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Figli di nessuno e destinati a nessun luogo. Invelle di Simone Massi

“Invelle” è il primo lungometraggio del regista d’animazione marchigiano, la storia di tre bambini in tre epoche diverse, memorie minuscole lontane dai libri e dalla Storia

Non si è mai né i primi né gli ultimi a essere innamorati. Lo stesso vale per la rabbia. E, allo stesso modo, rimaniamo tutti inesorabilmente convinti che le ragioni di ciò che ci avvelena sia irreparabilmente nostro e, in quanto tale, unico.
Amore e rabbia: una dicotomia che ci abbranca e non si scoglie. Che non esonera uno sguardo da tratti che, uno dopo l’altro, si incalzano e si trasformano sullo schermo. Che non districa tutte le nostre piccole storie da altre storie piccole che, come minuscoli fiori, rappresentano in/felicità insignificanti, simili al muschio sugli alberi – ché la vita, come la Storia, non è fatta solo di grandi cose, come le guerre, l’amore, i matrimoni, i funerali, ma di tutto ciò che, nella nostra impercettibile distrazione, lascia segni che tuttavia non si fissano a memoria, tanto da rischiare di perdere un dialetto o da non riuscire a tenere a mente né a contare attimi insignificanti dove si nasconde una felicità appena percepibile, inosservata, come l’ossigeno, attimi attraverso cui l’anima esiste, vive e respira, non per i grandi gesti, non per le grandi imprese: per il muschio.
Amore e rabbia, due volti della stessa moneta che vortica continuando a trasfigurarsi e reinventarsi in altre forme e immagini sul monitor, inscindibili per comprendere l’opera di Simone Massi e, probabilmente, le nostre storie, le nostre radici, le nostre famiglie, quelle che sono state e quelle che verranno.
Amore, rabbia: una muschiata polarizzazione all’interno della quale succede tutto senza che, apparentemente, succeda niente, senza andare da nessuna parte. Appunto, Invelle.

simone massi

Nell’epoca del perpetuo malinconico desiderio di nostalgia per ritrovarci in qualche modo interi, tra meme al Sapore di Male, reunion appena annunciate dei fratelli Gallagher, sequel de Il Gladiatore e Max Pezzali che riempie gli stadi, Massi riesce ad aggiustarci ma dovendo, prima, farci a pezzi, perché non è che se tornano loro allora torna anche tutto il resto, perché per recuperarci serve prima sagomare un passato, non troppo remoto eppure di amnesia siderale, che sa di cose di casa, della tovaglia che non abbiamo mai potuto sopportare, delle coperte e dei maglioni che ci provocavano con fastidi e prurito, dei nonni che ci facevano dire le preghiere prima del pranzo la domenica e prima di coricarci la sera e noi ci annoiavamo e noi non vedevamo l’ora di andarcene da tutta quella polvere, da tutta quella famiglia, da tutto quel non stare in nessun dove e voler, invece, arrivare dappertutto e ce ne siamo andati, per davvero ce ne siamo andati, ma Massi lì ci riporta. Perché intercetta e annoda, attraverso la rabbia di tre bimbi di nessuno e destinati a nessun luogo, la nostra di rabbia: quella che, nella maggior parte dei casi, ci siamo dimenticati, ma che, di noi, non si è scordata mai. Bimbi, perché «gli adulti sono dei bambini marci» (Aldo Nove, Pulsar, Il Saggiatore, 2024) e tocca a Massi raschiare via tutta la parte ammaccata per restituirci il frutto che ancora resiste, che ancora è buono, sotto tutta quella muffa.

simone massi

Io me la ricordo mia nonna. Faceva così perché non ci si poteva permettere altro, oppure forse sì, ma restava un peccato di dio. Io mi ricordo che volevo una pesca buona, matura, non marcia. Mi ricordo pure che, alla fine, se la mangiava mia madre, per non scontentare nessuno.
Simone Massi, con Invelle, non vuole non scontentarci, vuole, anzi, graffiarci, raschiarci via quella patina che, disancorata dai ricordi, ci ha permesso di andare avanti dimenticandoci di quei momenti che, in un modo o nell’altro, ci hanno reso quello che siamo. Lo fa con tratti abrasivi che grattano il bianco di tavole e cornee, di una violenza così pura e infallibile che pensavo vivesse solo sulle pagine di Berserk di Kentarō Miura, continuando a farci cadere, come un sognincubo insvegliabile, dentro occhi traditi, dentro rughe di fronte, dentro piaghe di mani, noi tutti che guardiamo e dove, cadendo, come tante piccole Alici nella tana del bianconiglio, contribuiamo a generare un ribaltamento della realtà guidato da un’incessante metamorfosi di corpi e oggetti a cui chi guarda è costretto ad abbandono e subordinazione e riconoscimento.

simone massi

«Non esiste un momento puntuale della catastrofe, la catastrofe non è in agguato, né è già avvenuta. Piuttosto, sta avvenendo» (Stefano Valenti, Cronache della sesta estinzione, Il Saggiatore, 2023) questo è quello che ci racconta Invelle. Di quell’interstizio, di quella frattura tra libri di storia e memoria su cui non ci soffermiamo mai perché ancora è parte del presente. Ecco che lo sguardo di Zelinda, costretta da una guerra a svestire l’infanzia in favore di bestie, fratelli e mestieri di casa, si trasforma nel volto di un’altra, di Assunta, sempre bambina, sempre contadina, che s’accompagna sempre un’altra guerra e, ancora, si volta la carta e scompaiono mondi, ne compaiono altre di tesserine colorate di caleidoscopi sempre diversi eppure sempre uguali che ci portano a Icaro che, ancora una volta, sogna, desidera, vuole, eppure non può, in uno stancabilissimo girotondo attorno al niente a cui abbiamo giocato noi – dove questo noi è un bimbo di qualsiasi nazionalità, religione, bandiera, sopruso, mancanza, conflitto, subordinazione. Questo noi è un figlio di un nessun dove, in una frontiera tra il sogno di un miracolo di mare e il nulla.

simone massi

Con Invelle, Simone Massi ci ridà il diritto alla parola.
Regalandolo per la prima volta (essendo tutti i precedenti cortometraggi muti) ai propri personaggi, alla propria terra, al proprio dialetto che rischia, come noi, di perdersi.
Restituendolo ai protagonisti di tutta quella letteratura non urbana che rischia di rimanere confinata all’interno di un verismo già passato e che, invece, nello sterminato western di mondi che si smarriscono tra una città e l’altra, con i suoi conflitti unici eppure universali tra civiltà e frontiera, merita di vedersi restituita la voce, la sua, senza imbarazzo e senza vergogna.
Profondendolo a tutte le storie non importanti, quelle che non sono abbastanza per vedersi, ricordarsi, tramandarsi.
A tutte quelle storie che non sono abbastanza per finire sui libri, nei film, nelle canzoni, in un luogo che sia loro, Simone Massi destina Invelle.



In copertina e nell’articolo: Simone Massi, frame da Invelle

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