Parlando di Paola Masino, il discorso potrebbe prendere avvio da diverse direzioni: si potrebbe dire che si tratta di un’autrice dimenticata del Novecento, o che non era solo la compagna di vita di Massimo Bontempelli (anch’egli, a dir la verità, non troppo ricordato se non in ambiente specialistico, fino a quando non è stato riportato sugli scaffali da Utopia). Si potrebbe continuare sottolineando l’amore che i lettori di diversi Paesi hanno dedicato a Nascita e morte della massaia senza neanche sapere dell’esistenza di Racconto grosso e altri fino a pochi mesi fa, fino a quando non è stato pubblicato da Rina edizioni nell’autunno 2021.
Già solo con questi pochi dati si avrebbe di che discutere.
La storia di Racconto grosso e altri è la storia di testi che sfuggono alla censura.
La loro stesura, avvenuta tra il 1939 e il 1941 – a eccezione di tre testi, composti nel 1935 e nel 1938 – in pieno regime e dopo otto anni di silenzio editoriale da parte dell’autrice. Il motivo per cui nel 1941 riesce a essere pubblicato è da ravvisare nell’abilità di Paola Masino che, quando necessario, attraverso perifrasi lunghe righe e righe, se non pagine, e discorsi in apparenza confusi, è in grado di scrivere dell’innominabile. Come ad esempio in Figlio, con al centro in maniera molto chiara un aborto che non verrà mai menzionato esplicitamente:
«Di una cosa era certa, anche per l’uomo che di questo taceva, che erano sconfitti nella consapevolezza di non poter disfare loro stessi, con le loro mani o con i denti o a gridi o per forza di angoscia, quello che, contro ogni ragione, per amore, avevano fatto. Ora un estraneo avrebbe frugato e sbranato quanto avevano espresso come la maggiore sofferenza, la necessità più crudele e perentoria di loro stessi. Negato il loro martirio. A tale pensiero la donna si premeva le mani sul ventre e le pareva impossibile di affiorare più alla luce. Non pensava alla sofferenza prossima, non l’immaginava nemmeno, e se l’uomo gliela prospettava con pietà era l’unica cosa che un poco l’incitasse al delitto, come una lotta contro il germe dell’essere; da uomo a uomo; due volontà.»
È curioso pensare come due libri pubblicati nello stesso periodo (la raccolta in esame e «l’altro libro veneziano», Nascita e morte della massaia, edito da Feltrinelli) possano aver avuto sorti così differenti: ripubblicazione di quell’unica edizione del 1941, quindi esattamente ottant’anni dopo, per il primo, un successo internazionale per il secondo.
E, al di là delle sorti individuali, è forse opportuno soffermarsi a riflettere anche sulla stesura dei due lavori, segnata dalle difficoltà: Marinella Mascia Galatiera scrive nella prefazione di uno «“stato di svuotamento” e anche di rabbia, per le continue interruzioni che subisce, in quanto donna, il suo lavoro creativo. Masino scrive insomma con estrema fatica, tra ossessioni latenti e pause di silenzio, il romanzo Nascita e morte della massaia e i nuovi racconti per la raccolta di Bompiani». La celebre stanza tutta per sé le è in qualche modo preclusa, è questo il suo destino di donna, la sua maledizione.
E il suo destino di donna è in qualche modo ravvisabile anche sotto forma di tema in alcuni dei racconti: il già citato Figlio tratta in maniera chirurgica l’aborto – e non per questo impersonalmente, anzi, esprimendo tutto il dolore e l’abbandono che una persona può provare. Ma si pensi anche a Latte, che vede al centro una donna strumento dei suoi uomini, prima il marito e successivamente il figlio, vittima di una vita votata al sacrificio altrui e all’ingratitudine massima. È emblematico che di lei non si legga mai il nome: la sua identità è data unicamente dal suo ruolo – moglie, poi madre e infine nonna.
«Monda da ogni corrompimento, la signora Zanni fu dunque per qualche tempo la giovane sposa del ragioniere e, attendendone il ritorno dalla ditta dove egli lavorava, accudiva alla casa cantando stornelli. Ma divenne presto la madre del figlio benedetto del ragionier Zanni e dal giorno che ebbe partorito si buttò a essere mamma
[…]
S’era già messa a fare la nonna* […]».
Ma la prosa di Paola Masino non è intimista come si potrebbe pensare, specchio di una soggettività chiusa in un corpo femminile maledetto dalla sorte. Se infatti il discorso sulle autrici dimenticate, grazie anche all’opera di illuminati editori e di altri eterogenei progetti culturali, si sta fortunatamente riaprendo, è importante fare ancora un passo avanti e porre l’accento su un altro aspetto: cioè che le autrici non solo sono esistite e meritano attenzione (e, cosa più importante e non scontata, spazio sulla carta stampata), ma che sono degne anche di classificazione. Non si può pensare ragionevolmente di prendere in considerazione tutta la narrativa femminile come se fosse un genere a sé, un sottogruppo omogeneo all’interno del grande calderone della narrativa, fatto di intimismo e stile elegiaco.
A riprova di ciò, Racconto grosso e altri raccoglie testi fortemente eterogenei e che in quanto tali, quindi nella loro sperimentazione, vanno letti e analizzati. Dai brevi tratteggi di situazioni si passa a racconti più lunghi e strutturati; un assetto favolistico – come quello rinvenibile in Commissione urgente, ma anche in Latte o Allegoria prima – è alternato a una narrazione più radicata nel presente come in Viaggio con panorami e Rivoluzione.
Gli scenari infatti rimangono quasi sempre indefiniti, ma in pochi casi, come negli ultimi due racconti nominati, si possono rinvenire indicazioni o spaziali o temporali, che se non sono mai troppo esplicite sono quantomeno facilmente deducibili, comunque differenziandosi dalle atmosfere vaghe e sfumate degli altri.
Ma si potrebbe anche dire oniriche. D’altra parte, ciò che contraddistingue quasi tutti i testi (si badi bene, non tutti – aspetto che rimarca maggiormente l’estrema diversità insita nella raccolta) è il realismo magico: la svolta fantastica e surreale è sempre dietro l’angolo, in una maniera non estranea a tanti altri autori e autrici del Novecento – si pensi ad alcuni testi di Lo scialle andaluso morantiano, allo stesso Bontempelli o ad Anna Maria Ortese. Non è un caso che proprio quest’ultima, molto entusiasta dei racconti, abbia scritto a Paola Masino: «lei deve essere fiera di questo libro che ha scritto e di cui ieri mi è giunta copia. Non immaginavo che avrebbe potuto scrivere così»[1].
Il discorso su Paola Masino potrebbe continuare ancora e ancora. Ci si potrebbe lanciare in un’analisi dettagliata dei diversi testi per dimostrarne il dato sperimentale, e però questa non sarebbe la sede adatta. Questa è piuttosto la sede adatta per invitare tutti alla lettura delle autrici del passato che vengono ripubblicate, per tentare di sradicare la convinzione che la narrativa femminile sia roba da donne, qualsiasi cosa voglia dire. Perché più si alza il numero delle autrici scoperte o riscoperte, più la possibilità di trovare qualcosa di diverso aumenta.
Adesso nessuno ha più scuse.
*i corsivi sono redazionali
[1] Anna Maria Ortese, lettera inedita a Paola Masino, Napoli 21 dicembre 1941. La si può leggere nella Prefazione del volume firmata da Marinella Mascia Galatiera.