«Tutti i personaggi che compaiono in quest’opera sono te. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, sei puramente tu.»
Corpi mercificati, frazionati, distaccati dall’io come un’ombra preziosa che gli sta alle calcagna: in Stanotte sono un’altra Chelsea Hodson racconta la grande contraddizione dell’essere donna oggi. In questa raccolta di saggi lirici, pubblicati nel 2018 e arrivati in Italia grazie a Pidgin nella traduzione di Sara Verdecchia, si affollano versioni di esistenze sempre diverse e uguali a sé stesse. La corporeità di cui le sue pagine sono impregnate sembra adattarsi in maniera automatica ai dettami della contemporaneità: la società impone che quel flusso multiforme venga assecondato, fagocitato. Il risultato è un’identità frammentata da continui movimenti di rottura e ricomposizione.
In ogni ricordo, pensiero, sentimento di questo libro, si assiste alla medesima scena: corpo e spirito che dialogano continuamente tra loro e sono tenuti insieme solo dalla consapevolezza della loro sorte. Sono destinati a cedere; a sparpagliarsi e confondersi; a ritrovarsi, infine, in forme nuove sempre più caotiche rispetto alle precedenti.
Questa testimonianza così poco menzognera, così priva di messaggi simil educativi, trova in Hodson una narratrice unica nel suo genere, e probabilmente molto più a fuoco di altre sue contemporanee cui è andato il merito di aver intercettato il sentiment della generazione dei Millennials. Pur nell’imperfezione di alcuni dei sedici testi, che appaiono acerbi e non convincono del tutto, l’autrice si mostra capofila di una letteratura che non indietreggia e sa mostrare le cicatrici del suo tempo, non come medaglie al valore, bensì come intima condizione dell’essere.
Nel provare a descrivere questa forma rarissima di sopravvivenza, le sue identità, elette a protagoniste, imparano a distinguere realtà e irrealtà ma a desiderare il contrario: vogliono giocare a uscire dall’una e a entrare nell’altra usando ciò che di materiale possiedono (i corpi in tutta la loro fisicità) perché non nella fissità ma nel movimento risiede il significato della vita. Soltanto sottraendosi ai ruoli, ai doveri, alle aspettative può vivere liberamente.
«Continuavo a sentire la frase Questo è il prezzo da pagare – per vivere a New York, per vestirti in questo modo, per dedicarti all’arte. Cosa sarebbe accaduto se avessi smesso di pagare il prezzo? E se qualcuno ne avesse assegnato uno a me, di prezzo? E se quel prezzo lo avesse pagato qualcun altro?
Distrutta dal tenere in equilibrio molteplici ruoli, alcuni giorni volevo solo essere meno umana.»
I corpi di Hodson – quelli di ogni donna, in verità – si liberano allora delle sovrastrutture: lo fanno per autoconservazione, per sottrarsi all’asfissia, per diventare estranee a se stesse anche solo per un momento. Propendere per la scelta sbagliata non è quindi un atto di immaturità, è scelta consapevole e anarchica che non vuole il perdono del prossimo e sopravvive anzi al giudizio altrui. La scrittura asseconda questo spirito anticonformista e si frammenta ulteriormente in forme sempre più brevi e spezzate. Ogni racconto potrebbe essere vivisezionato ancora e ancora senza perdere l’impatto e l’efficacia che gli è stata impressa.
Così Chelsea può farsi prendere a pugni da un amico senza alcun motivo, può fare tutti i giorni la fila al MoMA per sedersi vis a vis con Marina Abramović senza mai tentare davvero; può attendere che il coltello legato al ventilatore con una corda si stacchi e la colpisca; può bramare di essere un’altra e dimenticarsi chi è veramente.
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In copertina Daniel Shea on BombMagazine