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Io sono quello che non ce la faccio. Il nostro meglio di Alessio Forgione



C’è un momento nella vita di ciascuno, e quel momento arriva sempre, in cui si è chiamati a misurarsi con la persona che si è diventati. Alessio Forgione prende un avvenimento traumatico, chiarisce fin dall’inizio dove il suo protagonista sta andando a sbattere, e costruisce così un romanzo che procede diritto, senza scarti, sicuro, esattamente come il conto alla rovescia dei capitoli.

Siamo a Napoli ed è il 2006. Amoresano questa volta di anni ne ha diciannove, venti. Ha appena cominciato l’università e sta studiando quando la madre arriva a dirgli che la nonna – la nonna con la quale è cresciuto – ha un cancro, e non è una di quelle cose da cui si può scappare.
Il nostro meglio è il terzo romanzo di Alessio Forgione, classe 1986, il primo uscito per La Nave di Teseo. Come gli altri due, e comunque distinguendosi da entrambi, va a prendere il suo posto in mezzo a Napoli mon amour e Giovanissimi, in un originale caleidoscopio di voci e vicende a cui fa da sfondo una Napoli periferica, fatta di «bestemmie senza cattiveria», musica ad alto volume e libri letti a bassissima voce.

Forgione

Amoresano si trova a vivere i primi anni della sua giovinezza con il peso di una malattia che non riesce ad accettare sulle spalle. Il nostro meglio si regge tutto su un doppio piano narrativo: c’è il passato, che fa la sua comparsa con i contorni sfumati di un sogno, e c’è il presente, che è vero e duro e ammanta tutta la terra di nebbia. Nonostante la vita, fuori, vada avanti con i suoi ritmi, il romanzo di Forgione costringe a una corsa a perdifiato verso uno zero che arriva prima di quanto sia lecito aspettarsi. Ci sono concerti a cui strillare, esami per cui studiare, libri da leggere, eppure ogni momento è vissuto come immeritato, stridente, di fronte alla presa di consapevolezza di essere inerme davanti a quello che sta succedendo. 

La figura della nonna, che già era presente in Napoli mon amour, e di cui si intuiva la fisionomia, diventa il perno attorno a cui si svolge tutta la vicenda. Prima una madre, poi una complice, Amoresano si trova ora a dover fare pace con l’idea che la nonna non sia una figura mitica, ma che sia fatta di carne, tale e quale a lui. Anche se, all’inizio, sembra sempre la stessa vista da fuori, dentro è «marcia», già morta. Non c’è più modo di prendere le distanze dall’idea che – pur volendola preservare, difendere – lei non ci sarà per sempre e non c’è più niente da cui scappare, semplicemente perché non c’è modo di nascondersi.

«Non ce la faccio; me lo ripeto diverse volte. Io sono quello che non ce la faccio, mi dico, come comincia un libro che ho letto, e provo del nervosismo o della rabbia, perché mi sembra che mi stiano sopravvalutando, me e le mie forze.»

Questa è la prima prova con la quale Amoresano si deve misurare, ed è già la peggiore. Il nostro meglio è uno di quei romanzi che potrebbero essere incasellati, a ragione o a torto, nella cosiddetta millennial fiction: di fronte alla malattia e alla morte della nonna tutto sembra dover essere ridimensionato, ma la vita di un ventenne non si può fermare, non verrà mai messa in pausa, e così fondamentali sono anche i personaggi secondari che come santi e commissari tecnici gravitano intorno ad Amoresano, investendolo e respingendolo, in un valzer di non detti che lo accompagnerà fino alla fine.

Forgione

Gli amici sono chiamati tali per pigrizia, o in mancanza di una definizione più calzante, la fidanzata è solo nominale, gli studi non lo entusiasmano, è sicuro solo di quello che non vuole, ma intanto nel «mondo reale» c’è anche gente che non sembra perennemente fuori posto.

«Mi dico che sono belli e in pace. Che la mattina si svegliano e vanno al lavoro e non si sentono d’esplodere. Che sono un po’ come Angelo, ma forse ancora meglio, la versione superiore, perché Angelo potrebbe essere tutt’altro o quello che vuole e loro invece no, sono quello che sono e non ne fanno un problema.»

Il nostro meglio è un romanzo di silenzi, molto più che di parole, e di attese. Scritto con una lingua sporca, vivida, sembra sgorgare direttamente da un’idea molto precisa di quello che è l’ingresso nel mondo degli adulti. Una volta chiuso, ti sembra sussurrare che senza una prova di coraggio non puoi entrare da nessuna parte.





Photo credit: copertina Il nostro meglio, edito La Nave di Teseo
Alessio Forgione – profilo La Nave di Teseo

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