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La leggerezza non ingenua di Lisa Morpurgo. Madame andata e ritorno



«Andò a finire che sposai un inglese e ora viviamo in un bell’appartamento a Knightsbridge», si legge nell’attacco del capitolo primo: inizio, ma anche fine della vicenda. «Trascorro ore tranquille come questa. […] Si sente soltanto il rumore della pioggia che cade sempre più violenta, come la notte che cominciò questa storia», continua, e si è forse un po’ ignari, non si può ancora comprendere che questa lettura non si porta avanti per scoprire cosa avviene alla fine. Anche perché, in fondo, non succede un bel niente. Ed ecco che, con una coblas capfinidas, tutto questo niente può davvero prendere avvio con «era una notte buia, ricordo».


La giovane Madame di Madame andata e ritorno (Atlantide, 2021) nella vita è la segretaria di Filippo, un uomo ricco proveniente da una famiglia aristocratica spagnola che, tra un’avventura e l’altra, si prodiga per fare il pittore. Quando non viaggia in giro per l’Europa (e lei insieme a lui), vive in un castello al confine tra Francia e Spagna, sui Pirenei.
Proprio l’antichissimo edificio è al centro del fattaccio avvenuto nella notte buia all’inizio della narrazione: l’intera ala sud crolla, travolgendo Costanza, amante di Filippo.

Che evento tragico: ma Madame è ben lontana dall’aver voglia di trattarne a lungo. La morte della giovane – avvenuta per un crollo doloso, forse? O dovuto a vecchia polvere da sparo presente sulle mura del castello dai tempi della guerra? – è un motivo ricorrente, non fosse altro che per le indagini dell’ispettore Sedan che sospetta di Filippo. Ah, e certamente Madame se ne dice dispiaciuta. Ma d’altronde non conosceva poi molto la signora Costanza: e infatti essa viene sì nominata spesso, ma appunto solo nominata, senza approfondimento.

Lisa Morpurgo

Il vero nucelo della storia invece fa capo a dei discorsi avvenuti tra la protagonista e il suo datore di lavoro:

«Fu Filippo che a poco a poco mi convinse a cambiar vita o, come egli diceva, a distrarmi. Affermava che far l’amore giova alla carnagione, la pelle diventa più fresca, vellutata. A quell’epoca soffrivo di acne, ma esitavo per pigrizia o timidezza. Fors’anche per paura. Filippo mi assicurava invece che la buona reputazione, se dura abbastanza a lungo, è difficilissima da distruggere.»

La storia della vita di Madame che si snoda tra le pagine è la storia dei suoi amori e delle vicende di contorno accadute attraverso i suoi continui viaggi per il mondo, intrapresi da Filippo «per noia o dispetto» e dove lei lo segue «per abitudine».

Madame

Lisa Morpurgo ha pubblicato questo suo primo romanzo nel 1967, dimostrando dunque, come scrive Flavia Piccinni nella postfazione, di essere in grado di anticipare l’atmosfera che avrebbe caratterizzato l’anno successivo e «traducendo in narrazione l’aria di libertà erotica e sentimentale del tempo». La leggerezza del testo, il tono scanzonato di Madame nel descrivere le sue storie e il libertinaggio sono il vero centro.

Ci si può forse quasi immaginare Morpurgo che sorride di un sorriso sottilmente ironico mentre scrive delle vanità di Madame: vanità che riescono a non indignare il lettore – forse per lo spazio e il tempo, l’uno lontano e l’altro indefinito, che permettono di guardare con distacco la vicenda e allontanarla da sé – quanto piuttosto a farlo sorridere.
Perché non siamo indignati quando leggiamo che il castello, privo dell’ala sud crollata, la sua «appendice barocca», a Madame piace ancora di più; nemmeno lo siamo quando Madame firma in fretta e senza pensarci troppo per la vetrificazione del marito perché ha un treno da prendere che la porterà dall’amante. 

Questo recupero da parte di Atlantide è interessante e ha un senso proprio perché quella di Lisa Morpurgo spicca come una voce fuori dal coro. Questo, d’altronde, è vero fin dalla sua biografia: personalità incredibileprima collaboratrice editoriale per la storica Longanesi e poi grande astrologa. La superstizione (sotto forma di amuleti, sortilegi, tarocchi) è una presenza importante, tuttavia è bene sottolineare che la stesura di Madame andata e ritorno è precedente alla tardiva conversione astrologica dell’autrice – e conseguente alla traduzione di un testo di François Régis Bastide, quindi a un lavoro editoriale.

Si diceva che questo libro non viene letto per scoprire come termina la storia di Madame, ma per goderne il viaggio: eppure la snellezza del narrato e lo stile aiutano a procedere piuttosto velocemente e a terminare la lettura in poco tempo, con una narrazione priva di orpelli eccessivi e una sintassi semplice. Ma la leggerezza non è ingenuità, e lo stile ben rappresenta quello che è il contenuto.

La protagonista in alcuni momenti soffre, è solo che sceglie di non parlarne troppo: come quando, costretta dall’amante a nascondersi per i loro incontri, i due trovano rifugio in un paesino «umido e triste», con i boschi che «premevano su pochi alberghi barocchi, sontuosi e semivuoti», con le camere dal mobilio «di pessimo gusto», dove cenano in «un ristorante semibuio come tutti quelli del paese, con pochi camerieri decrepiti che avevano conosciuto antichi splendori». Lo squallore che non dice lei stessa sulla propria relazione segreta è comunicato dal paesaggio vuoto e decadente che la circonda: l’interpretazione e la decodifica stanno a chi legge.

Che fare, dunque, in un mondo di mura crollate, guerre, malattia? Ridere, forse:

«E allora risi anch’io, la mia angoscia spariva in una lunga fuga di secoli, in un mare di catastrofi, pestilenze, massacri e morti dove galleggiavano servizi di Meissen a fiori azzurri».

D’altronde infine si giungerà al preannunciato matrimonio, docile quiete: «come tutti sanno, dopo la guerra venne la pace e non vi fu più nulla degno d’essere narrato».



Photo credits: immagine di copertina

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