Prosegue la collaborazione di Limina con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, una serie di approfondimenti sui percorsi editoriali di alcuni degli autori di punta della casa editrice. Nomi e firme che ricorrono e che delineano un percorso importante, quello al centro della mostra digitale Il cam(m)ino dell’editore – Storie di Arnoldo Mondadori a Meina, visitabile sul sito della Fondazione. Il nuovo capitolo del viaggio nell’archivio Mondadori è dedicato a Lavinia Mazzucchetti, traduttrice dal tedesco, saggista e curatrice, che dal 1927 alla sua morte fu per Mondadori una collaboratrice inestimabile e una consulente fondamentale, svolgendo un’opera di mediazione centrale per la conoscenza della cultura tedesca in Italia, come testimoniano più di cinquecento pareri di lettura e la fitta e vivace corrispondenza con la direzione della casa editrice.
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«Caro Presidente, avrei voluto scriverLe per ricordarLe il trentennale del nostro primo incontro (autunno 1926) quando Lei, con rapida genialità, si è assicurato in un quarto d’ora, […] e sino alla morte, un ignotissimo Emil Ludwig e la stupidissima Lavinia.»
È così che Lavinia Mazzucchetti si rivolge ad Arnoldo Mondadori in una lettera dell’ottobre 1956, in un momento di contrarietà per alcune divergenze sorte tra loro riguardo la cura dell’opera omnia di Thomas Mann, un lavoro ambizioso, monumentale, che Mazzucchetti intraprese per conto della casa editrice e a cui lavorò dal 1949 al 1963. Anche nel peggiore dei dissapori traspaiono, dietro l’ironia (e l’autoironia) pungente, la stima, il valore di un sodalizio professionale fertile, durato decenni, la tenerezza per una lunga e vivace avventura editoriale condivisa.
Dalle incursioni della redazione tra i forzieri dell’archivio di Fondazione Mondadori finora siamo riemersi con gemme luminose che aggiungono nuovi riflessi e sfaccettature ai profili di autori già celebri e celebrati quali Ungaretti e Buzzati– e anche Alba dé Cespedes, seppur non altrettanto universalmente famosa, è a suo modo autrice di culto, protagonista negli ultimi anni di una riscoperta, oggetto di una rinnovata attenzione critica, accademica e editoriale.
Difficilmente invece la maggioranza dei lettori non specialisti conoscerà il nome di Lavinia Mazzucchetti. Nata a Milano nel 1889 – e quindi coetanea di Arnoldo Mondadori – Mazzucchetti è stata germanista e nell’arco di una vita operosissima si è dedicata all’insegnamento, alla produzione saggistica e alla traduzione, è stata collaboratrice di quotidiani e riviste italiane e straniere e consulente delle maggiori case editrici italiane del suo tempo, tra cui naturalmente Mondadori, con cui come si è visto ebbe un rapporto privilegiato e duraturo.
Oggi all’insieme di queste attività diamo il nome di mediazione culturale e gli studiosi contemporanei di studi germanici attribuiscono all’opera di Mazzucchetti un ruolo decisivo, dal primo dopoguerra ai primi anni Sessanta, nelle relazioni fra il mondo culturale tedesco e italiano, e considerano insostituibile il suo contributo alla diffusione in Italia delle opere di alcuni degli scrittori più rappresentativi della cultura tedesca del Novecento, tra i quali Mann, Hesse e Zweig.
A intensificare l’impegno di Mazzucchetti in ambito editoriale e il suo lavoro di traduttrice furono anche le circostanze storiche: le sue posizioni politiche le preclusero l’insegnamento all’università dal 1929, e dopo il 1935 l’impossibilità di aggirare la censura le fece abbandonare anche l’attività giornalistica.
Mazzucchetti, che nel Primo dopoguerra aveva partecipato a conferenze pacifiste e sul problema dell’antisemitismo, prestò aiuto agli amici perseguitati in Germania e Austria. Sempre dichiaratamente antifascista, per la germanista l’impegno civile era e sarebbe rimasto indissolubilmente legato a quello letterario: nel 1933 ruppe la sua amicizia con l’autore Gerhart Hauptmann perché compromesso con il regime hitleriano; inoltre come curatrice e collaboratrice di collane fu guidata nella selezione dall’intento di introdurre in Italia autori non ancora noti e che avevano scelto l’esilio perché in opposizione al nazismo, tra questi Thomas e Heinrich Mann. In un parere di lettura, più tardo, del 1948, cassa un romanzo dal titolo Schwanengesang (Il canto del cigno) di tale Eugenio Dollman, che raccontava alcuni retroscena delle alte sfere politiche e militari italo-tedesche nelle ultime fasi della guerra appena conclusa, e chiude la scheda, professionale, dettagliata e non priva di considerazioni molto concrete di natura commerciale, con una nota di carattere personale: «Il mio parere è che simili libri debbano essere messi sul fuoco prima di stamparli – rivelando tutta la infida ambiguità e sporcizia politico-morale di questi untorelli dell’Asse, che non significa niente. Come vedete, ho cercato di mettere in luce anche tutte le attrattive e le promesse dell’affare.»
