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Avventure. Nell’immaginazione di Luigi Malerba



C’è una scena del film Il pap’occhio di Renzo Arbore dove Roberto Benigni è su un’impalcatura e guarda negli occhi il Dio del Giudizio Universale di Michelangelo. Lo guarda e gli parla, ragiona su quanto dovrà essere complicato il momento appena successivo alla fine del mondo, quando bisognerà scegliere il criterio con cui dare sistemazione definitiva a tutte quelle anime: «Come farai? Come li dividi? […] di lì gli imbianchini, là quelli che mettono le carte da parati, là i disoccupati, qui gli elettricisti, di sotto i manicure… Oppure per età? […] Certo dev’essere un lavoraccio fare il Giudizio Universale…».
Nella grande confusione che immagina, Benigni si figura le genti che hanno vissuto in ogni tempo e luogo, le pensa ora che si incontrano, tutte insieme, e si domanda: «E che si dicono le lavandaie e… i Fenici? Boh, io sono fenicio… e io lavandaia… piacere. Attila si incontra con uno: e lei? Io c’avevo un distributore di benzina in via del Corso. E che sarebbe? Super, extra…». Cosa si dicono Tutankhamon e il terzino della Sampdoria? Bella domanda. Non si dicono niente, conclude Benigni, semplicemente non si capiscono, non possono capirsi. «Io sono un faraone. E in che squadra giocava? L’Egitto… Io sono egiziano… E in che serie era? Noi siamo stati in serie A, la Sampdoria».

Il gioco è fruttuoso e stimolante: quale può essere il terreno d’incontro di personaggi che appartengono a narrazioni e contesti storici, culturali e sociali così lontani? Cosa può nascere da questi incontri? Questo è il gioco con cui si è divertito Luigi Malerba con il suo Avventure, uscito nel 1997 e da poco ripubblicato dalla casa editrice Italo Svevo. Malerba immagina che a incontrarsi siano dei personaggi letterari, figli di tradizioni e contesti lontanissimi.
Il libro è strutturato in cinque dialoghi e per ogni coppia letteraria che compone Malerba costruisce il terreno d’incontro per i due personaggi a partire dalle contraddizioni che li abitano. Così la fiera e algida Turandot è costretta a un’esperienza di alienazione profonda quando si trova davanti il rozzo e furbo Bertoldo, il quale non apprezza né conosce il sistema di valori della principessa e si prende gioco di lei indisturbato.
La comicità sprigionata da questi incontri non può che farci riflettere sulla serietà di alcuni personaggi letterari, che privati del proprio contesto e degli assunti che li legittimano perdono la forza retorica e l’impostazione epica che li caratterizza. L’autore è diventato così un cavaliere dissacrante, che accosta universi composti da diverse leggi morali per far destrutturare entrambi e ridurre l’intera faccenda letteraria al gioco, al puro diletto della fantasia e della letteratura.

Malerba

È particolarmente evidente a proposito dell’incontro fra la creatura del dott. Frankenstein e Don Abbondio. Malerba immagina che la creatura fermi Don Abbondio per strada appena dopo il suo spiacevole incontro con i Bravi: Frankenstein si aggiunge al novero di persone che vogliono qualcosa da Don Abbondio impedendo il realizzarsi dell’unica sua aspirazione, quella di vivere sereno e indisturbato. Il prelato si trova così minacciato anche dalla creatura, che reclama il possesso di Lucia in nome dell’esigenza di avere una compagna. Il cieco maschilismo patriarcale che anima la conversazione tra i due personaggi prende toni caricaturali quando i due discutono la possibilità che la creatura si “prenda” Perpetua: ipotesi caldeggiata da Don Abbondio per uscire dall’impasse delle minacce ricevute su più fronti ma rifiutata da Frankenstein che non vuole una donna brutta e vecchia. I due, parti essenziali di narrazioni grandi e serie, diventano, nel gioco dissacrante di Malerba, simili a due anziani signori al bar le cui chiacchiere non influiscono sul mondo.

Se Frankenstein si racconta in Avventure come una vittima della società ed esige dunque che gli venga data una compagna, Sancho Panza si fa portatore di una diversa rivendicazione maschilista: fattosi carico dell’eredità morale ed etica del suo cavaliere Don Chisciotte vuole salvare una fanciulla in difficoltà. La fantasia di Malerba fa collidere la missione cavalleresca di Sancho Panza con il personaggio che meno di tutti accetta di lasciar agire la propria vita dagli altri: Anna Karenina si trova davanti lo scudiero quando sta per dirigersi alla stazione dei treni. Il tentativo cavalleresco di fermare i tremendi propositi della signora risultano ridicoli davanti all’indignazione di Anna Karenina che rivendica il diritto di compiere il suo proprio destino.
Ancora il pauroso e temuto Innominato manzoniano viene sbeffeggiato da un uomo semplice ma invisibile e dunque dotato di un potere dissacrante. L’Uomo Invisibile fa crollare l’impero dell’Innominato portando all’interno della sua linea narrativa, all’interno del romanzo storico, il soprannaturale.

Chiudono il libro due Otello, l’uno personaggio di Shakespeare, l’altro di Verdi: sul palco dove sta andando in scena l’opera di Verdi arriva Othello di Shakespeare a creare scompiglio e polemizzare con l’adattamento della sua storia. Col tono scanzonato Malerba fa rivaleggiare le due versioni dell’eroe tragico in un testa a testa di egocentrismo.
Nella prefazione del volume Cristina Benussi ricorda che la ricerca letteraria per Luigi Malerba partiva da una riflessione sociale e dall’esigenza di inserirsi in un discorso sul mondo attraverso il linguaggio. La modalità di Malerba è stata quella del rovesciamento e del paradosso giocosi, come avviene in Avventure, eppure non dobbiamo fare l’errore di pensare che il gioco non sia qualcosa di serio. Non a caso l’autore apre la prefazione al libro con queste parole: «L’autore di una finzione letteraria, che sia destinata alla stampa, al teatro o alla musica, non è mai innocente».

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