con la morte, e con i morti, con la lunga e frastagliata traiettoria che ci ha preceduti e che ci sopravviverà. Picca non assalta Pinocchio e Geppetto per punire loro due, ma per sottolineare la pericolosità del legame che si sono lasciati alle spalle.
Libro di memorie, di letteratura e arte, ma anche atlante e stradario viscerale, Contro Pinocchio è soprattutto un gesto di amore verso i più giovani, e ancora di più, verso il luminoso e violento battito di cuore che li contiene tutti, la giovinezza. È proprio ai Ragazzi-Futuro che Aurelio si rivolge, incitandoli, risvegliandoli, mettendoli in guardia contro un’omologazione spietata. E più ci si addentra nella lettura di questo testo, e più ci si rende conto di quanto poco, quasi nulla, l’anagrafe abbia a che fare con la giovinezza. La cui principale richiesta è la predisposizione. Come per il coraggio, come per la purezza che dilapidandosi diventa ferocia.
Picca ci vuole studenti allenati al sogno, al dolore, e alla morte degli eroi. Perché l’unica, vera e tremenda celebrazione dell’esistenza non può che accoglierla tutta assieme, la vita, con i suoi corpi che amano e crollano, e sudano, i suoi corpi che tradiscono oppure si aiutano, e che si ritrovano, nell’amicizia come nella malattia o nella sensualità, la vita con i suoi luoghi e le sue città, in cui certe azioni non smettono di riverberare, come fa una certa luce che ritorna, a distanza di anni, di secoli, esatta e giovane a nutrire ancora una volta nuovi slanci, nuovi legami più antichi della pietra.
E per riuscirci si affida, e ci affida, a una lingua speciale, unica, al contempo aristocratica e contadina, una lingua e un fraseggio che fanno pensare a un espressionismo naturale come una sorgente d’acqua, d’acqua solforosa, capace di produrre un ritmo e una serie di tonalità che sono il risultato di un continuo avvicendarsi di vita vissuta e letteratura, le quali si alternano, come tessuti, come indumenti, come tettoie, come epidermidi incessantemente sviluppate e sacrificate, perché ogni sole le merita, ogni vento le reclama, e ogni traiettoria va esplorata con la stessa fame, cieca e meravigliosa, con cui i ragazzi della via Paal anticipano il futuro combattendo per la loro Patria, che non può che essere un pezzetto di terra, e con la stessa fiducia e coesione dei ragazzi protagonisti dell’altro libro che Picca indaga e celebra, Cuore di Edmondo De Amicis.
Innumerevoli sono gli sbagli e le inesattezze che ci conducono sino a quel momento perfetto che è soltanto nostro e di tutti. Può trattarsi di un bacio, di un ricordo d’infanzia o di un odore respirato a occhi chiusi, di un suono molto lontano da qualsiasi parola o di un luogo immaginato. La grande letteratura, e quella di Aurelio Picca lo è, ci aiuta a farci strada attraverso il «frasario illogico che in noi decide le cose», e ci riporta in quel punto prezioso e irrinunciabile. Come scrisse Ezra Pound: «A little light, like a rushlight/ to lead back to splendour (Un po’ di luce, come un barlume/ ci riconduca allo splendore)».
E ora, come piacerebbe a Aurelio che lo ritiene un saluto «dotato di sangue e corpo» e profondamente umano e celeste, giunti a questo punto conviene dircelo: addio.