È con questo spirito che Mazzucchetti diviene responsabile per la sezione tedesca di Medusa, quando nel 1931 Mondadori fonda la sua iconica collana. In seguitò sarà affiancata da altri nell’incarico e nel corso degli anni sostituita, ma sempre coinvolta, perché come testimoniano le oltre cinquecento schede di lettura e i voluminosi carteggi della corrispondenza tra Mazzucchetti, Arnoldo e in seguito soprattutto Alberto, la dirigenza Mondadori era consapevole del ruolo insostituibile di Mazzucchetti in quegli anni, sia per la sua conoscenza del panorama culturale e letterario tedesco, sia nel curare i rapporti con gli autori di cui spesso era amica personale.
Nel mondo che abitiamo oggi, globalizzato, interconnesso e ipersaturo di contenuti di rapida accessibilità, può non essere immediata la comprensione della centralità di una figura di tramite come quella di Mazzucchetti. Dobbiamo immaginare un contesto in cui la mediazione era molto difficile, in cui nel panorama culturale si percepiva una forte lontananza di interessi tra la scena tedesca e quella italiana: il mondo accademico riteneva quest’ultima priva degli strumenti per comprendere la produzione tedesca, per il genere romanzo, a causa di una generale situazione di arretratezza e mancanza di aggiornamento nell’informazione, disorganizzazione editoriale e scarso interessamento per l’estero da parte della Germania di allora.
C’è un altro aspetto difficile da immaginare nel nostro presente pullulante di percorsi universitari, master, scuole e corsi di traduzione più o meno strutturati: nonostante siano in molti a ignorarlo, la traduzione solo negli ultimi trenta-quarant’anni è, lentamente, diventata una disciplina accademica riconosciuta, un mestiere a cui si guarda con attenzione e rispetto, con sovvenzioni e premi dedicati (anche se la vita professionale di traduttori e traduttrici tuttora non è priva di difficoltà, come raccontava a Limina qualche tempo fa Gioia Guerzoni). Prima era considerata un’attività secondaria, da praticare per arrotondare, mancavano strumenti adeguati, non c’era professionismo ma tanta improvvisazione. Assume in questo quadro ulteriore valore l’opera di Mazzucchetti, che alla sua formazione accademica di partenza accompagnava un aggiornamento continuo, frequentava assiduamente Svizzera e Germania, intratteneva rapporti personali con gli autori e aveva al suo lavoro di traduzione un approccio rigoroso e sensibile, di letterata e studiosa. Inflessibile contro la «forzata letteralità della traduzione» e gli errori di interpretazione, Mazzuchetti guardava al testo tradotto come a «un surrogato ben poco consolatore»1 ma vitale per i rapporti culturali, e mentre nell’ambito critico abbracciava una vastità di orizzonti, nell’accostarsi a un’opera da tradurre ricercava un’affinità spirituale e combatteva con un costante senso d’inferiorità nel prestare la propria voce ai capolavori degli autori che amava, per esempio Thomas Mann, pur essendone intima amica, o Herman Hesse, di cui era stata ammiratrice dalla primissima ora e che pure conosceva e frequentava.
Si trattava di qualcosa di pionieristico per quegli anni, non solo dal punto di vista del lavoro individuale di figure come Mazzucchetti o la più nota Fernanda Pivano, ma anche a livello editoriale, da parte di Mondadori nell’investire in una curatela che innalzava lo stato dell’arte per libri non destinati solo agli specialisti, ma a tutti i lettori.
Per chi non lo pratica il lavoro editoriale è invisibile: il lettore che non si interessa a come si fanno i libri li vede come un tramite diretto tra sé e l’autore. Così deve essere, l’invisibilità equivale a un lavoro ben fatto: si nota il refuso, non la sua mancanza, salta all’occhio la frase che non gira, non la traduzione felice, perché quest’ultima, appunto, crea l’illusione che quella che leggiamo sia la parola non mediata dell’autore. Tutto questo era vero a maggior ragione in passato ed è per questo che immergersi tra le carte d’archivio di un repertorio come quello del fondo Mazzucchetti non rende solo visibile la portata del lavoro di Mazzucchetti in particolare, la sua personalità, ma un pezzo di storia dello scambio culturale Germania-Italia e un pezzo di storia dell’editoria.
