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La settimana santa d’Italia. Abbracciare il Festival di Sanremo



Il Festival di Sanremo è rinato, e su questo non ci piove. Senza neanche arrivare a tirare in ballo ricavi pubblicitari e risultati discografici, qualsiasi osservatore esterno lo capirebbe con uno sguardo veloce ai social network. Alla settantesima edizione, e con una storia di alte e basse maree, la kermesse sembra tornata a essere un evento polarizzante, che aizza dibattiti e a cui nessuno può sfuggire, da Facebook a TikTok, da Twitter a Instagram, passando naturalmente dagli uffici, dalle macchinette del caffè, penetrando come gas nervino nelle stanze e negli ambienti più insospettabili. 
Mentre tutto rimane uguale, però, tutto cambia, e la manifestazione canora storicamente più importante d’Italia torna in una forma nuova, si reincarna, come nel gioco ciclico dei trend vestimentari, in cui le mode più assurde degli anni passati riaffiorano modificate e nuove dalle correnti del tempo, adattate al contemporaneo, digeribili, in ultima analisi capaci di ricordare il passato risultando però supremamente ancora vendibili, che di ‘sti tempi è tutto quello che conta. 

La cifra di questo Sanremo sembra essere proprio la doppiezza inconciliabile. Alla terza edizione con Sebastiani direttore artistico e presentatore, questa dualità mai risolta viene fuori con più forza che mai. Tradizionalmente immobilistico e conservatore, Sanremo, sotto la guida salda di Amadeus, dà una poderoso colpo di reni verso il nuovo, verso l’hype, verso il contemporaneo. Vuole piacere ai giovani e non ne fa segreto. Ci riesce, ma restano delle zone d’ombra. Questa spinta si esaurisce in larga parte nell’intenzione e in potenza, e Sanremo rimane in mezzo, con il piede in due scarpe, in imbarazzo come due persone che si scontrano sul marciapiede e continuano a spostarsi dallo stesso lato, incapaci di sbloccare una situazione un po’ disagevole. Specchio di una società retrograda che fa fatica a staccarsi da se stessa, che non ha il coraggio di cambiare davvero, a fondo. 
Basti mettere a confronto i due ospiti e co-conduttori di Sanremo 2022 che hanno fatto discutere più di tutti, esempi viventi di spinte opposte. Nella seconda serata, infatti, quella del 2 febbraio, a fare da mattatore è stato Checco Zalone. Giovedì 3 febbraio, invece, Drusilla Foer ha co-condotto la kermesse al fianco di Amadeus, da lui, si dice, fortemente voluta. 

Sanremo 2022

Da una parte del ring Zalone, comico, showman, regista e sceneggiatore. Il suo umorismo fin dagli inizi della sua carriera gioca in maniera volutamente esagerata sugli stereotipi e sui caratteri, con incursioni nel mondo delle imitazioni. Le sue macchiette, lungi dal risultare sovversive, risultano vuote e facilone, e il rovesciamento non si dimostra quasi mai né chiaro né efficace. Sul palco di Sanremo si cala nei panni di una prostituta trans brasiliana. Accento forzato e battute di bassa lega, Checco si immedesima talmente tanto nel famigerato italiano medio che poi si scorda di uscirne. Farà anche ridere qualcuno, ma a che prezzo? Come si fa a sostenere di star mettendo alla berlina una categoria umana se poi la categoria umana stessa non lo capisce e ride con te? L’operazione Zalone viene difesa solo da chi, del sentirsi superiore all’italiano medio, ha fatto una bandiera. 

Nell’angolo opposto c’è Drusilla Foer. Inutile tentare spiegare chi sia, dato che proprio in questa confusione tra persona e personaggio, tra travestimento e realtà, tra serio e faceto si trova il suo potere. Irriverente, sfacciata, coraggiosa, Drusilla sale su quel palco a testa alta e a testa alta ne esce, dopo un monologo che, proprio come lei, riesce a essere bello e costruttivo, sintetico e significativo, movimentato e suggestivo, latore di cose positive, di una spinta sana e reale verso qualcosa di migliore, di limpido, di aperto. 
Il personaggio Drusilla, nel suo essere un dispositivo narrativo, un mezzo, si presta a farsi portatore di dibattito e analisi. 
La sua fluidità si irradia sul festival, penetra nelle pieghe e diventa specchio positivo della dualità del festival, una dualità che in lei trova un esempio splendente di risoluzione.
L’ambiguità di questo Sanremo non si ferma alle intenzioni, al cast di ospiti e conduttori, all’ideologia: a essere duale e fluida è anche la scelta dei concorrenti

Sanremo 2022

Se l’anno scorso infatti il pool di artisti era visibilmente sbilanciato verso la Musica Giovane, quest’anno ce ne è per tutti i gusti. Da Gianni Morandi a Sangiovanni passando per Ana Mena e Rkomi, senza dimenticare i veterani di Sanremo come Noemi, Le Vibrazioni e Fabrizio Moro. Non mancano i ritorni (Elisa e Emma) e gli sconosciuti di media età (Highsnob e Hu, Ditonellapiaga). I generi non esistono più, il sistema musicale è esploso, quello di Vera Musica è un concetto superato, obsoleto, polveroso, da nascondere sotto al letto. Sanremo, ed è una sorpresa, sta riuscendo in minima parte a essere riflesso di tutto questo.
Se quella che, per praticità, chiameremo Ambiguità Ideologica può risultare confondente e codarda, centrista e ignava, combinata all’Ambiguità Musicale presenta, in nuce, uno dei grandi meriti di questo festival di Sanremo così contemporaneo, nel bene e nel male. 

Grazie a questa ritrovata partecipazione del pubblico nelle Vicende Festivaliere, infatti, Sanremo ha il potere di un antidoto al dilagante snobismo intellettuale, che esclude e ghettizza, tra classismo inconscio e inutile chiusura nelle torri d’avorio. Un’apertura al pop ampia e capillare, tra musica, intrattenimento, cultura e società. Un fenomeno di costume coinvolgente e popolare nel senso migliore del termine, che riporta a contatto l’autoproclamatasi intellighenzia con una fetta d’Italia che è molto più facile ignorare, convinti come siamo di esserne migliori
Perché Sanremo non è distrazione futile, spegnimento del cervello o qualsiasi altra motivazione si metta avanti sui social per giustificarne la fruizione. Sanremo non va vissuto con il distacco ironico e cinico da sociologhi postmoderni con la puzza sotto il naso. Sanremo va abbracciato, accolto, letto dalla prima all’ultima pagina senza pregiudizi, immergendosi fino al collo in questo flusso confondente ed esasperante e proprio per questo specchio della nostra società. Italiano nel senso peggiore e migliore del termine, insieme.

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