Dal carteggio con Arnoldo, sempre molto formale, emerge una Mazzucchetti perentoria e combattiva, che contratta per i compensi e per proroghe delle scadenze, in uno scambio che può risultare molto familiare e gustoso agli addetti ai lavori e che a chi l’ha letta non potrà non ricordare Sarà un capolavoro, la raccolta di lettere di Fitzgerald all’agente, all’editor e agli amici scrittori, curata da Leonardo Luccone per minimum fax (2017). Molto più affettuosa e calorosa è la corrispondenza con Alberto Mondadori, in cui spesso si firma scherzosamente «La Mazzucchetta»; Alberto Mondadori che a sua volta così la apostrofa: «Cara Mazzucchetti celebre e goethiana» (Milano, 5 maggio 1949) nel congratularsi con lei per un invito a Londra come conferenziera, e con cui la confidenza era tale che in una lettera di qualche mese successiva dello stesso anno, dopo un incontro mancato, leggiamo: «Avevo anche sperato in una bella gita in macchina con Lei (per cosa i porchi sciori hanno una macchina, se noi non ci andiamo mai?) e mi sento delusa».
Ma la brillantezza emerge anche e soprattutto dai pareri di lettura, che confrontati con quelli di altri collaboratori, si distinguono per la concisione e l’assertività che contraddistingevano la decisissima Mazzucchetti, che di Glasperlenspiele di Hesse scrisse:
«è un libro che non si arriva a leggere, a meno che si sia con una gamba rotta a letto per 40 giorni. Per farne l’imbonimento l’editore parla di “Wanderjahre” di Goethe, ma questo dovrebbe atterrire un editore……
E’ [sic] difficilissimo dire se a un pubblico italiano la preparazione di rispetto con Narciso e Boccadoro e con Lupo della steppa basterebbe a farlo comprare ed affrontare.
Fra le difficoltà imponderabili c’è anche quella che, come Proust diventerà presto lettura per sartine, così anche libri di questo tipo si diffondano.»
Ma forse il testo migliore per apprezzare il carattere di Mazzucchetti è quello in cui parla dell’Uomo senza qualità di Musil:
«Io appartengo a quella enorme maggioranza della umanità leggente che non riesce a leggere Musil, che ha però per dovere letto ‘L’uomo senza qualità’, e che spera fervidamente non sia mai offerto al povero pubblico italiano. Ma so benissimo che Musil, insieme a Broch, è da alcuni considerato il narratore dello avvenire o meglio l’ultimo ‘romanziere’, il beccamorti per così dire del genere romanzo in nome di un epos disgregato futuro ecc. ecc.
Se siete clementi non m’imponete di rileggere alcuni lustri dopo la sua comparsa questo divertente libro: Vi cercherò fra le mie scartoffie articoli su di lui e sarò sempre disposta a dichiararmi (in compagnia di moltissimi colleghi anche giovani) troppo stupida per capire la sublimità del romanzo di domani, cioè di ieri, di questo stranissimo Autore.»
È un fondo nutrito e ricchissimo quello conservato in Fondazione Mondadori, che d’altronde riflette la ricchezza di una figura culturale così sui generis, anticonformista e sorprendente come quella di Lavinia Mazzucchetti. Utilissimi strumenti per farsi strada in questo corpus sono la tesi di Alessandra Basilico, Ritratto di una germanista: Lavinia Mazzucchetti (tesi di laurea in Lingue e letterature straniere moderne, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, aa 1990-91) e il volume Lavinia Mazzucchetti. Impegno civile e mediazione culturale nell’Europa del Novecento, a cura di Anna Antonello e Michele Sisto (Istituto italiano di studi germanici, Roma 2017).
Da questi studi, dai pareri di lettura e dalle lettere emerge il ritratto di una professionista straordinaria: lo spirito antiaccademico e antiretorico, dimostrato attraverso le critiche al mondo universitario italiano e tedesco, che si era dimostrato statico e collaborazionista sotto le dittature; l’approccio all’opera mai freddo, affrontare il testo con partecipazione emotiva, con un forte interesse sempre anche per l’uomo-scrittore e la predilezione per lo studio di documenti e lettere nell’approfondire gli autori; l’ampiezza dell’orizzonte culturale, la disponibilità e curiosità nei confronti di ogni nuova espressione critica, letteraria e culturale; la volontà di avvicinare il lettore italiano alla realtà tedesca in tutta la sua complessità, non solo per la dimensione letteraria; la molteplicità di interessi culturali e sociali, che comprendeva la bibliofilia e quindi l’attenzione a composizione grafica e stampa; la campagna contro il cattivo gusto e l’uso di espedienti letterari patetici o raccapriccianti per attirare i lettori facilmente.
Nello studiare l’esperienza culturale di Mazzucchetti c’è moltissimo da apprendere: le dinamiche concrete del fare editoria, comprese le contrattazioni, i contrattempi, le divergenze e i malumori, ma anche i grandi entusiasmi e le grandi passioni, l’essere una lavoratrice culturale in anni in cui le donne erano davvero pochissime ed esserlo così, battagliera, impegnata, fervente, di una schiettezza implacabile.
1 Dall’articolo Traduzioni, Libri del giorno, luglio 1921, p.371.
Photo credits
Copertina – Illustrazione di Giorgia Merlin
Le foto d’epoca di Lavinia Mazzucchetti sono proprietà dell’Archivio Fondazione Mondadori